LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –
Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 25353/2020 proposto da:
M.A.K., rappresentato e difeso dall’Avv. Luigi Migliaccio, per procura speciale allegata al ricorso per cassazione;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica, domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato;
– resistente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli n. 918/2020, pubblicata in data 26 febbraio 2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/05/2021 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna.
RILEVATO
CHE:
1. Con sentenza del 26 febbraio 2020, la Corte di appello di Napoli ha rigettato l’appello proposto da M.A.K., nato in Bangladesh, avverso l’ordinanza del Tribunale di Napoli del 31 maggio 2018, che aveva confermato il provvedimento di diniego della Commissione territoriale competente.
2. Il richiedente aveva riferito di avere lasciato il paese di origine perché era stato picchiato dal fratello della sua ragazza e ferito sulla testa e sul labbro, che apparteneva ad una famiglia molto ricca, mentre lui era povero e che il fratello lo aveva minacciato di morte.
3. La Corte di appello ha ritenuto il racconto del richiedente poco credibile e contraddittorio, affermando che era sufficiente non frequentare più la ragazza come volevano i familiari della stessa, piuttosto che partire e lasciare il paese e perché egli aveva dichiarato che sperava di farsi accettare dai parenti della ragazza una volta che avesse migliorato le sue condizioni economiche, così confermando di essere un migrante economico; che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), perché anche se il Bangladesh viveva una situazione di forti tensioni politiche, tale situazione non riguardava specificamente l’appellante e la vicenda personale narrata; quanto alla protezione umanitaria, i giudici di secondo grado hanno ritenuto che la domanda non era fondata su argomentazioni specifiche rispetto a quelle riguardanti le altre protezioni e la vicenda narrata era per un verso poco credibile e per altro verso evidenziava un’eccedenza dell’espatrio rispetto ad uno scopo perseguibile in loco con la semplice cessazione del rapporto di fidanzamento.
4. M.A.K. ricorre per la cassazione del decreto con atto affidato a due motivi.
5. L’Amministrazione intimata si è costituita al fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.
CONSIDERATO
CHE:
1. Con il primo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. c), per avere la Corte distrettuale escluso la sussistenza della minaccia alla vita dei civili da violenza indiscriminata, senza analizzare le informative relative alla situazione del Bangladesh allegate in appello e per avere affermato che la situazione che affliggeva il tessuto sociale, politico ed economico del Paese non riguardava specificamente l’appellante e la vicenda personale narrata.
1.1 Il motivo è fondato.
1.2 Ciò che rileva, infatti, è la mancata indicazione delle fonti internazionali, a fronte delle specifiche fonti indicate dal ricorrente, in ragione delle quali la Corte di appello ha escluso che vi fosse un conflitto armato rilevante per il riconoscimento eventuale della protezione sussidiaria, dovendosi applicare il principio secondo il quale “In tema di protezione sussidiaria dello straniero, ai fini dell’accertamento della fondatezza di una domanda proposta sulla base del pericolo di danno di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato determinativa di minaccia grave alla vita o alla persona), una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto, il giudice del merito è tenuto, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, a cooperare nell’accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente” (Cass. n. 11312 del 26/04/2019; Cass., 22 maggio 2019, n. 13897; Cass. 12 novembre 2018, n. 28990).
1.3 La Corte partenopea, infatti, ha escluso la sussistenza, in Bangladesh, di un contesto di pericolo diffuso, rilevante ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), senza indicare le fonti internazionali consultate.
L’omissione si risolve in una violazione della disposizione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, che impone al giudice di verificare se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente e astrattamente sussumibile in una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, con accertamento aggiornato al momento della decisione (Cass., 11 dicembre 2020, n. 28349).
Il predetto accertamento va compiuto in base a quanto prescritto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e, quindi, “alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione Nazionale sulla base dei datti forniti dall’ACNUR, dal Ministero degli affari esteri, anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale, o comunque acquisite dalla Commissione stessa”.
E’, quindi, onere del giudice di merito procedere, nel corso del procedimento finalizzato al riconoscimento della protezione internazionale, a tutti gli accertamenti officiosi finalizzati ad acclarare l’effettiva condizione del Paese di origine del richiedente, avendo poi cura di indicare esattamente, nel provvedimento conclusivo, le parti utilizzate ed il loro aggiornamento (Cass., 20 maggio 2020, n. 9230).
1.4 Inoltre, diversamente da quanto affermato dai giudici di merito, in tema di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2017, ex art. 14, lett. c), il potere-dovere di indagine d’ufficio del giudice circa la situazione generale esistente nel paese d’origine del richiedente, va esercitato dando conto, nel provvedimento emesso, delle fonti informative attinte, in modo da verificarne anche l’aggiornamento e non trova ostacolo nella non credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente stesso riguardo alla propria vicenda personale, sempre che il giudizio di non credibilità non investa il fatto stesso della provenienza dell’istante dall’area geografica interessata alla violenza indiscriminata che fonda tale forma di protezione (Cass., 24 maggio 2019, n. 14283; Cass., 12 maggio 2020, n. 8819; Cass., 29 maggio 2020, n. 10286; Cass., 28 luglio 2020, n. 16122; Cass., 22 settembre 2020, n. 19725). 1.5 Anche di recente, questa Corte ha affermato che “In tema di protezione internazionale, nel caso in cui il giudice di merito abbia reso note le fonti consultate mediante l’indicazione del loro contenuto, della data di risalenza e dell’ente promanante, il ricorrente che voglia censurarne l’inadeguatezza in relazione alla violazione del dovere di cooperazione istruttoria, è tenuto ad allegare nel ricorso le fonti alternative ritenute idonee a prospettare un diverso esito del giudizio. Diversamente, nel caso in cui il richiamo alle fonti sia assente, generico o deficitario nelle sue parti essenziali, è sufficiente la censura consistente nella deduzione della carenza degli elementi identificativi” (Cass., 12 marzo 2021, n. 7105).
1.6 Nel caso in esame, la statuizione sul punto risulta assertiva e priva di sia pur minimi riferimenti alle fonti consultate, con la conseguenza che la doglianza va accolta.
2. Il secondo motivo, con il quale il ricorrente ha dedotto, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame dell’integrazione raggiunta in Italia dove svolgeva l’attività di lavapiatti a far data dal 7 maggio 2019 e delle condizioni di vulnerabilità cui sarebbe stato sottoposto in caso di rientro in Bangladesh, distretto di Habiganj, area esposta a continue alluvioni, deve ritenersi assorbito.
3. In conclusione la decisione impugnata va cassata con rinvio alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, per il riesame e la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2021