Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.23662 del 31/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6172-2016 proposto da:

COSTRUZIONI EDILI SRL, IN PERSONA DEL SUO LEGALE RAPPRESENTANTE PRO TEMPORE, rappresentata e difesa dall’avv. NICOLA LOCONTE;

– ricorrente –

contro

D.T.C., BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA, IN PERSONA DEL SUO LEGALE RAPPRESENTANTE PRO-TEMPORE;

– intimati –

T.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA VESCOVIO 21, presso lo studio dell’avvocato TOMMASO MANFEROCE, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI FRANZESE;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

COSTRUZIONI EDILI S.R.L., IN PERSONA DDEL SUO LEGALE RAPPRESENTANTE PRO-TEMPORE, rappresentata e difesa dall’avv. NICOLA LOCONTE;

– controricorrente avverso ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 1116/2015 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 20/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/12/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO.

FATTI DI CAUSA

D.T.C. e T.G. convenivano in giudizio nel giugno 2006 innanzi al Tribunale di Trani la Costruzioni Edili di Scaringi S.r.l. la Banca Monte dei Paschi di Siena.

Le parti attrici esponevano:

di aver venduto alla società convenuta, con atto pubblico del 29 luglio 2002, un suolo edificatorio in località ***** al prezzo pattuito, in origine, in Euro 1.300.000,00 e da versare entro il 7 ottobre 2002;

che in tale ultima data avevano, quindi, pattuito che la società -in luogo del suddetto prezzo- avrebbe venduto agli attori medesimi, con preliminari quietanzati, alcuni piani fuori terra delle erigende palazzine da realizzare sul terreno e un numero di box auto non inferiore a 12; che successivamente, ancora, con altro atto del 9 marzo 2005 le parti avevano nuovamente modificato i patti, convenendo il trasferimento di altre unità immobiliari, oltre al versamento di una somma in contanti di Euro 1.250.000,00 da versare per Euro 150.000,00 alla sottoscrizione e – per il resto – in ventidue rate mensili da Euro 50mila; che la società convenuta, dopo il versamento iniziale di talune rate, non versava più alcunché, né provvedeva a trasferire gli immobili promessi;

che veniva contratto mutuo fondiario trentennale sul suolo de quo con concessione di ipoteca volontaria per l’importo di otto milioni di Euro e che la società convenuta si stava liberando di tutti gli immobili.

Tanto esposto parti attrici chiedevano all’adito Tribunale: di fissare un termine perentorio ai sensi dell’art. 1482 c.c. per la liberazione dei beni, obbligando l’istituto bancario convenuto al frazionamento del mutuo con esclusione delle unità immobiliari compromesse in favore degli attori; di emettere sentenza costituiva del contratto non concluso dalla società convenuta ai sensi dell’art. 2932 c.c.; di pronunciare condanna al risarcimento dei danni; di condannare la società convenuta al pagamento delle penali pattuite nei contratti preliminari.

Costituitasi in giudizio la Banca Monte dei Paschi esponeva che gli immobili oggetto di lite erano già stati liberati dall’ipoteca prima della notificazione dell’atto di citazione, chiedendo l’estromissione dal giudizio, con rigetto di ogni istanza risarcitoria nei propri riguardi e istanza di manleva nei confronti della società convenuta.

La convenuta società Costruzioni Edili resisteva all’avversa domanda attorea ed esponeva di aver appreso che nel marzo del 2006 gli attori avevano ricevuto l’intero prezzo di Euro 1.300.000,00 con la conseguenza della nullità di tutte le ulteriori pattuizioni addotte dalle parti attrici sostanzianti novazioni di obbligazione già estinta.

La società convenuta instava, quindi, per il rigetto di ogni pretesa nei propri confronti e chiedeva la condanna degli attori alla restituzione della somma già pagata di Euro 700.000,00, oltre interessi e risarcimento dei danni morali e da lite temeraria ex art. 96 c.p.c.

L’adito Tribunale di prima istanza, disattesa l’istanza di sequestro giudiziario e concesso successivamente in favore delle parti attrici sequestro conservativo, provvedeva – in seguito – alla riunione del giudizio scaturito dalla detta citazione del giugno 2006 con altro giudizio sorto da citazione del novembre 2006, con la quale i medesimi attori D.T.- T. chiedevano l’accertamento dell’inadempimento della società Costruzioni Edili, con condanna della stessa al pagamento della somma a saldo di Euro 550mila, oltre risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c..

Lo stesso Tribunale provvedeva, quindi, con sentenza n. 765/2010 disponendo:

il rigetto della domanda ex art. 2932 c.c. e della domanda nei confronti della Banca MPS;

la condanna della società Costruzioni Edili al pagamento, in favore degli attori, della somma di Euro 122.000,00, oltre interessi, nonché della somma di Euro 285.000,00, da rivalutare e delle ulteriori somme di Euro 550mila, oltre interessi e di Euro 30mila,oltre rivalutazione ed interessi.

La società convenuta veniva, infine, condannata al pagamento in favore degli attori delle spese del procedimento e di quelle del sequestro.

I D.T.- T. interponevano appello per la riforma della decisione del Tribunale di prima istanza lamentando il mancato accoglimento della domanda di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c., previa autorizzazione al deposito del foglio mancante (il secondo) della nota di trascrizione (non esaminata in primo grado) della citazione in giudizio, che avrebbe consentito l’accoglimento della detta domanda di esecuzione in forma specifica pur stanti gli atti di vendita degli immobili da parte della società edilizia in favore di terzi. Parti appellanti principali instavano, altresì, per l’accoglimento della domanda di risarcimento danni con condanna al pagamento dell’intera somma di cui alla scrittura privata del 9 marzo 2005 ovvero – in subordine – delle somme indicate nei preliminari.

L’appellata Banca Monte dei Paschi chiedeva il rigetto dell’interposto gravame e spiegava appello incidentale per la condanna delle parti appellanti principali al risarcimento dei danni da lite temeraria.

La Costruzioni edili S.r.l., già Costruzioni Edili di Scaringi S.r.l., chiedeva il rigetto dell’appello principale e formulava appello incidentale lamentando – in particolare – la non rituale acquisizione della succitata nota di trascrizione della citazione e l’omessa valutazione di atto notarile di quietanza dell’intervenuto pagamento (appreso, come detto, dalla società convenuta ed) intervenuto, per la asserita somma di Euro 1.300.000,00, di cui al primo contratto, da parte di terzo in favore delle parti attrici-appellanti.

L’adita Corte di Appello di Bari, con sentenza n. 1116/2015, disattesa ogni altra istanza, provvedeva riformando i capi quarto, quinto e sesto della decisione del Giudice di prima istanza e, quindi, così rispettivamente disponendo in riforma della stessa: condannava la società Costruzioni Edili al pagamento della somma di Euro 163.000,00 a titolo di ulteriore risarcimento danni, al pagamento della ulteriore somma pari alla differenza fra il rendimento medio annuo netto dei titoli di stato di cui in dispositivo e di valore pari alla sorte capitale di Euro 550.000,00.

La Corte distrettuale rigettava, per il resto la domanda di risarcimento danni ex art. 96 c.p.c. e l’appello incidentale della Banca MPS, con condanna della Costruzioni Edili al pagamento, in favore delle parti appellanti principali, delle spese di lite.

Per quanto ancora rileva ai fini del presente giudizio deve, da subito, evidenziarsi che la Corte territoriale valutava come pienamente ammissibile la completa produzione della nota di trascrizione dell’atto di citazione, ma – contestualmente – riteneva comunque non accoglibile la domanda ai sensi dell’art. 2932 c.c. stante la non rimediabile indeterminatezza dei beni oggetto del preliminare di vendita immobiliare in dipendenza della natura del contratto inter partes e del tipo di pronuncia richiesta.

La stessa Corte argomentava, quindi, la irrilevanza e la libera valutabilità della pretesa quietanza del pagamento ad opera di terzi della somma di Euro 1.300.000,00 in quanto non trattavasi di atto fidefacente fino a denuncia di falso, ma di mera scrittura come tale non avente efficacia probatoria piena e quindi liberamente valutabile.

Per la cassazione della anzidetta sentenza ricorre la Costruzioni Edili S.r.l. con atto affidato a tre ordini di motivi e resistito con controricorso dei D.T.- T., i quali – loro volta – propongono ricorso incidentale basato su un motivo.

La società ricorrente e le parti controricorrenti hanno depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo del ricorso principale si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza ex art. 156 c.p.c., comma 2 per vizio della motivazione.

La doglianza attiene, nella sostanza, alla già accennata questione del riconoscimento dell’efficacia probatoria della citata quietanza rilasciata dai D.T.- T. comparsi il 7.10.2002 innanzi al notaio Dott. C.C. a dare quietanza, con scrittura privata autenticata (rep. N. *****), dell’importo ricevuto “in nome e per conto” della acquirente Costruzioni Edili, importo consistente nella somma di Euro 1.300.000,00.

Parte ricorrente, insite, quindi, nella propria esposta prospettazione ribadendo la efficacia probatoria, a suo dire, piena e conseguentemente indicata come fatto estintivo dell’obbligazione.

Il motivo non può essere accolto.

La svolta censura è mossa ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4. Tuttavia, nella fattispecie, la Corte territoriale non ha omesso la motivazione e, prima ancora, la valutazione del fatto in cui si concreta la doglianza qui in esame.

Al riguardo non può che richiamarsi come la mancanza di motivazione rilevante al fine dell’esperibilità della censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 è possibile solo ove si riscontri (e ciò non è nella fattispecie) una “anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante in quanto attinente all’esistenza stessa della motivazione in sé (ovvero nella) mancanza assoluta di motivi, nella apparenza della motivazione, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione oggettivamente incomprensibile” (ex plurimis: Cass. civ., S.U. Sent. 7 aprile 2014, n. 8053).

Per di più la Corte del merito ha ricostruito (a pag. 11 della sentenza gravata) la valenza della detta scrittura di quietanza. Per la verità, in ciò, la sentenza impugnata andava rispetto a quanto già in precedenza ritenuto dal Tribunale di prima istanza (che aveva ritenuto “tuttavia inverosimile” la tesi della quietanza, evidenziando la necessità del documento e considerato la dichiarazione, “conosciuta dalla società sin dal 7/10/2002 e “superata dalle successive pattuizioni, che espressamente ponevano nel nulla le precedenti”.

La stessa impugnata sentenza della Corte distrettuale ha, poi, provveduto a valutare e motivare l’aspetto della questione in ordine al quale è svolta la censura di cui al motivo qui in esame.

E, così, ha considerato e valutato – una volta ammessa la produzione completa della nota di trascrizione dell’atto di citazione – il preteso (e peraltro non usuale, anche in dipendenza della somma portante) atto di quietanza.

E’, quindi, così giunta ad affermare che detto atto di quietanza, poiché “semplicemente corredato di sottoscrizioni autenticate da notaio, mancando l’attestazione notarile del fatto del pagamento” non poteva far fede, fino a querela di falso, dell’avvenuto pagamento.

Detto atto era, pertanto e secondo la motivazione (in punto di certo esistente) della Corte del merito, pienamente “suscettibile di libera valutazione”.

In ciò la Corte territoriale si è perfettamente attenuta a noto principio che questa Corte ha già avuto modo di statuire allorché ha affermato che “la quietanza è atto unilaterale avente natura di confessione stragiudiziale, secondo la previsione dell’art. 2735 c.c., di un fatto estintivo dell’obbligazione. L’efficacia di prova legale ad essa attribuita dagli artt. 2733 e 2735 c.c. va tenuta distinta dall’accertamento dell’obbligazione, l’estinzione della quale è attestata dalla stessa quietanza.

L’efficacia probatoria attribuita dalla legge alla quietanza è piena e completa se essa indichi tanto l’obbligazione quanto il relativo fatto estintivo, mentre se l’obbligazione non è in essa precisata il relativo accertamento è rimesso al giudice del merito” (Cass. civ., Sez. Terza, Sent. 10 marzo 2000, n. 2813, che sottolinea -quindi, in senso non correttamente inteso dalla parte ricorrente a pag. 14 del ricorso- proprio la libera valutabilità).

La non recente giurisprudenza invocata dalla parte ricorrente in via principale (Cass. n.ri 2339/1994, 3055/1996 e 689/1997) non appare utilmente invocabile nella fattispecie, atteso – per di più ed in senso contrario a quanto ritenuto in ricorso – che, con la sentenza della S.U. di questa Corte 22 settembre 2014, n. 19888 non è stato la che ribadito (in specifico riferimento alla quietanza per acquisto di autovettura) il necessario carattere di tipicità dell’atto di quietanza.

Quest’ultimo, come correttamente evidenziato dalla (Corte territoriale), è pienamente tale e fidefacente (Cass. civ. Sez. Terza, Sent. n. 2819/1999) quando nella sua interezza è completo ed attestante – come non è nella concreta ipotesi – la liberazione dell’obbligo e non solo il mero fatto del pagamento, di cui restavano (secondo acuto apprezzamento della Cote del merito) “ignote le modalità”.

Nella fattispecie, infine, la Corte distrettuale ha di poi svolto -motivatamente e come già esposto innanzi in narrativa – tale libera valutazione, con appropriata valutazione in fatto. Il motivo e’, quindi, infondato e va respinto.

2.- Con il secondo motivo del ricorso principale si censura il vizio di violazione dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

Parte ricorrente lamenta, sotto il diverso profilo della norma di cui in epigrafe, l’erroneità della gravata decisione in punto di affermazione della “suscettibilità di libera valutazione” della anzidetta quietanza.

Il motivo è infondato alla stregua di tutte le argomentazioni innanzi già diffusamente svolte.

L’infondatezza della doglianza mossa col motivo qui in esame emerge altresì laddove, in ricorso, si prospetta che la detta quietanza non era “suscettibile di libera valutazione” in quanto contenuta in atto notarile.

La ratio decidendi della Corte territoriale (e delle pronunce di questa Corte innanzi riportate) ancora, infatti, la valenza della quietanza non al tipo di atto notarile con cui essa è data, ma al suo specifico contenuto che – per la richiesta tipicità – deve contenere, al fine delle invocata piena fidefacienza e della non suscettibilità di libera valutazione, l’attestazione sia della liberazione dell’obbligo che del relativo fatto estintivo.

Peraltro, ancora, la violazione di legge denunciata col motivo qui in esame è svolta in dispregio di noti principi relativi all’art. 116 c.p.c..

Infatti violazioni degli artt. 115 e 116 c.p.c. sono apprezzabili nei limiti del vizio di motivazione descritto nell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e devono, pertanto, emergere direttamente dalla lettura della sentenza e non già del riesame degli atti” (Cass. n.ri 2707/2004 e 14267/2006).

Sotto altro profilo, poi, va evidenziato che, quanto al preteso cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove da parte del giudice del merito, “in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime”, di guisa che “il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (Cass. civ., Sez. Terza, Sent. 10 giugno 2016, n. 11892).

Il motivo deve, quindi, essere respinto.

3.- Con il terzo motivo la società ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Parte ricorrente lamenta, in sostanza, una pretesa omessa valutazione costituita da un “fatto intercorso fra le stesse parti anche in senso processuale della controversia” e, quindi (e per quanto è dato comprendere), alla circostanza che la società affermava “aver appreso” nel 2006 del pagamento quietanzato avvenuto sostanzialmente “a sua insaputa”.

Il motivo è del tutto infondato in quanto, come già innanzi evidenziato, la circostanza risulta essere stata valutata da entrambi i giudici del merito.

Il motivo stesso va, dunque, respinto.

4.- Il ricorso principale deve, pertanto, essere rigettato.

5.- Con il motivo del ricorso incidentale si prospetta il vizio di violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2932 c.c. e art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4.

Parte ricorrente in via incidentale appare condividere, con la parte espositiva del motivo, la valutazione della Corte di Appello (che supera quanto ritenuto dal Tribunale di prima istanza di Trani) per la pretesa non ammissibilità della produzione documentale della completa trascrizione dell’atto citazione (e della questione della famosa mancanza della seconda pagina) finalizzata alla prova della anteriorità della trascrizione dell’atto di citazione.

Svolge tuttavia doglianza in ordine al disposto rigetto, ritenuto errato, della svolta domanda ex art. 2932 c.c..

Così facendo il motivo non tiene in conto, in sostanza e nella sua stessa parte espositiva, la fondamentale ragione per cui quella domanda non veniva accolta.

Il rigetto di quanto richiesto ai sensi dell’art. 2932 c.c. era insito nel valutato ed ostativo fatto, a superamento della questione di ammissibilità documentale, che per l’esecuzione in forma specifica del contratto sussisteva una non ovviabile e rimediabile mancanza di determinatezza dei beni oggetto del preliminare.

La corretta valutazione della Corte distrettuale faceva, in tal senso, leva sul costante orientamento giurisprudenziale di questa Corte, che ha avuto modo di affermare il principio per cui “l’oggetto di un contratto preliminare di vendita immobiliare può essere determinato attraverso atti e fatti storici esterni al negozio, anche successivi alla sua conclusione, nella sola ipotesi in cui l’identificazione del bene da trasferire avvenga in sede di conclusione consensuale del contratto definitivo su base negoziale, e non quando, invece, afferisca ad una pronuncia giudiziale ex art. 2932 c.c., caso nel quale occorre hi l’esatta individuazione dell’immobile, dovendo la sentenza corrispondere esattamente al contenuto del contratto, senza poter attingere da altra documentazione i dati necessari alla specificazione del bene oggetto del trasferimento; trattandosi di contratto per il quale è imposta la forma scritta, l’accertamento della presenza dei requisiti necessari per una sicura identificazione dell’oggetto del preliminare contratto è riservato al giudice di merito ed è soggetto al sindacato di legittimità solo sotto il profilo della logicità e congruità della motivazione” (Cass. civ., Sez. Seconda, Sent. 16 gennaio 2013, n. 952, nonché, in precedenza e conformemente, Cass. n.ri 29849/2011, 7279/2006 e 11874/2002).

Il motivo e’, quindi, infondato e va respinto.

6.- Il ricorso incidentale, conseguentemente, va rigettato.

7.- Le spese del giudizio, attesa la reciproca soccombenza, vanno compensate.

8.- Sussistono i presupposti per il versamento, ad opera delle parti ricorrenti e di quelle controricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto -rispettivamente – per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

LA CORTE rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale e compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera della parte e di quelle controricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari – rispettivamente – a quello dovuto per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 11 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2021

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