Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.23647 del 31/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – rel. Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23756-2019 proposto da:

M.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO, 38, presso lo studio dell’avvocato MARCO LANZILAO, che lo rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso il provvedimento n. cronol. 555/2019 del TRIBUNALE di PERUGIA, depositato il 11/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/12/2020 dal Presidente MARIA ROSARIA SAN GIORGIO.

FATTI DI CAUSA

1.- Il Tribunale di Perugia ha rigettato l’opposizione proposta da M.B., cittadino del *****, nei confronti del provvedimento della competente Commissione Territoriale di rigetto della sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale nelle diverse forme.

Il ricorrente aveva dichiarato di aver abbandonato la casa familiare dopo essere stato maltrattato dal secondo marito della madre (era orfano di padre) e di essersi recato nel villaggio di *****, dove aveva lavorato come autista, e dove un giorno accidentalmente, nel mettere in moto un’autovettura, aveva cagionato la morte di un uomo, e di avere perciò lasciato il suo Paese temendo la vendetta dei familiari e comunque il carcere a vita.

Il Tribunale ha ritenuto poco credibile la narrazione in quanto generica e contraddittoria nonché priva di elementi di riscontro.

Pertanto il giudice di merito ha rigettato la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato, non essendo il richiedente a rischio di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale od opinione politica, e la richiesta di protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b) per non essere lo stesso sottoposto, attesa la non credibilità, e, ai sensi dello stesso art. 14, lett. C per non essere ravvisabile in *****, alla stregua delle fonti consultate, la presenza di un conflitto armato da cui possa scaturire una violenza indiscriminata, essendo iniziata una nuova fase storico-politica per il Paese.

Allo stesso modo, non essendo emersi riferimenti ad una situazione di vulnerabilità per la non credibilità della versione della propria vicenda fornita dal richiedente, e non essendo sufficiente a tale scopo la prospettazione di una situazione di indigenza conseguente alla condizione di orfano di padre, né il rilievo della giovane età del ricorrente al momento dell’abbandono del proprio Paese, non sussistevano le condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria, non costituendo l’attestata partecipazione a corsi di formazione elemento di rilievo quanto alla dimostrazione di una avvenuta integrazione in Italia.

Per la cassazione di tale decreto propone ricorso il B. sulla base di tre motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto attività difensiva, essendosi costituito solo ai fini della partecipazione alla eventuale udienza di discussione.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione del D.Lgs. n. n. 25 del 2008, art. 14 come novellato nella parte in cui prevede la disponibilità della videoregistrazione del colloquio effettuato con la Commissione Territoriale e dell’art. 35-bis, commi 9, 10 e 11, per la mancata audizione del richiedente la protezione in assenza di videoregistrazione del colloquio con la Commissione Territoriale. Essendo mancata tale audizione, il giudice di merito non avrebbe potuto ritenere non credibile la narrazione operata dallo stesso richiedente.

1.1. – La censura è infondata.

1.2. – Deve, al riguardo, ribadirsi l’orientamento di questa Corte alla stregua del quale nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile (Cass., sent. n. 21584 del 2020).

2.- Con il secondo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e art. 19 per il mancato riconoscimento della protezione umanitaria, con particolare riferimento alla circostanza della minore età al momento dell’ingresso in Italia e l’omessa applicazione dell’art. 10 Cost.

3. – Il motivo è fondato.

In tema di protezione umanitaria, il giudice, ai fini dell’individuazione di eventuali situazioni di vulnerabilità, nell’accertare il livello d’integrazione raggiunto in Italia dal richiedente, comparato con la situazione in cui versava prima dell’abbandono del paese di origine, deve valutarne la minore età, in considerazione della particolare tutela di cui gode nel nostro ordinamento il migrante minorenne, in specie ove sia non accompagnato, trattandosi di condizione di “vulnerabilità estrema”, prevalente rispetto alla qualità di straniero illegalmente soggiornante nel territorio dello Stato, avuto riguardo all’assenza di familiari maggiorenni in grado di prendersene cura ed al conseguente obbligo dello Stato di adottare tutte le misure necessarie per non incorrere nella violazione dell’art. 3 Cedu (v. Cass., 11743 del 2020).

Nella specie il giudice di merito, nell’escludere i presupposti per la protezione umanitaria, si è limitato a ritenere insufficiente l’inserimento sociale e lavorativo in Italia del richiedente, considerando di per sé non rilevante, ai fini in esame, la sua giovane età e non ponendosi il problema della minore età dello stesso, né curandosi di valutare la eventuale condizione del richiedente di minore straniero non accompagnato, senza considerare che tale condizione, al pari di altre, come lo stato di gravidanza, l’età avanzata, la disabilità, etc., determina, pur in mancanza di un concreto rischio per la vita, l’integrità fisica o la libertà individuale, il pericolo, in caso di rimpatrio, di una significativa ed effettiva compromissione dei diritti fondamentali inviolabili del richiedente.

5. – Resta assorbito dall’accoglimento del secondo motivo l’esame del terzo, con il quale si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, artt. 19 e 31, del D.Lgs. n. 142 del 2015, art. 19 nonché della L. n. 47 del 2017, art. 13 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 13 per la mancata attivazione del procedimento previsto per il richiedente minorenne.

5.- Conclusivamente, deve essere accolto il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo, assorbito il terzo. Il decreto impugnato deve essere cassato in relazione al motivo accolto e la causa deve essere rinviata, anche per il regolamento delle spese, che la riesaminerà tenendo conto del principio di diritto enunciato sub 3.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo, rigetta il primo, assorbito il terzo. Cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, al Tribunale di Perugia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 3 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2021

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