LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 8558/2017 proposto da:
Arena NPL ONE S.r.l., e per essa doBank S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Lungotevere A. Da Brescia n. 9/10, presso lo studio dell’avvocato Andrea Fioretti, rappresentata e difesa dall’avvocato Guido Uberto Tedeschi, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
A.M., A.C., e M.E., elettivamente domiciliati in Roma, Via Italo Carlo Falbo n. 22, presso lo studio dell’avvocato Angelo Colucci, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato Giovanni Franchi, giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
contro
Arena NPL ONE S.r.l. e per essa doBank S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Lungotevere A. Da Brescia n. 9/10, presso lo studio dell’avvocato Andrea Fioretti, rappresentata e difesa dall’avvocato Guido Uberto Tedeschi, giusta procura in calce al controricorso al ricorso incidentale;
– controricorrente al ricorso incidentale –
T.P., elettivamente domiciliato in Roma, Via Fabio Massimo n. 107, presso lo studio dell’avvocato Giuseppa Finanze, rappresentato e difeso dall’avvocato Stefano Tosi, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
contro
Fallimento ***** S.r.l. in Liquidazione e Mu.Pa.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 241/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 30/01/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 5/05/2021 dal cons. Dott. MARCO MARULLI;
lette le conclusioni scritte (D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni dalla L. n. 176 del 2020) del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa CERONI Francesca, che chiede alla Corte di Cassazione dichiararsi l’inammissibilità o il rigetto di entrambi i ricorsi.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza 2412017 del 30.1.2017 la Corte d’Appello di Bologna, in riforma dell’impugnata decisione di primo grado, che aveva respinto l’opposizione proposta da ***** s.r.l. quale debitore principale e da A.M., T.P., A.C. ed M.E. quali garanti della medesima avverso il decreto ingiuntivo ottenuto da UniCredit Banca d’Impresa a fronte del saldo passivo relativo al conto corrente intestato alla società, ha accolto gli appelli di tutte le parti ingiunte e, sul rilievo che il predetto saldo era imputabile ai differenziali negativi maturati in relazione a due operazioni in derivati del tipo IRS poste in essere dalla società con contratti conclusi il 22-24.5.2001 e il 4.6.2001, dichiarava la nullità dei medesimi e revocava il decreto ingiuntivo, nel contempo pure respingendo la domanda degli appellanti di condanna della banca per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., comma 2.
In particolare, nel motivare le ragioni di accoglimento del gravame la Corte territoriale si dava cura di precisare, richiamando in proposito le norme del TUF e del Reg. Consob 1 luglio 1998, n. 11522, quanto al primo contratto, che “in assenza della prova di una dichiarazione di “autoresponsabilità” sottoscritta dal cliente ex art. 31 reg. cit., si applicano appieno le norme del TU e del reg. Consob, tra cui quelle inerenti la nullità dei contratti conclusi fuori sede ex art. 30 TUF che non riportino la clausola inerente il diritto di recesso; e la regola inerente la necessità di conclusione con promotori finanziari, anche questa stabilita a pena di nullità ex Cass. 3272/2001 e 5114/2001", ritraendone ragione di nullità posto che la banca non aveva mai specificatamente impugnato le circostanze; e quanto al secondo contratto, che pur in presenza della predetta dichiarazione di responsabilità, la presunzione ad essa ricollegabile era nella specie smentita dalla constatazione che la dichiarazione “appare in effetti standardizzata e decontestualizzata, senza alcun riferimento specifico”, che non vi “era traccia di precedenti investimenti in strumenti finanziari” e che “non poteva certo ritenersi rivelatore di una specifica competenza ed esperienza la conclusione del primo analogo IRS neppure 15 giorni prima con altra banca”, tutti indici questi che “tolgono validità alla prestata dichiarazione e fanno rientrare anche il secondo IRS nel campo di applicazione dell’art. 30 TUF, anche per questo essendo pacifica la conclusione fuori sede, ma senza clausola di diritto di recesso e ad opera di soggetto non promotore finanziario”, con conseguente riflessa nullità anche in questo del relativo contratto.
Avverso la predetta decisione propongono ora ricorso a questa Corte la banca, in via principale con un unico motivo, declinato su più profili, e A.M., A.C. ed M.E. in via incidentale con quattro motivi; resistono al ricorso principale il T. ed i ricorrenti incidentali con controricorso e al ricorso incidentale la banca pure con controricorso; non ha svolto attività processuale la ***** s.r.l. nelle more dichiarata fallita.
Memorie delle parti e requisitorie scritte del Procuratore Generale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2. L’unico motivo del ricorso principale recita “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, artt. 21,23,30,31, della disciplina dei contratti swap; degli artt. 1362 c.c. e segg., dei principi sull’onere della prova e dell’art. 642 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.
Si sostiene nell’ordine che l’impugnata decisione d’appello avrebbe errato nel ritenere pacifico che il saldo passivo oggetto di ingiunzione fosse maturato in conseguenza dell’andamento negativo dei contratti IRS stipulati dalla società, avendo la banca nel costituirsi provveduto a contestare “tutte le affermazioni e pretese di controparte”; “nel privare di qualsiasi valore il saldoconto o certificazione prodotta dalla banca”, in tal modo mostrando di non attenersi agli insegnamenti di questa Corte; nell’escludere del pari ogni valore dei documenti a mezzo dei quali la società aveva riconosciuto il proprio debito, ancorché in ragione di ciò si dovesse vedere “un pieno riconoscimento di debito ed un documento decisivo ex art. 642 c.p.c.”; nel reputare applicabili le disposizioni relative alla stipulazione dei contratti fuori sede malgrado ne fossero esclusi gli operatori qualificati, quale si era riconosciuta nella specie la società per bocca del suo legale rappresentante “che aveva dichiarato di possedere una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari”; nel disattendere al riguardo il dictum di Cass. 12138/2009 a mezzo di affermazioni “non basate su prove” che valgono ad escluderne l’applicabilità; nell’aver dichiarato la nullità del primo IRS “attribuendo ingiustamente alla banca comportamenti ed affermazioni non sussistenti per derivarne la nullità”; nell’aver dichiarato la nullità del secondo IRS dubitando che, essendo documentato dal solo “modulo raccolta ordini”, questo “possa da solo costituire l’accordo per iscritto valido ex art. 23 TUF” e privando “di qualsiasi valore la dichiarazione del legale rappresentante della società opponente di possedere una specifica competenza ed esperienza in materia di strumenti finanziari”.
2.2. Così ricostruito il ventaglio delle critiche che la ricorrente muove al provvedimento impugnato, occorre dire che nessuna di esse si mostra in grado di sollecitare idoneamente il vaglio cassatorio qui richiesto.
2.3. La Corte d’Appello, si è visto, ha dichiarato la nullità dei contratti IRS stipulati dalla s.r.l. ***** sul duplice rilievo che per entrambi la conclusione era avvenuta fuori dalla sede dell’azienda bancaria e per il tramite di un promotore non abilitato. Verificando che né l’uno né l’altro contratto prevedevano la clausola assicurante il diritto di recesso dell’investitore, a mente dell’art. 30, comma 7, TUF, giusta il quale “l’omessa indicazione della faccoltà di recesso comporta la nullità dei contratti che può essere fatta valere solo dal cliente”, ne ha conseguentemente dichiarato la nullità, giudicando che la dichiarazione di autoresponsabilità ex art. 31, comma 2, Reg. 11522/1998, in grado di affrancare l’avvenuta stipulazione dall’osservanza delle disposizioni previste per le offerte fuori sede (art. 30, comma 2, TUF), era manchevole nel primo caso e probatoriamente inefficace nel secondo. Poiché, peraltro, la conclusione dei predetti contratti era avvenuta per opera di un promotore non abilitato, la Corte d’Appello ha ritratto da ciò un’ulteriore ragione di nullità in applicazione del principio secondo cui, essendo la predetta attività disciplinata in funzione del superiore interesse pubblico rappresentato dalla tutela dei risparmiatori e del risparmio, è interesse dell’ordinamento a rimuovere gli effetti di un contratto abusivamente concluso e ad affermarne perciò la nullità.
Questo, dunque, il quadro decisionale.
2.4. Rispetto ad esso, taluni dei riferimenti normativi riportati dalla rubrica risultano argomentativamente irrisolti (violazione degli artt. 1362 c.c. e segg.); altri, per quanto in astratto conferenti, non agevolmente perscrutabili e comunque anch’essi privi di un seguito illustrativo (disciplina dei contratti di swap); altri ancora di dubbia pertinenza, considerati gli sviluppi del giudizio seguiti alla pronuncia del decreto ingiuntivo (art. 642 c.p.c.).
Quanto poi alle singole ragioni di critica, anche senza chiedersi preliminamente se la loro declinazione si allinea, sotto il profilo della specificità che richiede la formulazione del motivo di ricorso ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, allo statuto di censurabilità per cassazione degli errori di diritto che si vorrebbero vedere sanzionati, di alcune si apprezza l’eccentricità (disconoscimento del valore del saldoconto; disconoscimento della ricognizione di debito); di altre si fatica a cogliere la pertinenza con le rationes decidendi enunciate dalla decisione (imputazione del saldo passivo all’andamento negativo degli swaps; dubbio sulla conclusione del contratto per mezzo del “modulo raccolta ordini”); di altre ancora è eloquente la radice tautologica (inapplicabilità delle disposizioni fuori sede in difetto di dichiarazione di autoresponsabilità).
2.5. Quando di talune di esse sia ipotizzabile lo scrutinio, per non essere questo previamente pretermesso dal rilevato difetto di specificità, (effetti della dichiarazione di autoresponsabilità), si può ben dire che, anche a concedere che la sua efficacia probatoria sia venuta schiarendosi in direzione del più rassicurante approdo presuntivo (“ne consegue” – precisa ora Cass., 4/04/2018, n. 8343 “che in giudizio, sul piano probatorio, l’esistenza dell’autodichiarazione è sufficiente ad integrare una prova presuntiva semplice della qualità di investitore qualificato in capo alla persona giuridica, gravando su quest’ultima l’onere di allegare e provare specifiche circostanze dalle quali emerga che l’intermediario conosceva, o avrebbe dovuto conoscere con l’ordinaria diligenza, l’assenza di dette competenze ed esperienze pregresse”), la Corte distrettuale ha fatto notare, in relazione al primo contratto, che “non c’e’ alcuna dichiarazione di responsabilità sottoscritta dal cliente” ed in relazione al secondo, che la presunzione da essa ingenerata è smentita “da plurimi elementi specifici espressamente dedotti dagli opponenti, percepibii dalla controparte contrattuale, che tolgono validità alla prestata dichiarazione”, di modo che né in relazione al primo IRS né in relazione al secondo IRS è invocabile, circa la mancata previsione della facoltà di recesso, l’esimente dell’art. 30, comma 2, TUF.
2.6. Priva dunque di concludenza nelle rassegnate deduzioni la prospettazione ricorrente si mostra, infine del tutto cedevole allorché omette di considerare che la declaratoria di nullità pronunciata dalla Corte territoriale si vale di una duplice ratio decidendi (mancanza della clausola di recesso e conclusione procacciata da promotore non abilitato), la seconda delle quali non è fatta oggetto di alcuna aggressione, dato che nel coacervo delle viste ragioni di critiche nessuna di esse si sofferma sul fatto che i contratti di che trattasi erano stati conclusi per il tramite di un promotore non abilitato e che anche per questo ne era stata dichiarata la nullità. Ed è appena il caso di ricordare, al riguardo, che “qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, l’omessa impugnazione di tutte le “rationes decidendi” rende inammissibili, per difetto di interesse, le censure relative alle singole ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime, quand’anche fondate, non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre non impugnate, all’annullamento della decisione stessa” (Cass., Sez. I, 18/09/2006, n. 20118).
3. Dichiarato perciò inammissibile il ricorso principale, anche i primi tre motivi del ricorso incidentale degli A. – M., merce’ il quale si deduce che la nullità del primo IRS si sarebbe comunicata al secondo per via del collegamento negoziale esistente tra essi, che lo swap genererebbe un negozio nullo e che nella specie sarebbero gli obblighi comportamentali gravanti sull’intermediario, condividono la medesima sorte.
Posto per vero che costoro all’esito dei giudizio di gravame sono risultati in parte qua totalmente vittoriosi avendo la Corte d’Appello dichiarato la nullità del contratti e proceduto perciò a revocare il decreto ingiuntivo pronunciato nei loro confronti che ne riportava il saldo passivo, è salda convinzione di questa Corte che, poiché l’interesse all’impugnazione, che è una manifestazione dell’interesse ad agire (Cass., Sez. U., 19/05/2008, n. 12637) essendo diretto a garantire l’utilità concreta che la parte spera di conseguire per mezzo della pronuncia impugnatoria (Cass., Sez. VI-V, 18/02/2020, n. 3991; Cass., Sez. IV, 11/07/2014, n. 16016; Cass., Sez. II, 25/06/2010, n. 15353), postula la soccombenza dell’impugnante (Cass., Sez. V, 22/09/2017, n. 22095; Cass., Sez. I, 1/07/2008, n. 17957; Cass., Sez. II, 27/07/2005, n. 15705), è inammissibile, per difetto di interesse, il ricorso incidentale per Cassazione della parte vittoriosa in secondo grado per le questioni, domande o eccezioni, rilevanti per la decisione, da essa prospettate e non decise, neppure implicitamente, in quanto assorbite da quelle accolte (Cass., Sez. III, 12/06/2020, n. 11270; Cass., Sez. V, 20/12/2012, n. 23548; Cass., Sez. II, 30/03/2000, n. 3908). Onde in relazione ai primi tre motivi il ricorso incidentale risulta inammissibile.
4. Anche il quarto motivo di ricorso, con cui si censura il capo della decisione d’appello che, giudicando la banca esente da colpa grave, ha respinto la domanda risarcitoria degli appellanti incidentali ex art. 96 c.p.c., comma 2, si espone al medesimo giudizio di inammissibilità, essendo invero diretto a promuovere la rivalutazione del quadro fattuale sotteso alla vicenda e a sollecitare con ciò il sindancato di questa Corte su profili meritali di questa estranei al giudizio di legittimità.
5. Vanno dunque dichiarati inammissibili tanto il ricorso principale che il ricorso incidentale.
6. Le spese possono essere perciò compensate nel rapporto tra la banca e gli A. – M., mentre seguono il principio della soccombenza nel rapporto tra la banca ed il T..
7. Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico di tutti i soccombenti del contributo unificato dovuto ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili entrambi i ricorsi e compensa le spese del presente giudizio tra la banca e gli A. – M.; condanna la banca al pagamento delle spese del presente giudizio in favore di T.P. che liquida in favore del medesimo in Euro 6200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte di entrambe le parti ricorrenti, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Si dà atto che la presente sentenza viene sottoscritta dal solo Presidente in applicazione delle disposizioni impartite dal Primo Presidente con Decreto 18 marzo 2020, n. 40/2020.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 5 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 26 agosto 2021