Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.23718 del 01/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34064/2019 proposto da:

A.W.A., domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato LAURA BALDASSARRINI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– resistente –

avverso la sentenza n. 646/2019 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 07/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4 17/03/2021 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.

RILEVATO

CHE:

1. – Con ricorso affidato a sei motivi, A.W.A., cittadino *****, ha impugnato la sentenza della Corte di appello di Ancona, resa pubblica il 7 maggio 2019, che – a seguito di cassazione con rinvio (disposta dalla sentenza n. 10922/2108 di questa Corte) – ne rigettava il gravame avverso la decisione di primo grado del Tribunale della medesima Città, che, a sua volta, ne aveva respinto l’opposizione avverso il diniego della competente Commissione territoriale del riconoscimento, in via gradata, dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria.

2. – La Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, osservava che: a) il racconto del richiedente (aver lasciato il Paese di origine in quanto, essendo di religione mussulmana sunnita e avendo una relazione con una ragazza di confessione sciita che era rimasta incinta e con la quale intendeva regolarizzare la loro unione, aveva timore di essere ucciso dai familiari della ragazza che lo avevano “picchiato e minacciato di morte con un fucile”) non era credibile, in quanto lacunose e vaghe e, inoltre, poiché il richiedente era giunto in Italia con volo aereo e con permesso di soggiorno stagionale e solo dopo due anni, a seguito di controllo di polizia, aveva presentato richiesta di protezione internazionale; b) non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, non ravvisandosi in *****, sulla scorta delle COI utilizzate (tra cui EASO agosto 2017 e ottobre 2018), una minaccia grave e individuale alla vita del richiedente in quanto estraneo agli obiettivi istituzionali oggetto di rappresaglie terroristiche, né sussistendo una condizione di violenza generalizzata in una situazione di conflitto armato; c) non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, non essendo emersa, anche in ragione della non credibilità del narrato e pur avendo il richiedente prodotto documentazione attestante lo svolgimento di attività a tempo determinato, una situazione di vulnerabilità individuale, non risultando che in ***** il richiedente possa esser coinvolto in situazioni di compromissione grave dei diritti umani.

3. – L’intimato Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva, essendosi limitato a depositare “atto di costituzione” al fine di partecipare ad eventuale udienza di discussione.

CONSIDERATO

CHE:

1. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, “per il mancato accertamento della condizione di vulnerabilità” di esso richiedente, nonostante egli avesse dato prova della sua integrazione in Italia e sussistendo in ***** una situazione di compromissione dei diritti umani.

1.1. – Il motivo è inammissibile.

A fronte della motivazione (cfr. sintesi nel “Rilevato che”) resa dalla Corte territoriale in punto di valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza (Cass., S.U., n. 29459/2019), le critiche di parte ricorrente sono orientate, nella sostanza, a dedurre un vizio di insufficiente motivazione (non più veicolabile ratione temporis), insistendo soprattutto sulla integrazione lavorativa in Italia (peraltro, indicando documentazione senza rispettare l’onere di localizzazione processuale di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), di cui il giudice di merito ha tenuto conto nella propria valutazione.

2. – Con il secondo mezzo è dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame “circa parere espresso dalla Procura generale della Repubblica presso la Corte di appello di Ancona”, che era favorevole all’accoglimento della domanda di protezione umanitaria.

2.1. – Il motivo è inammissibile, giacché il menzionato parere di cui, peraltro, non si dà contezza alcuna circa gli specifici contenuti e la relativa localizzazione processuale (in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6) – non costituisce, di per sé, fatto storico materiale il cui omesso esame è denunciabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, bensì documento semmai rappresentativo di valutazioni e di circostanze fattuali (delle quali, come detto, non vi è contezza alcuna).

3. – Con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, comma 9, art. 8, comma 3, e D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 1, lett. a), per aver la Corte territoriale valutato la domanda di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c in base a generiche informazioni sulla situazione interna del ***** (risalenti solo al 2018), senza attivare i propri poteri officiosi.

4. – Con il quarto mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, e D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 19, comma 8, per aver la Corte territoriale ritenuto non credibile il racconto di esso richiedente in base a “mera formula di stile”, senza attivare il proprio potere istruttorio.

5. – Con il quinto mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), e art. 15 direttiva 2004/83/CE, non avendo la Corte territoriale svolto alcun accertamento circa la situazione attuale del *****, utilizzando fonti risalenti al 2018 ed allegate da parte ricorrente.

6. – Con il sesto mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 4, non avendo la Corte territoriale considerato “il serio indizio della fondatezza del timore del ricorrente di subire persecuzioni o… gravi danni” in caso di rimpatrio in ragione della propria vicenda personale.

7. – Va anzitutto scrutinato il quarto motivo, il quale è inammissibile.

In tema di protezione internazionale, il D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, impone al giudice soltanto l’obbligo, prima di pronunciare il proprio giudizio sulla sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione, di compiere le valutazioni ivi elencate e, in particolare, di stabilire se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili. Da ciò consegue che: a) la norma non potrà mai dirsi violata sol perché il giudice del merito abbia ritenuto inattendibile un racconto o inveritiero un fatto; b) non sussiste un diritto dello straniero ad essere creduto sol perché abbia presentato la domanda di asilo il prima possibile o abbia fornito un racconto circostanziato; c) il giudice è libero di credere o non credere a quanto riferito secondo il suo prudente apprezzamento che, in quanto tale, non è sindacabile in sede di legittimità, se non in base al paradigma del vizio di cui al vigente art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. n. 6897/2020).

La Corte territoriale, nell’apprezzamento della credibilità del racconto del richiedente, si è attenuta al principio di procedimentalizzazione legale della decisione avendo operato la propria valutazione (cfr. sintesi nel “Rilevato che”) alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, prendendo in considerazione le circostanze dedotte in giudizio e reputando non attendibile il narrato, mentre le censure mosse con il ricorso su tale specifica ratio decidendi sono generiche e orientate a criticare piuttosto una carente istruttoria e insufficienze argomentative in punto, soprattutto, di situazione oggettiva del Paese di origine (che la Corte territoriale ha comunque esaminato), tali da ridondare nella denuncia (inammissibile) del vizio motivazionale di cui alla previgente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

8. – All’inammissibilità del quarto motivo consegue l’inammissibilità del sesto motivo, che presuppone la attendibilità della narrazione del richiedente in ordine alla propria vicenda personale.

9. – Il terzo e il quinto motivo, da scrutinarsi congiuntamente in quanto veicolanti nella sostanza le medesime censure, sono anch’essi inammissibili.

La Corte territoriale ha motivato (cfr. sintesi nel “Rilevato che”) sulla insussistenza delle condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), indicando specificamente le COI utilizzate e, in particolare, la fonte EASO dell’ottobre 2018.

A fronte di ciò il ricorrente aveva l’onere di indicare le COI che secondo la sua prospettazione avrebbero potuto condurre ad un diverso esito del giudizio, con la conseguenza che, in mancanza di tale allegazione (come nella specie, essendosi il ricorrente doluto unicamente che la fonte utilizzata era quella allegata in giudizio), non potendo la Corte di cassazione valutare la teorica rilevanza e decisività della censura, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile (così per il caso, ancor più significativo, di mancata indicazione della fonte: Cass. n. 21932/2020, Cass. n. 22769/2020).

4. – Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile.

Non occorre provvedere alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità in assenza di attività difensiva della parte rimasta soltanto intimata.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte suprema di Cassazione, il 17 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 settembre 2021

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