Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.23725 del 01/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24203-2017 proposto da:

G.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO 172, presso lo studio dell’avvocato PIER LUIGI PANICI, rappresentata e difesa dagli avvocati PIERANGELO GALMOZZI, GIOVANNI GIOVANNELLI;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA MAZZINI 27, presso lo STUDIO TRIFIRO’ & PARTNERS, rappresentata e difesa dall’avvocato TRIFIRO’ SALVATORE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 236/2017 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 19/05/2017 R.G.N. 532/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/11/2020 dal Consigliere Dott. PICCONE VALERIA.

RILEVATO IN FATTO

che con sentenza in data 19 maggio 2017 la Corte di Appello di Brescia, decidendo in sede di rinvio, in riforma della sentenza del Tribunale di Cremona, ha respinto la domanda proposta da G.M. volta ad ottenere l’accertamento dell’illegittimità dell’apposizione del termine al contratto intercorso fra quest’ultima e Poste Italiane S.p.A. nel periodo 1 aprile – 30 giugno 2004 e la declaratoria della sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a decorrere dall’1 aprile 2004;

che il Tribunale aveva ordinato la riammissione in servizio della lavoratrice e condannato la società al risarcimento dei danni, liquidati in misura pari alle retribuzioni maturate a decorrere dal 29/10/2004 e, cioè, dalla data di costituzione in mora previa detrazione della somma di Euro 47.665,04 a titolo di aliunde perceptum;

che in particolare, la Corte di cassazione, cassando con rinvio la decisione d’appello che aveva in parte dichiarato la cessazione della materia del contendere – in ordine alla riassunzione in servizio – e, per il resto, respinto l’impugnazione di Poste Italiane, ha posto in evidenza l’interpretazione del giudice di legittimità secondo cui non occorre l’eccezionalità, imprevedibilità e straordinarietà delle ragioni sostitutive rimettendo la questione alla Corte d’appello perché accertasse, in fatto, la sussistenza dei presupposti di legge per la configurabilità delle ragioni sostitutive stesse;

che la Corte ha ritenuto fondato l’appello della Poste Italiane S.p.A. per la ritenuta ricorrenza, in base al proprio accertamento di merito, delle richieste ragioni;

che per la cassazione della sentenza propone ricorso G.M., affidandolo ad un unico motivo che resiste, con controricorso, Poste Italiane S.p.A., che entrambe le parti hanno presentato memorie.

CONSIDERATO IN DIRITTO

che con l’unico motivo di ricorso, la lavoratrice deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, commi 1 e 2;

che la censura deve ritenersi inammissibile;

che giova evidenziare, al riguardo, che qualora con il ricorso per cassazione sia denunziata violazione o falsa applicazione di norme di diritto, il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni, intese a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (cfr., sul punto, fra le più recenti, Cass. n. 17570 del 21/08/2020);

che appare evidente come, nel caso di specie, pur veicolando parte ricorrente la propria censura sotto il profilo della violazione di legge, essa mira, in realtà ad ottenere una rivalutazione in fatto della vicenda, inammissibile in sede di legittimità;

che va altresì rilevato come la parte non abbia provveduto a riportare nel ricorso ovvero produrre o ancora almeno indicare ove fosse collocata la decisione di questa Corte che aveva cassato con rinvio la pronunzia di secondo grado e ciò in dispregio del disposto di cui all’art. 366 c.p.c. in ordine al quale le Sezioni Unite (SU. n. 34469 del 27/12/2019) hanno precisato non solo che sono inammissibili, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, le censure afferenti a domande di cui non vi sia compiuta riproduzione nei ricorso, ma anche quelle fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità;

– d’altra parte, è consolidato il principio secondo cui i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso (ex plurimis, Cass. n. 29093 del 13/11/2018);

che nel caso di specie parte ricorrente, censurando le modalità con cui è stato tradotto il principio sancito dalla Corte di cassazione in sede di rinvio si è limitata a dedurre che in sede di legittimità si era esclusivamente disposta la verifica sul campo (recte, in concreto) delle ragioni di specificità previste dall’art. 1 comma 2 “alla luce dei principi di diritto enunciati”;

che, in ogni caso, la piana lettura del contenuto dell’atto introduttivo induce ad affermare con tranquillante certezza che la parte, ha incentrato le proprie censure essenzialmente sulla valutazione delle dichiarazioni rese dal collega della lavoratrice T., la cui assenza avrebbe determinato l’esigenza sostitutiva, nonché sulla posizione di quest’ultimo oltre che su quanto ritenuto dalla Corte in ordine all’equilibrio tra il periodo che si assume regolare e quello irregolare;

che appare evidente dall’esame delle stesse allegazioni di parte ricorrente circa la pretesa violazione del D.Lgs. n. 368, art. 1, come le stesse mirino a ottenere una rivisitazione in fatto della vicenda, inerente alla verifica della effettività delle esigenze sostitutive, come ritenuta dalla Corte d’appello, inammissibile in sede di legittimità;

che quindi, alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

che le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo;

che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, art. 1 -bis se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 4.500,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 25 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 settembre 2021

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