LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –
Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 25984/2020 proposto da:
I.T., rappresentato e difeso dall’Avv. Luigi Migliaccio, per procura speciale allegata al ricorso per cassazione;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica, domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato;
– resistente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli n. 1042/2020, pubblicata in data 4 marzo 2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/05/2021 dal consigliere Lunella Caradonna.
RILEVATO
CHE:
1. Con sentenza del 4 marzo 2020, la Corte di appello di Napoli ha rigettato l’appello proposto da I.T., proveniente dalla Nigeria (*****), avverso l’ordinanza del Tribunale di Napoli del 30 luglio 2017, che aveva confermato il provvedimento di diniego della Commissione territoriale competente.
2. Il richiedente aveva riferito di avere lasciato il paese di origine per timore di essere accusato e detenuto in assenza di un giusto processo e in condizioni detentive inumane per reati non commessi (pag. 2 del ricorso per cassazione).
3. La Corte di appello ha ritenuto che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), tenuto conto delle fonti richiamate, aggiornate al 2017; quanto alla protezione umanitaria, i giudici di secondo grado hanno ritenuto che il richiedente non versava in una condizione di vulnerabilità tal da consentire siffatta forma di protezione.
4. I.T. ricorre per la cassazione del decreto con atto affidato ad a due motivi.
5. L’Amministrazione intimata si è costituita al fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.
CONSIDERATO
CHE:
1. Con il primo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. c), per avere la Corte distrettuale, a fronte delle plurime fonti indicate in appello e in corso di causa sulla situazione della Nigeria indicate dal richiedente asilo, escluso la sussistenza in Nigeria della minaccia alla vita dei civili da violenza indiscriminata, in violazione dei consolidati principi della Corte di Cassazione.
1.1 Il motivo, riguardante specificamente la fattispecie di cui alla lett. c) del D.Lgs. n. 251 del 2007, è inammissibile, perché volto a sollecitare questa Corte ad una rivalutazione delle fonti informative per accreditare, in questo giudizio di legittimità, un diverso apprezzamento della situazione di pericolosità interna della Nigeria, giudizio quest’ultimo inibito alla corte di legittimità ed invece rimesso alla cognizione esclusiva dei giudici del merito, la cui motivazione è stata articolata – sul punto qui in discussione – in modo adeguato e scevro da criticità argomentative, avendo specificato che nel paese di provenienza del richiedente non si assiste ad un conflitto armato generalizzato, tale da integrare il pericolo di danno protetto dalla norma sopra ricordata, richiamando fonti aggiornate al 2017.
1.2 La Corte di merito, in particolare, ha provveduto ad escludere la sussistenza di situazioni di minaccia grave e individuale alla vita o alla persona da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c)), affermando, con specifica motivazione riportata alle pagine 2 e 3 del provvedimento impugnato, che l'*****, zona da cui proveniva l’istante, posto a sud della Nigeria, era un paese che non era soggetto a un livello di violenza generalizzata ed indiscriminata, essendo sussistente una situazione di insicurezza generalizzata limitata solo ad alcuni stati del Nord-est del paese; che erano diversi stati federali del nord ad essere spesso teatro di violenti scontri che avevano causato migliaia di morti, anche se le forze di sicurezza avevano rafforzato in modo massiccio la loro presenza.
1.3 Questo nel rispetto della disposizione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, che impone al giudice di verificare se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente e astrattamente sussumibile in una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, con accertamento aggiornato al momento della decisione (Cass., 11 dicembre 2020, n. 28349; Cass., 22 maggio 2019, n. 13897; Cass. 12 novembre 2018, n. 28990) e dell’onere del giudice di merito procedere, nel corso del procedimento finalizzato al riconoscimento della protezione internazionale, a tutti gli accertamenti officiosi finalizzati ad acclarare l’effettiva condizione del Paese di origine del richiedente, avendo poi cura di indicare esattamente, nel provvedimento conclusivo, le parti utilizzate ed il loro aggiornamento (Cass., 20 maggio 2020, n. 9230).
1.4 Ciò tuttavia, non può valere ad esonerare il ricorrente dall’onere di allegazione delle specifiche circostanze ritenute decisive ai fini del riconoscimento dell’invocata misura di protezione, con la conseguenza che il motivo di ricorso che mira a contrastare l’apprezzamento delle fonti condotto dal giudice di merito deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base la Corte territoriale ha deciso siano state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti (Cass., 18 febbraio 2020, n. 4037), onere non adempiuto nel caso in esame, dove il ricorrente ha genericamente dedotto, nel difetto, peraltro di autosufficienza del ricorso, che i giudici di secondo grado non si erano soffermati sulle plurime informative dettagliate, precise e aggiornate sulla situazione della Nigeria, pure esse, in ogni caso, aggiornate in gran parte al 2016 e al 2017 e una sola (peraltro la stessa fonte richiamata dai giudici di secondo grado) al 2017-2018 (pag. 5 del ricorso per cassazione).
1.5 In proposito, va evidenziato che l’accertamento sulla sussistenza di situazioni di minaccia grave e individuale alla vita o alla persona da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale in esame va compiuto in base a quanto prescritto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e, quindi, “alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla Commissione Nazionale sulla base dei datti forniti dall’ACNUR, dal Ministero degli affari esteri, anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale, o comunque acquisite dalla Commissione stessa” (Cass., 20 maggio 2020, n. 9230). 2. Con il secondo motivo si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame della compressione dei diritti umani in *****, la condizione di sfollato interno in cui verserebbe nel suo Paese a oltre 13 anni dall’espatrio e il periodo trascorso in Libia per 6 anni e tale da equipararne la condizione sotto il profilo della compressione dei diritti umani, ai cittadini di quel Paese.
2.1 Il motivo è inammissibile, perché il ricorrente, pur deducendo che prima il Tribunale e poi la Corte di appello hanno omesso l’esame della compressione dei diritti umani nell'*****, della condizione di sfollato interno in cui verserebbe nel suo Paese a oltre 13 anni dall’espatrio e del periodo trascorso in Libia per 6 anni, in violazione del principio di autosufficienza, non specifica le modalità e i termini in cui i fatti dedotti siano stati prospettati in primo grado, affermando peraltro che in secondo grado tali fatti erano stati rappresentati in sede di precisazione delle conclusioni e richiamando la comparsa conclusionale del 13 gennaio 2020.
2.2 Sul punto, deve, inoltre, rammentarsi che l’allegazione da parte del richiedente della situazione generale del paese di provenienza dovrà” proiettare – per essere positivamente apprezzata dal giudice del merito nella valutazione comparativa tra integrazione nel paese di accoglienza e la situazione del paese di provenienza – un riflesso individualizzante rispetto alla vita precedente del richiedente protezione, tale da evidenziare le condizioni di vulnerabilità soggettive necessarie per il riconoscimento dell’invocata tutela protettiva umanitaria, non potendosi ritenere pertinenti né rilevanti allegazioni generiche sulla situazione del paese di provenienza del richiedente in ordine alla privazione dei diritti fondamentali ovvero in ordine alla condizione di pericolosità interna che siano scollegate dalla situazione soggettiva dello stesso richiedente (Cass., Sez. U., 13 novembre 2019, n. 29459; Cass., 23 febbraio 2018, n. 4455).
2.3 Anche la censura sulla mancata valutazione del periodo trascorso in Libia è inammissibile, avendo questa Corte affermato il principio che il permesso di soggiorno per motivi umanitari non può essere accordato automaticamente per il solo fatto che il richiedente abbia subito violenze o maltrattamenti nel paese di transito, ma solo se tali violenze per la loro gravità o per la durevolezza dei loro effetti abbiano reso il richiedente “vulnerabile” ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, con la conseguenza che è onere del richiedente allegare e provare come e perché le vicende avvenute nel paese di transito lo abbiano reso vulnerabile, non essendo sufficiente che in quell’area siano state commesse violazioni dei diritti umani (Cass., 16 dicembre 2020, n. 28781).
3. In conclusione, il rigetto va dichiarato inammissibile.
Nulla sulle spese, poiché l’Amministrazione intimata non ha svolto difese.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dal L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 18 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2021