Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.23734 del 01/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19043-2020 proposto da:

K.T., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI CALY;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso il decreto n. cronol. 3750/2020 del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 16/04/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 31/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARINA MELONI.

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Milano, sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, con decreto in data 16/4/2020, ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Milano in ordine alle istanze avanzate da K.T. nata in Ucraina il *****, volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria.

La richiedente asilo aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di essere fuggita dal proprio paese in quanto, insieme al marito, era un’attivista politica ed aveva protestato contro gli abusi del regime finché per paura di essere perseguitata aveva deciso di fuggire.

Il Tribunale di Milano in particolare ha escluso le condizioni previste per il riconoscimento del diritto al rifugio D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 7 e 8, ed i presupposti richiesti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, per la concessione della protezione sussidiaria, non emergendo elementi idonei a dimostrare che il ricorrente potesse essere sottoposto nel paese di origine a pena capitale o a trattamenti inumani o degradanti. Nel contempo il collegio di merito ha negato il ricorrere di uno stato di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale nel suo paese di provenienza nonché una situazione di elevata vulnerabilità individuale.

Avverso il decreto del Tribunale di Milano il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. E, artt. 7 e 8, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, perché il Tribunale non ha concesso il riconoscimento dello status di rifugiato.

Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. G, art. 14, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, il Tribunale avrebbe erroneamente rifiutato il riconoscimento della protezione sussidiaria e violato il dovere di cooperazione istruttoria.

Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, perché il Tribunale avrebbe erroneamente rifiutato il riconoscimento della protezione umanitaria in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente denuncia motivazione apparente in relazione alla credibilità della ricorrente in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

I motivi di ricorso, da trattarsi congiuntamente in quanto tra loro avvinti sono inammissibili.

La motivazione apparente ricorre quando la motivazione, pur essendo graficamente e, quindi, materialmente, esistente, come parte del documento in cui consiste la sentenza o altro provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché esibisce argomentazioni obiettivamente inidonee a far riconoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento e, pertanto, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento del giudice (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass., Sez. U. 22 settembre 2014, n. 19881).

Con orientamento ormai consolidato e ribadito anche di recente, quindi, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dall’art. 111 Cost., sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass., 14 febbraio 2020, n. 3819).

Nella fattispecie invece il Tribunale ha motivato adeguatamente sul diniego della protezione richiesta e deve quindi essere escluso che la motivazione si presenti al di sotto del minimo costituzionale, essendo chiaro il costante riferimento alle prove ed in particolare alle condizioni del paese di origine ed al racconto reso dal dichiarante.

Le censure si risolvono in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi.

La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito – e censurabile solo nei limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5 – il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), (Cass., 05/02/2019, n. 3340; Cass., 07/08/2019, n. 21142; Cass., 19/06/2020, n. 11925; Cass., 02/07/2020, n. 123578), escludendosi, in mancanza, la necessità e la possibilità stessa per il giudice di merito – laddove non vengano dedotti fatti attendibili e concreti, idonei a consentire un approfondimento ufficioso – di operare ulteriori accertamenti (Cass., 27/06/2018, n. 16925; Cass., 12/11/2018, n. 28862). Nel caso concreto, il Tribunale ha ampiamente motivato circa le ragioni che lo hanno indotto a ritenere non credibili le dichiarazioni dell’istante, in quanto del tutto lacunose e generiche.

A tal riguardo occorre anzitutto osservare che il legislatore ha ritenuto di affidare la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo non alla mera opinione del giudice ma ha previsto una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e, inoltre, tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui al D.Lgs. cit., art. 5, comma 3, lett. c)), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età. La difficoltà di provare adeguatamente i fatti accaduti prevista espressamente dal legislatore nel citato art. 3, comma 5, non impone tuttavia al giudice di ritenere attendibile un racconto che, secondo una prudente e ragionevole valutazione, sia incoerente o incredibile anche perché i criteri legali di valutazione della credibilità di cui all’art. 5, comma 3, sono categorie ampie ed aperte che lasciano ampio margine di valutazione al giudice chiamato ad esaminare il caso concreto secondo i criteri generali, basti pensare ai concetti di coerenza, plausibilità (lett. c) e attendibilità (lett. e) che richiedono senz’altro un’attività valutativa discrezionale.

Nella fattispecie il giudice di merito ha escluso, per le ragioni anzidette, la attendibilità del racconto, per cui non vi era alcun motivo per riconoscere alla ricorrente lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria di cui alle prime due lettere del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14. Si rileva, in proposito, che la prima forma di tutela esige che si dia conto di una personalizzazione del pericolo di essere fatto oggetto di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica: ciò che nel caso in esame deve evidentemente escludersi.

Con riguardo alle fattispecie tipizzate dall’art. 14, lett. a) e lett. b), è necessario invece osservare che l’esposizione dello straniero al rischio di morte o a trattamenti inumani e degradanti deve pur sempre rivestire un certo grado di individualizzazione (cfr.: Cass. 20 giugno 2018, n. 16275; Cass.20 marzo 2014, n. 6503): il che, nel caso in esame va negato proprio in ragione della mancanza di riscontri quanto a una vicenda personale che conferisca specificità e concretezza a un tale rischio, nemmeno risultando dalle indicate fonti reperibili la presenza di un conflitto di livello così elevato da comportare per i civili, per la sola presenza nel territorio in questione, il concreto rischio della vita o di un grave danno alla persona.

L’ipotesi di cui all’art. 14, lett. c), che si configura anche in mancanza di un diretto coinvolgimento individuale dello straniero nella situazione di pericolo, è stata, invero, motivatamente esclusa dal Tribunale il quale ha adempiuto al dovere di cooperazione istruttoria officiosa che incombe sul giudice, così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 27, comma 1 bis, in ordine all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine, in base a numerose puntuali informazioni sui siti online citati avendo così ritenuto, a monte, che i fatti lamentati non costituiscano un ostacolo al rimpatrio né integrino una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona nei casi previsti dall’art. 14, lett. C), e cioè “minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”.

In ordine al rigetto alla domanda di protezione umanitaria il motivo si rivela inammissibile, in quanto censura l’accertamento di merito compiuto in ordine alla insussistenza di una particolare situazione di vulnerabilità del ricorrente alla luce della valutazione comparativa espressa dal giudice di merito con esaustiva indagine circa le condizioni rispettivamente descritte dello straniero con riguardo al suo paese di origine ed all’integrazione in Italia acquisita, valutazione in sé evidentemente non rivalutabile in questa sede.

Le circostanze della avvenuta integrazione nel paese di accoglienza nonché dello svolgimento di attività lavorativa da parte del richiedente asilo, non costituiscono da sole un parametro che possa giustificare la concessione della protezione umanitaria tanto più che non vi è un inserimento significativo nella realtà italiana. Infatti questa Corte ha più volte chiarito che in materia di protezione umanitaria, “il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza. (Cass. sez. 1 n. 4455/2018 e S. Unite n. 29459/2019). Nella fattispecie la Corte di merito ha escluso di possibilità di effettuare tale valutazione stante la non credibilità della ricorrente.

Per quanto sopra il ricorso deve essere dichiarato inammissibile Nulla per le spese in mancanza di attività difensiva.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, ricorrono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta/prima sezione civile della Corte di Cassazione, il 31 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 settembre 2021

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