Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.23735 del 01/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19051-2020 proposto da:

O.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MICHELE PIZZI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE di MILANO;

– intimata –

avverso il decreto n. cronol. 3457/2020 del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 18/03/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 31/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARINA MELONI.

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Milano, sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, con decreto in data 18/3/2020, ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Milano in ordine alle istanze avanzate da O.A. nato in Nigeria il *****, volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria.

Il richiedente asilo aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di essere fuggito dal proprio paese in quanto, dopo la morte del padre non aveva i mezzi per aiutare la madre e i suoi due fratelli e così aveva deciso di partire approdando prima in Libia e poi in Italia.

Il Tribunale di Milano in particolare ha escluso le condizioni previste per il riconoscimento del diritto al rifugio D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 7 e 8, ed i presupposti richiesti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, per la concessione della protezione sussidiaria, non emergendo elementi idonei a dimostrare che il ricorrente potesse essere sottoposto nel paese di origine a pena capitale o a trattamenti inumani o degradanti. Nel contempo il collegio di merito ha negato il ricorrere di uno stato di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale nel suo paese di provenienza nonché una situazione di elevata vulnerabilità individuale.

Avverso il decreto del Tribunale di Milano il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di, ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 46 del 2017, art. 35 bis, comma 11, lett. A), D.Lgs. n. 251 del 2007, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché il Tribunale non ha disposto l’audizione del ricorrente nonostante la espressa istanza del ricorrente, sebbene mancante la videoregistrazione dell’audizione svoltasi davanti alla competente Commissione Territoriale.

Il primo motivo di ricorso, attinente ad una questione di rito, è infondato e deve essere respinto in quanto risulta dal provvedimento impugnato che Il Tribunale territoriale, in mancanza della videoregistrazione delle dichiarazioni rese davanti alla competente Commissione Territoriale non eseguita per motivi tecnici, ha fissato e regolarmente tenuto l’udienza di comparizione delle parti in data 7/11/2019 alla quale era presente il difensore. Non sussiste, d’altra parte, alcun automatismo tra la mancanza di videoregistrazione e la rinnovazione dell’ascolto del richiedente (Cass. sez. 1 n. 17717/18), per cui rettamente il Tribunale, dopo aver adempiuto all’obbligo di disporre l’udienza di comparizione delle parti, ha ritenuto di poter decidere in base ai soli elementi contenuti nel fascicolo, e cioè il verbale o la trascrizione del colloquio personale (v., in tal senso, Corte di giustizia dell’Unione Europea, 26 luglio 2017, causa C-348/16 Moussa Sacko contro Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano, p. 49); tanto più che, nella specie, il ricorso neppure indica se e quali nuovi elementi fosse indispensabile acquisire.

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia nullità del decreto ex art. 132 c.p.c., e violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, art. 27, comma 1 bis, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. C), del D.Lgs 25 del 2008, art. 35 bis, il Tribunale avrebbe erroneamente rifiutato il riconoscimento della protezione sussidiaria e violato il dovere di cooperazione istruttoria.

Il motivo è inammissibile.

La motivazione apparente ricorre quando la motivazione, pur essendo graficamente e, quindi, materialmente, esistente, come parte del documento in cui consiste la sentenza o altro provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché esibisce argomentazioni obiettivamente inidonee a far riconoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento e, pertanto, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento del giudice (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass., Sez. U. 22 settembre 2014, n. 19881).

Con orientamento ormai consolidato e ribadito anche di recente, quindi, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dall’art. 111 Cost., sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass., 14 febbraio 2020, n. 3819).

Nella fattispecie invece il Tribunale ha motivato adeguatamente sul diniego della protezione richiesta e deve quindi essere escluso che la motivazione si presenti al di sotto del minimo costituzionale, essendo chiaro il costante riferimento alle prove ed in particolare alle condizioni del paese di origine ed al racconto reso dal dichiarante.

Quanto al dovere di cooperazione istruttoria, il Giudice in base a numerose puntuali informazioni sui siti online citati ha ritenuta l’assenza di situazioni di violenza indiscriminata e di una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata nel Gambia, zona di provenienza del ricorrente. A fronte di tali accertamenti, inammissibile si mostra la censura, espressa in ricorso, circa la mancata attivazione nella specie dei poteri ufficiosi di indagine, tenendo presente che, quanto alla sussistenza nella zona di provenienza del ricorrente di una fattispecie sussumibile nella previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. e), il tribunale di merito ha ritenuto con motivazione coerente ed esaustiva che l’assenza di situazioni di violenza indiscriminata e conflitto armato interno o internazionale nel paese d’origine escludano il diritto alla protezione sussidiaria e precisato come la Nigeria Edo State non risulta dalle indicate fonti reperibili interessata dalla presenza di un conflitto di livello così elevato da comportare per i civili, per la sola presenza nel territorio in questione, il concreto rischio della vita o di un grave danno alla persona.

Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, perché il Tribunale avrebbe erroneamente rifiutato il riconoscimento della protezione umanitaria in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il terzo motivo è inammissibile. Infatti sebbene il richiedente sia stato ritenuto credibile, non ha allegato fatti che consentano l’accesso alla protezione internazionale.

E’ noto, infatti, che la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicché il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 29 ottobre 2018, n. 27336; Cass. 31 gennaio 2019, n. 3016; come precisato da Cass. 2 luglio 2020, n. 13573); ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria è in particolare necessario che il richiedente fornisca elementi idonei a far desumere situazioni di vulnerabilità o che il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese d’accoglienza.

Tuttavia, detto onere, nella specie, non risulta assolto.

Ne’, a motivo della domanda di protezione umanitaria, risultano allegate situazioni di vulnerabilità diverse da quelle dedotte ai fini delle protezioni maggiori, avendo il ricorrente rappresentato esclusivamente l’avvenuta integrazione nel tessuto sociale italiano che il Tribunale ha ritenuto non sufficiente a concedere la richiesta protezione.

Per quanto sopra il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Nulla per le spese in mancanza di attività difensiva.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, ricorrono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta/prima sezione civile della Corte di Cassazione il 31 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 settembre 2021

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