Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.23498 del 26/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1533/2017 proposto da:

C. Film di Z.A. e M.C. s.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Francesco Slacci, 38, presso lo studio dell’avvocato Alessandro Giussani, che lo rappresenta e difende in forza di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ripley’s Film, in liquidazione s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in Roma, Via Delle Quattro Fontane 161, presso lo studio dell’avvocato Lorenzo Attolico, che lo rappresenta e difende, in forza di procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3563/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 04/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 19/05/2021 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 15/4/2005 la Ripley’s Film s.r.l. (di seguito, Ripley’s) ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma la C. Film di Z.A. e M.C. s.n.c. (di seguito, C.) lamentando che la convenuta avesse concluso senza il suo consenso una serie di contratti per lo sfruttamento di alcune opere cinematografiche per le quali essa era contitolare dei diritti di sfruttamento e utilizzazione economica (“*****”, al 60%; “*****” al 50%; “*****” al 50%; “*****”, al 35%) e chiedendo il rendiconto delle somme incassate e il relativo pagamento.

Si è costituita in giudizio la C., sostenendo di essere la legittima distributrice delle opere in questione, in quanto subentrata nel mandato a suo tempo conferito dai propri partners alla Lux Film s.r.l. società incorporata nel 1998, e titolare di un mandato esclusivo e perpetuo per l’Italia e il mondo.

Con sentenza non definitiva del 25/7/2013 il Tribunale di Roma ha accolto parzialmente la domanda di Ripley’s, accertando l’illecito sfruttamento esclusivo dei suoi diritti, ma ha rigettato la sua richiesta di risarcimento dei danni e con separata ordinanza ha disposto per l’ulteriore corso della domanda di rendiconto e pagamento dei compensi.

2. Avverso la predetta sentenza non definitiva di primo grado ha proposto appello la C., a cui ha resistito l’appellata Ripley’s. La Corte di appello di Roma con sentenza del 4/6/2016 ha respinto l’appello della C. con aggravio delle spese del grado.

La Corte di appello ha ritenuto che la C. avesse interesse a proporre impugnazione, nonostante il rigetto della domanda risarcitoria; che per i film “*****”, le cui quote erano però state nel frattempo cedute dalla C., e “*****”, rispettivamente, non vi fosse in atti il contratto di mandato in rem propriam fatto valere da C. o vi fosse un documento privo di sottoscrizione; che per gli altri due film, ossia “*****” e “*****”, l’acquisto delle quote, in origine spettanti a ***** (che a suo tempo aveva conferito il mandato a Lux), da parte di Ripley’s era avvenuto a titolo particolare, senza che l’acquirente fosse stato specificamente vincolato al rispetto del mandato stipulato dalla dante causa, che pertanto non gli era opponibile.

3. Avverso la predetta sentenza del 4/6/2016, non notificata, con atto notificato il 3/1/2017 ha proposto ricorso per cassazione la C., svolgendo tre motivi.

Con atto notificato il 10/2/2017 ha proposto controricorso e ricorso incidentale la Ripley’s, chiedendo la dichiarazione di improcedibilità o inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare la controricorrente ha eccepito l’improcedibilità e l’inammissibilità dell’avversario ricorso ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 e dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, per la mancata indicazione e sintesi nel testo del ricorso e il mancato deposito dei documenti “sui quali esso dovrebbe fondarsi”, sostituito dalla semplice dichiarazione di deposito dei fascicoli dei precedenti gradi di giudizio.

La censura, che invero tratta in modo promiscuo e sovrapposto due diversi addebiti mossi al ricorso avversario, non può essere accolta.

Quanto all’eccezione di improcedibilità, il ricorso non si basa sui documenti in questione ma su di una tesi in diritto sulla loro opponibilità a Ripley’s, tanto che la controricorrente utilizza il condizionale nell’ipotizzare il fondamento del ricorso.

L’eccezione di inammissibilità e difetto di autosufficienza verrà valutata in occasione dell’esame dei singoli motivi di ricorso.

2. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360, n. 4 (presumibile errore materiale per n. 3, vertendosi in tema di dedotta violazione di legge sostanziale), c.p.c., il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 1723 c.c..

2.1. Secondo la ricorrente, non era condivisibile la tesi della Corte capitolina secondo la quale il contratto di mandato in rem propriam avrebbe potuto essere opposto alla Ripley’s solo se fosse stato da questa esplicitamente riconosciuto e non già per il mero subentro da parte sua nella titolarità delle quote dei diritti di sfruttamento.

Ciò essenzialmente perché tali diritti erano pervenuti a Ripley’s per effetto di cessione a titolo particolare ad opera del fallimento della originaria contitolare, *****, perché si trattava di mandati in rem propriam nell’interesse del mandatario ex art. 1723 c.c., comma 2 e perché lo scioglimento del mandato è previsto solo in caso di fallimento del mandatario e non del mandante L. Fall., ex art. 78.

2.2. I tre profili argomentativi con i quali la C. cerca di confutare il fondamento della decisione assunta dalla Corte territoriale non appaiono convincenti.

2.2.1. In primo luogo, il fatto che i diritti di sfruttamento erano pervenuti a Ripley’s per effetto di cessione a titolo particolare ad opera del fallimento di *****, originaria contitolare in comunione con la dante causa della C. (l’incorporata Lux), non dimostra affatto che Ripley’s sia subentrata anche nel distinto contratto di mandato – obbligatorio e personale – che vincolava la *****, quasi si trattasse di una sorta di obligatio propter rem, in assenza di un adeguato fondamento normativo e per giunta di un adeguato sistema di pubblicità.

2.2.2. L’art. 1723 c.c., comma 2, in tema di mandato conferito anche nell’interesse del mandante (il cosiddetto mandato in rem propriam) trae da questa sua specifica connotazione una particolare attitudine a resistere a circostanze afferenti la sfera del mandante (revoca, in difetto di specifica previsione o giusta causa; morte; sopravvenuta incapacità) per tutelare il concorrente interesse del mandatario.

Tuttavia nella presente fattispecie non si tratta di nessuna di queste ipotesi e si discute semplicemente se si realizzi un fenomeno di successione automatica nel rapporto di mandato (ex latere del mandante) per effetto dell’acquisto della titolarità dei diritti al cui esercizio il mandato si riferisce, secondo uno schema, per così dire, “ambulatorio” propter rem.

2.2.3. La L. Fall., art. 78, prevede lo scioglimento del mandato solo in caso di fallimento del mandatario e non in caso di fallimento del mandante, in concreto verificatosi nella presente fattispecie.

Anche in questo caso l’obiezione non coglie il segno perché la Corte di appello non ha affatto sostenuto che il contratto di mandato si era sciolto a causa del fallimento della *****, ma semplicemente che esso, proprio perché vincolava solo la ***** e il suo fallimento, non poteva essere opposto all’acquirente dei diritti che non avesse espressamente accettato di subentrarvi.

2.3. Nessuna delle obiezioni mosse da C. è capace di infrangere la corretta logica giuridica che ispira la sentenza impugnata, secondo cui nel nostro ordinamento l’acquirente di un bene non subentra nei contratti stipulati dal cedente per la sua gestione, salvi i casi eccezionali specificamente previsti dalla legge, fra cui spicca l’ipotesi di cui all’art. 2558 c.c., in tema di cessione di azienda.

Tali considerazioni sono corroborate dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di mandato in rem propriam all’incasso e successiva transazione del mandante, che ha escluso ogni connotato di realità del vincolo e ha attribuito al mandatario una tutela di tipo risarcitorio in presenza dei relativi presupposti. E’ stato infatti affermato che il mandato ad esigere un debito del terzo, conferito dal mandante al proprio creditore anche nell’interesse di quest’ultimo (mandato irrevocabile, cosiddetto in rem propriam), non comporta, di per se, successione nel rapporto obbligatorio o novazione ex parte creditoris, in quanto lascia in capo al mandante la titolarità del diritto ed il potere di disporne; di conseguenza l’atto con cui il mandante dispone del credito verso il terzo (nella specie, transazione) impedisce al mandatario di esigere dal terzo una prestazione superiore a quella risultante dall’atto stesso, ferma restando l’esperibilità contro il mandante della actio mandati contraria, o dell’azione di risarcimento dei danni, ove quell’atto di disposizione configuri una non consentita revoca del mandato, pregiudicante l’interesse del mandatario (Sez. 1, n. 3157 del 18/09/1976, Rv. 381931 – 01; cfr. anche Sez. 1, n. 10819 del 04/12/1996, Rv. 501038 – 01).

A fortiori, tale esito va confermato in caso di solidarietà attiva e nelle situazioni di contitolarità e successione nella contitolarità dei diritti di sfruttamento, nelle quali semmai dovrà rispondere (in presenza dei relativi presupposti) la cedente e mandante, ove esse abbia cagionato danno alla mandataria.

La Corte ritiene quindi di enunciare il seguente principio di diritto al quale la Corte capitolina si è correttamente attenuta: “L’acquirente di un bene, in difetto di pattuizione ad hoc all’atto della cessione, non subentra nei contratti stipulati dal cedente per la sua gestione e in particolare in un mandato in rem propriam ex art. 1723 c.c., comma 2, salvi i casi eccezionali specificamente previsti dalla legge, fra cui l’ipotesi di cui all’art. 2558 c.c., in tema di cessione di azienda”.

3. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, la ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti e contraddittorietà della motivazione perché la Corte di appello non aveva considerato la produzione da parte della C. degli estratti autentici del Pubblico registro cinematografico dai quali risultava che essa era la legittima titolare sia dei diritti di proprietà, sia dei diritti di distribuzione dei filati per cui è causa.

3.1. Il motivo è inammissibile per varie ragioni concorrenti.

3.2. In primo luogo, l’art. 348 ter c.p.c., comma 5, non consente la proposizione del ricorso ai sensi dell’art. 360, n. 5, per vizio motivazionale quando – come nel presente caso – la sentenza di appello è fondata sulle stesse ragioni, inerenti a questioni di fatto, poste a baso della decisione di primo grado (caso di “doppia conforme”).

3.3. In secondo luogo, la ricorrente non trascrive – né sintetizza adeguatamente – il contenuto dei documenti di cui invoca la decisività e lamenta l’omesso esame, neppure allegati al ricorso specificamente.

Inoltre, la ricorrente non riferisce quando e come avrebbe sottoposto tali documenti al contraddittorio e la loro collocazione negli atti processuali.

3.4. Il nuovo testo dell’art. 360, n. 5, in tema di ricorso per vizio motivazionale deve essere interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, nel senso della riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; secondo la nuova formula, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. un., 07/04/2014, n. 8053; Sez. un., 22/09/2014, n. 19881; Sez. un., 22/06/2017, n. 15486).

Inoltre, secondo le Sezioni Unite, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

3.5. Il fatto non sarebbe comunque decisivo perché quand’anche C. potesse essere considerata contitolare dei diritti sulle due opere “*****”, prima della pacifica cessione e “*****”, cionondimeno non potrebbe opporre il mandato alla Ripley’s per le ragioni esposte nel p. 2.

4. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, la ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti e contraddittorietà della motivazione perché la Corte di appello non aveva considerato le conseguenze dell’avvenuta accettazione da parte di Ripley’s dei pagamenti effettuati in suo favore relativamente alle quote ad essa spettanti sulle opere cinematografiche in questione.

4.1. Il motivo è inammissibile per varie ragioni concorrenti.

4.2. In primo luogo vi osta il disposto dell’art. 348 ter c.p.c., comma 5, come esposto nel precedente p. 3.2.

4.3. In secondo luogo, la ricorrente non trascrive – né sintetizza adeguatamente – il contenuto degli atti (pagamenti) di cui invoca la decisività e lamenta l’omesso esame, neppure allegati al ricorso specificamente.

Inoltre, la ricorrente non riferisce quando e come avrebbe sottoposto tali documenti al contraddittorio e la loro collocazione negli atti processuali.

4.4. L’intera tesi sostenuta dalla C. è comunque infondata.

Non vi è alcuna incompatibilità logica fra l’accettazione dei pagamenti per l’avvenuto sfruttamento dei diritti sulle opere, comunque preteso in giudizio da Ripley’s, e il disconoscimento del diritto di procedere alle scelte di gestione senza preventiva autorizzazione in forza del contratto di mandato, tanto più che la stessa C. ha rivendicato il diritto di avvalersi del mandato in rem propriam ma non ha contestato di dover rendere conto del risultato di gestione alla nuova contitolare dei diritti.

5. Il ricorso, proposto sulla base di motivi inammissibili o infondati, deve essere complessivamente rigettato.

Le spese seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte;

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidate nella somma di Euro 6.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 19 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 agosto 2021

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