LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –
Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 25323/2020 proposto da:
O.J., rappresentato e difeso dall’Avv. Luigi Migliaccio, giusta procura speciale allegata al ricorso per cassazione;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica, domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato.
– resistente –
avverso la sentenza della Corte di appello di NAPOLI n. 949/2020, pubblicata in data 27 febbraio 2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/05/2021 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna.
RILEVATO
CHE:
1. Con sentenza del 27 febbraio 2020, la Corte di appello di Napoli ha accolto l’appello proposto da O.J., proveniente dalla Nigeria (Lagos), avverso l’ordinanza del tribunale di Napoli del 5 luglio 2018, che aveva confermato il provvedimento di diniego della Commissione territoriale competente.
2. Il richiedente aveva riferito di avere lasciato il suo paese, dopo avere subito varie minacce dalla famiglia della sua ragazza, musulmana, che aveva convinto a convertirsi alla religione cattolica, e che, mentre si trovavano in una baracca insieme ad altri cristiani, nel 2013, era stata catturata e decapitata da alcuni musulmani, mentre lui era riuscito a mettersi in salvo.
3. La Corte di appello ha rilevato l’inammissibilità della censura sollevata dall’appellante per mancanza di specificità avuto riguardo alla valutazione di non credibilità operata dal tribunale; i giudici di secondo grado hanno ritenuto, poi, che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), tenuto conto del rapporto Amnesty International 2015/2016 (sostanzialmente conformi i successivi) e della più recente posizione UNHCR; quanto alla protezione umanitaria, la Corte ha affermato che il giudizio di non credibilità del racconto, non consentiva di apprezzare una rilevante compromissione individuale dei diritti fondamentali nel paese di provenienza, peraltro in assenza di una significativa integrazione sociale, familiare e lavorativa nel paese di accoglienza che poteva costituire l’altro termine di comparazione, né avevano rilievo, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria o umanitaria, le difficoltà riscontrate in un paese di transito o di temporanea dimora, come la Libia.
4. O.J. ricorre per la cassazione del decreto con atto affidato a due motivi.
5. L’Amministrazione intimata si è costituita al fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.
CONSIDERATO
CHE:
1. Con il primo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, avendo la Corte d’appello erroneamente dichiarato inammissibile il gravame, che conteneva tre distinti motivi (trascritti nel ricorso per cassazione) per genericità, non occorrendo l’utilizzo di particolare forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado e avendo eccepito la mancata attivazione dei poteri istruttori sugli aspetti ritenuto contraddittori dal Tribunale e integrato le dichiarazioni rese dal richiedente asilo.
1.1 La censura è infondata, pur non potendosi condividere interamente, sul punto, la motivazione della sentenza impugnata, che va pertanto corretta, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., risultando il dispositivo conforme al diritto.
1.2 Ed invero, seppure, nel caso in esame, risulta rispettato il principio secondo cui l’indicazione dei motivi d’appello, richiesta dall’art. 342 c.p.c., non deve necessariamente consistere in una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’appello, richiedendosi invece soltanto una esposizione chiara ed univoca, anche se sommaria, sia della domanda rivolta al giudice del gravame che può validamente consistere anche nella mera richiesta di riforma della sentenza impugnata e di accoglimento della domanda iniziale – sia delle ragioni della doglianza, che possono essere integrate anche con il rinvio ad atti del processo già ritualmente acquisiti, i quali si presumono noti (Cass., 30 marzo 2004, n. 6321; Cass. 20 maggio 2000 n. 7094; Cass., 11 giugno 1987, n. 5106), è infondata la censura sulla mancata attivazione dei poteri officiosi, peraltro prospettata come vizio di nullità della sentenza, anziché come omesso esame di fatti decisivi ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avendo ribadito questa Corte, anche di recente, quale sia il riparto degli oneri di allegazione e prova ed in qual senso debba essere intesa la nozione di “cooperazione istruttoria” invocata dal ricorrente, ricondotta alla previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, affermando che il richiedente ha l’onere di allegare in modo circostanziato i fatti costitutivi del suo diritto circa l’individualizzazione del rischio rispetto alla situazione del paese di provenienza, atteso che l’attenuazione del principio dispositivo, in cui la cooperazione istruttoria consiste, si colloca non sul versante dell’allegazione ma esclusivamente su quello della prova, con la conseguenza che solo quando il richiedente abbia adempiuto all’onere di allegazione sorge il potere dovere del giudice di cooperazione istruttoria, che tuttavia è circoscritto alla verifica della situazione oggettiva del paese di origine e non alle individuali condizioni del soggetto richiedente (Cass., 14 agosto 2020, n. 17185; Cass., 9 luglio 2019, n. 18431).
1.3 Nel caso in esame, il ricorrente non ha precisar gli aspetti in ordine ai quali intendeva fornire chiarimenti, né indicato le specifiche circostanze fattuali meritevoli di approfondimenti, con la conseguenza che la censura si appalesa del tutto generica.
2. Con il secondo motivo si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. c), per avere la Corte distrettuale affermato, in violazione dell’onere di cooperazione istruttoria, che il richiedente era di *****, quando, per converso, il richiedente era originario di ***** e aveva vissuto solo un breve periodo a *****, prima di trasferirsi in *****; che la Corte aveva fatto riferimento a fonti risalenti al 2015-2016 (e, dunque, attinenti all’anno 2014), affermandone la conformità sostanziale ai rapporti successivi, ma senza riportarli, né citarli.
2.1 Il motivo è inammissibile perché non coglie il segno per difetto di specificità e pertinenza rispetto alla “ratio decidendi”, avendo la Corte rigettato la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), avuto riguardo alla zona del “*****” perché il richiedente non aveva superato il giudizio di non credibilità espresso dal Tribunale anche sulla provenienza dal *****.
2.2 Peraltro, anche con specifico profilo alle fonti utilizzate, diversamente da quanto affermato dal ricorrente, la Corte territoriale, oltre a richiamare il rapporto Amnesty International 2015/2016 e ad affermare che anche i successivi erano sostanzialmente conformi, ha fatto espresso riferimento alla “più recente posizione UNHCR” (pag. 9 della sentenza impugnata).
2.3 Questo nel rispetto della disposizione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, che impone al giudice di verificare se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente e astrattamente sussumibile in una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, con accertamento aggiornato al momento della decisione (Cass., 11 dicembre 2020, n. 28349;Cass., 22 maggio 2019, n. 13897; Cass. 12 novembre 2018, n. 28990) e dell’onere del giudice di merito procedere, nel corso del procedimento finalizzato al riconoscimento della protezione internazionale, a tutti gli accertamenti officiosi finalizzati ad acclarare l’effettiva condizione del Paese di origine del richiedente, avendo poi cura di indicare esattamente, nel provvedimento conclusivo, le parti utilizzate ed il loro aggiornamento (Cass., 20 maggio 2020, n. 9230).
2.4 Ciò tuttavia, non può valere ad esonerare il ricorrente dall’onere di allegazione delle specifiche circostanze ritenute decisive ai fini del riconoscimento dell’invocata misura di protezione, con la conseguenza che il motivo di ricorso che mira a contrastare l’apprezzamento delle fonti condotto dal giudice di merito deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base la Corte territoriale ha deciso siano state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti (Cass., 18 febbraio 2020, n. 4037), onere non adempiuto nel caso in esame, dove il ricorrente si è limitato a censurare il difetto di attualità delle fonti adottate dalla Corte di merito.
3. In conclusione, il ricorso va rigettato.
Nulla sulle spese, poiché l’Amministrazione intimata non ha svolto difese.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2021