LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –
Dott. BUFFA Francesco – rel. Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3753-2020 proposto da:
L.V., Q.E., quali esercenti la potestà genitoriale sulla minore L.E., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CARLO POMA, 2, presso lo studio dell’avvocato SILVIA ASSENNATO, che li rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Dirigente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso lo studio dell’avvocato CLEMENTINA PULLI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati PATRIZIA CIACCI, MANUELA MASSA;
– resistente –
avverso il decreto RG 817/2019 del TRIBUNALE di VELLETRI, del 07/11/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 22/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO BUFFA.
FATTO E DIRITTO
Con decreto del 7.11.19 il tribunale di Velletri ha omologato l’accertamento tecnico preventivo che ha riconosciuto che la figlia dei ricorrenti, L.E., si trova nelle condizioni di legge per fruire dell’indennità di frequenza, con decorrenza dalla data della domanda amministrativa, ed ha condannato l’INPS al pagamento delle spese di lite liquidate in Euro 800, comprensivi di spese generali.
Avverso tale sentenza ricorrono i signori L., che lamentano -con unico motivo- violazione di legge in ragione della liquidazione delle spese al di fuori dello scaglione delle tariffe applicabile in relazione al valore della controversia e con indebito inglobamento nelle predette spese anche delle spese generali. L’INPS è rimasto intimato.
Il ricorso è manifestamente fondato.
In tema di liquidazione delle spese, questa Corte ha affermato (Sez. 6 2, Ordinanza n. 26706 del 21/10/2019, Rv. 655753 – 01) che, a norma del D.L. n. 223 del 2006, art. 2, commi 1 e 2, conv. con modif. dalla L. n. 248 del 2006, l’abolizione dei minimi tariffari può operare nei rapporti tra professionista e cliente, ma l’esistenza della tariffa mantiene la propria efficacia quando il giudice debba procedere alla regolamentazione delle spese di giudizio in applicazione del criterio della soccombenza. Per altro verso, si è aggiunto (Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 10343 del 01/06/2020, Rv. 657887 – 01) che, in tema di liquidazione delle spese processuali successiva al D.M. n. 55 del 2014, non sussistendo più il vincolo legale della inderogabilità dei minimi tariffari, i parametri di determinazione del compenso per la prestazione defensionale in giudizio e le soglie numeriche di riferimento costituiscono criteri di orientamento e individuano la misura economica “standard” del valore della prestazione professionale; pertanto, il giudice è tenuto a specificare i criteri di liquidazione del compenso solo in caso di scostamento apprezzabile dai parametri medi.
La corte territoriale non si è attenuta a questi principi, avendo operato condanna alle spese sotto i minimi (cfr. anche Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 19613 del 04/08/2017, Rv. 645187 – 01), liquidandole in misura inferiore a quella spettante in relazione al valore della causa, da determinarsi in relazione al biennio della prestazione richiesta in giudizio (ex art. 13 c.p.c.: Cass. Sez. VI-L, ordinanze n. 2824 del 2019 e 22246 del 2019), e dunque nello scaglione tra Euro 5.200,00 ed Euro 26.000,00, in tale scaglione rientrando l’ammontare di due annualità della prestazione richiesta, con applicazione dei parametri della tabella 4 del D.M. n. 55 del 2014 e con la riduzione prevista dal relativo art. 4.
Il decreto impugnato deve dunque essere cassato limitatamente al capo relativo alle spese; non essendo necessari ulteriori accertamenti, la causa può essere decisa nel merito con la condanna dell’INPS al pagamento della somma di Euro 911,00 per il giudizio di merito, oltre spese generali ed accessori come per legge.
Le spese del giudizio di legittimità vanno compensate in considerazione della non rilevante entità dello scarto tra le spese dovute e quelle liquidate nel grado pregresso (cfr. Cass. sez. 6-L, n. 5109/16).
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata nel capo relativo alle spese, e, decidendo nel merito, condanna l’INPS al pagamento in favore dei ricorrenti della somma di Euro 911,00 per il giudizio di merito, oltre spese generali ed accessori come per legge; spese del giudizio di legittimità compensate.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2021