LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – rel. Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 31697-2019 proposto da:
K.M., rappresentato e difeso dall’Avvocato MARCO GIORGETTI, (PEC: marco.giorgetti.essegilegalmail.it);
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, *****;
– intimato –
avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositata il 10/09/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/03/2021 dal Presidente Dott. RAFFAELE GAETANO ANTONIO FRASCA.
RILEVATO
che:
1. K.M. alias C.M.M., cittadino del *****, ha proposto contro il Ministero dell’Interno ricorso per cassazione, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis, avverso il decreto del 10 settembre 2019, con cui il Tribunale di Ancona, Sezione Specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, ha rigettato il suo ricorso contro la deliberazione della Commissione Territoriale competente che aveva negato la sua richiesta di riconoscimento della protezione internazionale formulata in tutte le gradate forme previste.
La richiesta era stata basata su una storia personale di fuga dal paese di origine nel marzo del 2014, motivata in questi termini: il ricorrente si era innamorato della figlia del suo datore di lavoro, il quale, unitamente ai suoi familiari, una volta scoperto il legame, l’aveva avversato. La ragazza era stata promessa in sposa ad un altro uomo e si toglieva la vita per la disperazione. I familiari sporgevano denuncia contro il ricorrente, addebitandogli la morte della ragazza e lui, non confidando nel sistema giudiziario del suo paese e temendo le rivendicazioni dei familiari della ragazza, decideva di lasciare il *****, cosa che faceva in aereo per la Giordania, da dove passava in Libia. Da lì, stante il conflitto interno in quel pase, arrivava in Italia nel settembre del 2017.
2. Al ricorso non v’e’ stata resistenza del Ministero.
3. La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..
CONSIDERATO
che:
1. Con primo motivo si deduce “violazione e falsa applicazione della legge: art. 360 c.p.c., n. 5 in relazione al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, 5 e 7 e apparenza motivazionale”.
Vi si censura senza identificarla la motivazione del decreto sulla credibilità del racconto asserendo che a torto essa avrebbe ritenuto falsa la documentazione presentata.
Il motivo, oltre a non individuare specificamente la motivazione criticanda, è meramente assertorio e nemmeno indica la documentazione di cui trattavasi. Il motivo non contiene alcuna denuncia in iure e nemmeno indica omesso esame di fatti ai sensi dell’art. 360, n. 5 peraltro impropriamente evocato sub specie di “violazione e falsa applicazione della legge”. La censura di apparenza di motivazione, peraltro nemmeno evocante il paradigma dell’art. 132 c.p.c., n. 4, non essendo stata nemmeno considerata quest’ultima, è per ciò solo inidonea. L’omessa indicazione della documentazione, al di là del fatto che, inerendo ad elementi aliunde rispetto alla motivazione, esorbita dalla censura di apparenza di motivazione, impinge pure nell’inosservanza dell’art. 366 c.p.c., n. 6.
Il motivo e’, dunque, per le plurime ragioni indicate, inammissibile.
2. Con il secondo motivo si torna a denunciare “violazione e falsa applicazione della legge: art. 360 c.p.c., n. 5 in relazione al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3, 5 e 7 e apparenza motivazionale”.
Il motivo sostiene nuovamente un’apparenza di motivazione senza invocare l’art. 132, n. 4 ed evocando il n. 5 dell’art. 360 impropriamente su specie di violazione e falsa applicazione della legge. Assume in modo apodittico che una motivazione come quella del tribunale, là dove ha qualificato le vicende addotte come “di vita privata e giustizia comune, sarebbe stata censurate come apparente da Cass. n. 10257 del 2017:
infatti, non spiega la pretesa pertinenza di tale precedente, che è, peraltro, della Sezione Tributaria, e nemmeno argomenta perché l’affermazione del tribunale sarebbe tale da integrare motivazione apparente.
Il motivo svolge, poi, considerazioni sull’esame svolto dal tribunale riguardo alla situazione del paese di origine, ma anche in tal caso senza argomentare in modo specifico e limitandosi a fare un generico ed assolutamente anodino riferimento alla pag. 4 della motivazione, là dove ha fatto riferimento alla situazione del paese di origine in punto di azioni violente. L’argomentazione continua, poi, assumendo assertoriamente che sarebbe mancato il dovere di cooperazione istruttoria. Ma l’assunto risulta di per sé del tutto generico e, peraltro, se si passa alla lettura della motivazione emerge che il decreto ha fatto riferimento a COI.
La successiva illustrazione continua nella stessa logica di assoluta genericità quando evoca il precedente di cui a Cass. n. 3758 del 2018 senza alcuna dimostrazione della sua pertinenza.
Il motivo in generale non sfugge ad una censura di assoluta mancanza di specificità (Cass., Sez. Un., n. 7074 del 2017, che in motivazione ribadisce il consolidato principio di diritto risalente a Cass. n. 4741 del 2005) per la parte che dovrebbe evocare la violazione delle norme sostanziali indicate nell’intestazione.
Anche il secondo motivo è inammissibile per le esposte ragioni.
3. Il terzo motivo denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3: “violazione e falsa applicazione della legge: D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 3; D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1; D.P.R. n. 394 del 1999, art. 11, comma 1, c-ter – Regolamento di Attuazione – Vizio di Motivazione”.
Il motivo si vorrebbe dolere della motivazione sulla protezione umanitaria, ma anche in questo caso non si preoccupa di identificarla nella illustrazione, sicché appare svolgere considerazioni del tutto astratte. Se, poi, si confronta l’illustrazione con la motivazione dell’impugnato decreto, che consta di oltre due pagine dal paragrafo 8.
in poi, emerge che in essa non si rinviene in alcun modo un argomentare che della motivazione si faccia carico.
Sicché, il motivo risulta anch’esso inammissibile, sia alla stregua del già riferito principio di diritto di cui alla citata sentenza delle Sezioni Unite, sia alla luce del consolidato principio, pure da essa richiamato, di cui a Cass. n. 359 del 2005, secondo cui il motivo di ricorso per cassazione deve necessariamente essere correlato alla motivazione resa dalla sentenza impugnata.
4. Il ricorso è conclusivamente dichiarato inammissibile, stante l’inammissibilità di tutti i motivi.
5. Stante il tenore della pronuncia (declaratoria della inammissibilità del ricorso), va dato atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto. Spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla sulle spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Terza Civile, il 17 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 1 settembre 2021