LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 32227-2019 proposto da:
P.R., elettivamente domiciliato in Milano, via Zanella n. 68 presso l’avv. ROSALIA BENNATO;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– resistente –
avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 25/09/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/03/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI.
RITENUTO IN FATTO
Che:
1.- P.R. è cittadina cinese. Secondo il suo racconto, in patria, si è convertita al culto della Chiesa di Dio, che però risulterebbe avversato dal potere costituito, il quale arriva a perseguitare gli adepti di tale religione, come avrebbe fatto con lei, arrestandola insieme ad una consorella, per costringerla a fare il nome del direttore della Chiesa; avendo la ricorrente opposto resistenza alla delazione, ha temuto più gravi repressioni, e dunque si è decisa ad andare via dalla Cina.
In Italia ha chiesto la protezione internazionale ed umanitaria 2.- Impugna un decreto del Tribunale di Milano, che, ritenendo non veritiero il suo racconto, ha rigettato la domanda di protezione internazionale, compresa quella sussidiaria, ed ha altresì ritenuto, ai fini della protezione umanitaria che la ricorrente non si è integrata in Italia, e non ha pericoli da correre in caso di rimpatrio. 3.-Il ricorso è basato su due motivi. Il Ministero si è costituito ma non ha notificato controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Che:
4.- Il primo motivo denuncia essenzialmente violazione della L. n. 25 del 2008, art. 35 bis: ritiene la ricorrente che la decisione è nulla in quanto il Tribunale non ha proceduto a nuova audizione, a cui era tenuto, stante la mancanza di videoregistrazione.
In realtà il motivo, da un lato, sembra censurare la mancata audizione, mentre, per altro verso, la mancata fissazione della udienza di comparizione: due violazioni tra loro diverse e di diverso rilievo.
Il motivo è infondato.
E’ regola che ove venga impugnato il provvedimento di diniego della commissione territoriale e non sia disponibile la videoregistrazione del colloquio, il giudice deve necessariamente fissare l’udienza di comparizione delle parti ma, se non sono dedotti fatti nuovi o ulteriori temi d’indagine, non ha l’obbligo di procedere all’audizione del richiedente, salvo che quest’ultimo non ne faccia espressa richiesta deducendo la necessità di specifici chiarimenti, correzioni e delucidazioni sulle dichiarazioni rese in sede amministrativa (Cass. 25439/2020; Cass. 21584/2020).
L’udienza di comparizione risulta essere stata fissata (per l’8.4.2019), e non è provato che vi fossero fatti nuovi da sottoporre al giudice.
5.- Il secondo motivo denuncia violazione della L. n. 251 del 2007, art. 3, della L. n. 25 del 2008, art. 8, ed omesso esame.
Essenzialmente mirato a censurare il giudizio di inverosimiglianza del racconto fatto dalla ricorrente, ma contiene censura anche del mancato riconoscimento della protezione sussidiaria e di quella umanitaria.
In primo luogo, dunque, si censura il giudizio di non credibilità del racconto. Secondo la ricorrente, il Tribunale ha reso una motivazione apparente, in quanto stereotipata, e non aderente al caso concreto; inoltre, ha trascurato la documentazione probatoria offerta.
Quanto alla protezione sussidiaria, si assume come infondata la tesi che la persecuzione religiosa non sia una persecuzione rilevante; quanto alla umanitaria invece non si è tenuto conto della integrazione nella società italiana della ricorrente.
Il motivo è infondato.
Intanto, il giudizio di verosimiglianza è reso conformemente ai criteri della L. n. 251 del 2007, art. 3: il Tribunale indica in modo specifico, e non già stereotipato, le ragioni della sua decisione, che stanno nella genericità del racconto e nella sua intrinseca inverosimiglianza (la ricorrente, pur ritenendo di essere sorvegliata, minacciata di arresto, è espatriata con regolare visto, oltre ad altre incongruenze).
Va ribadito che la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera opinione del giudice ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, tenendo conto “della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente” di cui al comma 3 dello stesso articolo, senza dare rilievo esclusivo e determinante a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati del racconto. Detta valutazione, se effettuata secondo i criteri previsti dà luogo ad un apprezzamento di fatto, riservato al giudice del merito, essendo altrimenti censurabile in sede di legittimità per la violazione delle relative disposizioni (Cass. 14674/2020).
Quanto invece alla protezione sussidiaria si fa questione di quella prevista alle lettere a) e b), in quanto si discute di persecuzione, forma di protezione che però presuppone la veridicità del racconto; quanto infine alla protezione umanitaria, la censura è fuori dalla ratio decidendi, che è basata, al contrario, proprio sulla ritenuta non integrazione in Italia (dedotta altresì dalla ignoranza della lingua), e sulla circostanza che, come risulta da fonti internazionali – notizia questa sfruttata adeguatamente dal Tribunale anche ai fini del giudizio di credibilità- non necessariamente il culto asseritamente professato dalla ricorrente risulta avversato in Cina, cosi che il rimpatrio non è provato che esponga a rischi di violazione di diritti.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, il 17 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 30 agosto 2021