Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.23458 del 26/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BELLINI Ubaldo – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22921-2016 proposto da:

E.I., B.V., QUALE EREDE DI E.C.F., V.L., NELLA QUALITA’ DI EREDE DI E.D., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE PARIOLI 112, presso lo studio dell’avvocato SEBASTIANO COMERCI, rappresentati e difesi dall’avvocato LORIS MARIA NISI;

– ricorrenti –

contro

F.M., F.A., NELLA QUALITA’ DI EREDI DI BA.AN., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TACITO 90, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE VACCARO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE NERI;

– controricorrenti –

contro

A.G., G.E., M.M., F.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 280/2015 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 18/08/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/04/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

RITENUTO

che la vicenda qui al vaglio può riassumersi nei termini seguenti:

– nel 1986 i germani E.C.F. e E.D. si rivolsero al Pretore di Melito Porto Salvo perché, ai sensi della L. n. 346 del 1976, fossero dichiarati proprietari per usucapione di taluni terreni e fabbricati rurali (in catasto al f. *****), che assumevano di avere acquistato in “forma privata” dai coniugi G.B. e As.Ca. nel 1956;

– veniva proposta opposizione da A.A. ed G.E., successivamente il processo veniva interrotto per la morte di A.A. e riassunto nei confronti del figlio di quest’ultimo, A.G.; interveniva volontariamente M.M., figlia ed erede di G.A., a sua volta figlia ed erede dei coniugi G./ As.; interveniva ancora Ba.An., la quale in precedenza aveva, a sua volta, convenuto in giudizio davanti al medesimo Giudice i coniugi G.- As. e poi gli eredi dei medesimi A.G., G.E. e M.M., perché fosse dichiarata proprietaria per usucapione della particella *****, pretesa anche dagli E.;

– il Pretore, con sentenza del 1995, rigettata l’opposizione, dichiarò F. e E.D. proprietari per usucapione dei fondi e delle case rurali indicate nell’atto introduttivo, compresa la particella *****, “rivendicata” da Ba.An.;

– proposto appello da Ba.An. e appello incidentale dagli E., nonché altro appello da A.G. ed G.E., riuniti i due processi, il Tribunale di Reggio Calabria, rigettò gli appelli principali e, accolto quello incidentale, rettificò le dichiarazioni nel senso che le particelle ***** erano state acquistate per usucapione da E.D. e la ***** da E.C.F.;

– proposto ricorso per cassazione da Ba.An., alla quale succedette il coniuge F.M., la Corte di cassazione, Sezione Seconda Civile, con la sentenza n. 1296 del 2010, accolse, per quanto in motivazione, il secondo motivo e cassata la sentenza impugnata, dispose rinvio alla Corte d’appello di Reggio Calabria;

– questi i due profili della censura accolti:

a) sulla scorta del principio enunciato dalle Sezioni Unite, con la sentenza n. 7930/2008 era da escludere che la consegna dell’immobile nell’anno 1956, in relazione al dedotto contratto preliminare da parte di tale B.P. in favore degli E. potesse integrare “l’attribuzione di un possesso (poi trasmesso agli attori, odierni resistenti), come tale utile alla successiva acquisizione della proprietà per usucapione (…) Nella sentenza impugnata, che ha dichiarato gli E. proprietari di parti distinte del fondo, per avere i medesimi conseguito la disponibilità da parte del B., promissario acquirente che l’aveva a sua volta ricevuto nel 1956 dai proprietari G.- As., non vi è alcun cenno ad atti d’interversione, tali da palesare da parte degli uni o dai loro aventi causa, l’intenzione di possedere esclusivamente uti domini e non più in previsione della prevista stipulazione del contratto definitivo, il bene in questione o parti dello stesso”;

b) disatteso il profilo di doglianza con il quale era stata contestata la qualificazione di colonia agraria del titolo iniziale sulla base del quale parte ricorrente godeva della particella 17 e irrilevante il titolo in base al quale di quell’appezzamento aveva goduto una congiunta della Ba. (tale “zia P.”), poiché non avrebbe potuto comunque integrare gli estremi del possesso, costituendo detenzione, al più qualificata, la Corte ritenne fondata la critica con la quale era stata stigmatizzata “la mancata valutazione, quale atto idoneo a mutare la detenzione in possesso, dell’attività edificatoria compiuta sul fondo dalla Ba.”, ribadendosi il principio secondo il quale “la interversione della detenzione in possesso può avvenire anche attraverso il compimento di attività materiali, se esse manifestino in modo inequivocabile e riconoscibile dall’avente diritto il potere sulla cosa esclusivamente nomine proprio, vantando per sé il diritto corrispondente al possesso in contrapposizione con quello del titolare della cosa” (Cass. n. 12968/2006), come nel caso in cui sia stata realizzata una costruzione (Cass. n. 1802/1995); non avendo sul punto il Giudice dell’appello fornito appagante e motivata risposta, essendosi limitato ad affermare: “rilevanza alcuna sembra poi assumere la circostanza che al limite del terreno in questione vi era una casetta coperta di tegole abitata dalla zia P. e che la stessa demolita dalla Ba. sia stata ricostruita in cemento armato”;

– riassunto il processo da F.M., erede della defunta moglie Ba.An., la Corte d’appello di Reggio Calabria rigettò la domanda a suo tempo formulata dai germani E.C.F. e E.D. e proseguita dagli eredi V.L., E.I. e B.V., in relazione allo stacco di terreno di cui al foglio *****, ordinandone il rilascio in favore di A.G. e degli eredi di G.E.; dichiarò, inoltre, ” Ba.An., oggi eredi F.M. e F.A., proprietaria per usucapione della porzione di terreno sita in *****, identificata in catasto al Foglio *****”;

ritenuto che B.V., erede di E.C.F., nonché V.L. ed E.I. ricorrono avverso la pronuncia del Giudice del rinvio sulla base di sei motivi, dei quali i primi cinque sono riferiti al B. e l’ultimo alla V. e alla E., e che F.M. e F.A., eredi di Ba.An. resistono con controricorso; che i ricorrenti e i resistenti hanno depositato memorie illustrative;

ritenuto che con il primo motivo il ricorrente B. prospetta “nullità della sentenza ex art. 360, n. 3 o falsa applicazione delle norme di diritto”, nonché “nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4, violazione delle norme che disciplinano il giudizio di rinvio, vizio di ultrapetizione”, assumendo che con il suo intervento la Ba. si era limitata a chiedere il rigetto della domanda diretta alla declaratoria d’usucapione proposta dagli E. e su ciò aveva insistito anche in appello, poiché si trovava sempre nella posizione di interventore; con l’atto di riassunzione quest’ultima aveva apportato modifiche non consentite alla propria originaria domanda, chiedendo che fosse dichiarata proprietaria per usucapione della particella *****, così trasformandosi da interventore ad attore; la sentenza della Corte d’appello, pertanto, doveva reputarsi errata “nella parte in cui ha dichiarato l’intervenuta usucapione dei confronti della sig.ra Ba.”;

ritenuto che con il secondo motivo denunzia “violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, inosservanza e/o errata applicazione da parte del giudice del rinvio del principio di diritto enunciato dalla Suprema corte nella sentenza n. 1296/2010”, in quanto la sentenza “e’ errata laddove in luogo di limitarsi alla valutazione dell’assunto contrasto tra il possesso in capo ai sigg. E. ed alla sig.ra Ba. attribuisce a questa la proprietà dell’intera particella 17, in contrasto con i limiti attribuiti al giudice del rinvio”;

ritenuto che con il terzo motivo lamenta “violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3", ancora una volta sotto il profilo della violazione del principio di diritto enunciato nella sentenza di cassazione, evidenziando che: il Giudice del rinvio era venuto meno al dovere di verificare se sulla base delle emergenze di causa vi era prova che E.C.F. avesse mutato la detenzione in possesso, in particolare non erano state valutate le dichiarazioni testimoniali di B.P. (marito della E.), S.G., Mo.Vi., Ge.Ar. e Z.P.; né la scrittura privata, la quale prevedeva una clausola risolutiva espressa nel caso non fosse stato corrisposto a tale Co. un terzo della rendita del fondo; né le missive inviate da tale G. al B.; in definitiva, erano stati pretermessi tre elementi decisivi, dimostrativi dell'”animus possidendi”: il trasferimento del possesso dal B. alle sorelle E., l’omesso pagamento di un terzo della rendita del fondo al Co. e la costituzione di rapporti di colonia o atipici da parte del possessore ( E.C.F.);

ritenuto che con il quarto motivo il ricorrente deduce l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, nonché “errata valutazione delle prove”, addebitando sostanzialmente due errori alla sentenza impugnata: avere cumulato il periodo di detenzione della “zia P.” con l’ipotizzato possesso della Ba., generato dall’edificazione; non aver considerato la necessaria ventennalità del possesso e sul punto la questione non costituiva eccezione, trattandosi di un presupposto dell’istituto, rilevabile come mera difesa;

ritenuto che con il quinto motivo il B. denunzia ulteriore omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, sempre in merito alla valutazione delle prove, addebitandosi alla sentenza di rinvio non avere tenuto conto delle assai ridotte dimensioni del manufatto (m. 59 su una superficie di 4.500 mq), tollerato da E.C.F., né della pronta reazione della medesima, culminata nell’azione giudiziaria, allorquando la Ba. aveva inteso collocare una scala in ferro, posizionare un serbatoio e aprire finestre);

ritenuto che con il sesto motivo, sviluppato nell’esclusivo interesse di E.I. e V.L., viene prospettata violazione o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonché l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 e art. 111 Cost., comma 2, nei termini seguenti: le predette si erano costituite nel giudizio di rinvio al solo fine di vedere dichiarata la formazione del giudicato quanto all’acquisto per usucapione delle particelle n. *****, sulle quali non vi era oramai controversia, siccome puntualmente riportato dalla sentenza della Corte di Reggio Calabria, pertanto non avrebbero potuto essere condannate a rifondere le spese del F..

CONSIDERATO

che per la preliminarietà che li contraddistingue occorre prendere in prioritario esame il secondo e il terzo motivo;

che i predetti motivi, tra loro correlati, non superano il vaglio d’ammissibilità, valendo quanto segue:

a) a fronte del chiaro contenuto del secondo profilo di censura accolto da questa Corte, con la sentenza n. 1296/2010, appare del tutto doverosa la rivisitazione della vicenda, quanto alla particella *****, dovendo ovviare il giudice del rinvio, alla “mancata valutazione, quale atto idoneo a mutare la detenzione in possesso, dell’attività edificatoria compiuta sul fondo dalla Ba.”, facendo applicazione del principio di diritto secondo il quale “la interversione della detenzione in possesso può avvenire anche attraverso il compimento di attività materiali, se esse manifestino in modo inequivocabile e riconoscibile dall’avente diritto il potere sulla cosa esclusivamente nomine proprio, vantando per sé il diritto corrispondente al possesso in contrapposizione con quello del titolare della cosa” (Cass. n. 12968/2006), come nel caso in cui sia stata realizzata una costruzione (Cass. n. 1802/1995);

b) nel resto l’insieme censuratorio si fa portatore di un’alternativa ricostruzione dei fatti, peraltro priva di specificità, sotto il profilo dell’autosufficienza, chiedendo a questa Corte un improprio giudizio di revisione del vaglio di merito;

considerato che il primo, il quarto e il quinto motivo, una volta escluso, con la declaratoria d’inammissibilità del secondo e del terzo motivo, che il B. abbia titolo a vantare possesso utile all’usucapione sulla particella *****, debbono reputarsi impropriamente assorbiti, stante che il loro vaglio risulta precluso dal difetto d’interesse del B. a censurare la posizione dei controricorrenti, eredi di Ba.An.;

considerato che il sesto motivo, svolto nell’interesse della V. e della E. è inammissibile:

– il Giudice del rinvio ha esposto che le predette, oltre instare perché venisse riconosciuta la definitività della sentenza del giudice d’appello nella parte in cui aveva accolto l’appello incidentale degli E., avevano assunto analoga posizione processuale del B., chiedendo, quindi, il rigetto della domanda degli odierni controricorrenti;

– le ricorrenti non contestano la rispondenza di quanto riportato dalla Corte d’appello alle loro richieste e conclusioni;

– di conseguenza, non si rinviene un fatto processuale controverso da accertare (accertamento che, come noto, può essere svolto dalla Corte di legittimità) e quello incontestatamente accertato dal Giudice del rinvio giustificava la soccombenza;

considerato che il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo;

considerato che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, che liquida in Euro 2.700,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 agosto 2021

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