LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22890/2020 proposto da:
D.A. (alias C.D.), elettivamente domiciliato in Roma Via Del Casale Strozzi, 31 presso l’avvocato Barberio Laura che lo rappresenta e difende come da procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;
– intimato –
avverso la sentenza n. 7736/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 12/12/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/05/2021 da FALABELLA MASSIMO.
FATTI DI CAUSA
1. – E’ impugnata per cassazione la sentenza della Corte di appello di Roma, pubblicata il 12 dicembre 2019, con cui è stato respinto il gravame proposto da D.A. nei confronti dell’ordinanza ex art. 702 ter c.p.c., comma 5, del Tribunale della capitale. La nominata Corte ha negato che al ricorrente potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato ed ha altresì escluso che lo stesso potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.
2. – Il ricorso per cassazione si fonda su tre motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha svolto difese. Il ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo è denunciata la violazione di legge con riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, relativamente all’obbligo di cooperazione istruttoria incombente sul giudice della protezione internazionale; è lamentato altresì il vizio di motivazione. Il ricorrente si duole della propria omessa audizione in grado di appello: incombente che avrebbe chiarito le problematiche che lo avevano spinto a fuggire dal proprio paese. E’ opposto, inoltre, che la Corte di appello abbia omesso qualsiasi accertamento in merito alla reale situazione del paese di provenienza e ai rischi che corrono quotidianamente i civili in alcune regioni di quel paese, per effetto dell’azione degli appartenenti al movimento indipendentista MFDC. Viene osservato, a quest’ultimo proposito, che la sentenza impugnata non conterrebbe alcun riferimento alle COI specificamente riportate nell’atto di appello, atte a fornire precise indicazioni circa la situazione generale del Senegal, oltre che con riguardo alla persecuzione di civili nel Casamance.
Il secondo mezzo propone una censura di violazione ed erronea applicazione dell’art. 1 della Convezione di Ginevra, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. e), del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, lett. d), nonché la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3. Lamenta, in sintesi, il ricorrente che la Corte di appello non avrebbe indicato sulla base di quali elementi il proprio racconto risulterebbe essere non credibile.
Col terzo motivo sono denunciate la violazione e mancata applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, oltre che del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 19 e degli artt. 3, 8 e 13 CEDU. Assume il ricorrente che, con riferimento alla domanda di protezione umanitaria la Corte di merito non avrebbe effettuato alcun giudizio comparativo tra la propria condizione in patria e il livello di integrazione da lui raggiunto in Italia. E dedotto che tutte le circostanze relative al suo vissuto e la situazione attualmente esistente in Casamance integrerebbero quella condizione oggettiva di personale vulnerabilità alla cui stregua va parametrato il giudizio circa la fondatezza della domanda diretta al riconoscimento dell’indicata forma di protezione.
2. – La censura relativa alla mancata audizione del richiedente è infondata. Nel procedimento, in grado di appello, relativo a una domanda di protezione internazionale, non è ravvisabile una violazione processuale, sanzionabile a pena di nullità, nell’omessa audizione personale del richiedente, poiché l’obbligo di sentire le parti, desumibile dal rinvio operato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 13, al precedente comma 10 (testo previgente al D.Lgs. n. 150 del 2011), non si configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere officioso del giudice di valutarne la specifica rilevanza, ben potendo il giudice del gravame respingere la domanda di protezione internazionale, che risulti manifestamente infondata, sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo di causa e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa (Cass. 14 maggio 2020, n. 8931).
Pure da disattendere è la doglianza vertente sul giudizio di credibilità. La Corte di merito ha ritenuto la narrazione dell’odierno ricorrente – incentrata sul rapimento da parte di ribelli, che avrebbero voluto destinarlo al combattimento – poco credibile e generica. Ha osservato, in proposito, che l’istante non era stato in grado di fornire informazioni sul gruppo di ribelli, sull’organizzazione e i suoi componenti, sulle modalità di addestramento delle reclute e sulle ragioni per le quali lo stesso ricorrente non si sarebbe rivolto alle autorità di polizia. Gli indicati profili di scarsa specificità del racconto devono reputarsi decisivi. Infatti, in tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati; è cioè sempre necessario che il giudice valuti se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27503). Nel caso in esame, la specificità della narrazione è stata motivatamente esclusa dalla Corte di merito.
E’ invece fondata la doglianza basata sulla mancata spendita dei poteri ufficiosi da parte della Corte distrettuale. Infatti, nei giudizi di protezione internazionale, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone, pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione; il giudice del merito non può, pertanto, limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte (in tema: Cass. 26 aprile 2019, n. 11312; Cass. 17 maggio 2019, n. 13449; Cass. 22 maggio 2019, n. 13897; Cass. 20 maggio 2020, n. 9230; Cass. 11 dicembre 2020, n. 28349); il giudice è cioè tenuto, in assolvimento dell’obbligo di cooperazione istruttoria previsto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, e dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 27, comma 1 bis, a compiere non solo tutti gli accertamenti ufficiosi finalizzati ad acclarare l’effettiva condizione del Paese di origine del richiedente che sono necessari ai fini della definizione della domanda di protezione internazionale, ma anche ad indicare, nel provvedimento conclusivo, le fonti utilizzate e il loro aggiornamento (Cass. 11 dicembre 2020, n. 28349). Nella fattispecie, la Corte di appello non ha effettuato alcuna indagine in tal senso, limitandosi a dare atto della inattendibilità della narrazione del richiedente. Nondimeno, la valutazione di inattendibilità del racconto del richiedente, per la parte relativa alle vicende personali di quest’ultimo, non incide sulla verifica dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), in quanto la valutazione da svolgere per questa forma di protezione internazionale è incentrata sull’accertamento officioso della situazione generale esistente nell’area di provenienza del cittadino straniero (Cass. 28 luglio 2020, n. 16122; Cass. 22 settembre 2020, n. 19725).
L’accoglimento della censura di cui ci si è appena occupati importa l’assorbimento del terzo motivo di ricorso.
3. – In conclusione, va accolto, nei termini di cui in motivazione il secondo motivo; il primo va respinto e il terzo dichiarato assorbito. La sentenza è cassata, con rinvio alla Corte di appello di Roma che, in diversa composizione, statuirà pure sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il secondo motivo, respinge il primo e dichiara assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 1 Sezione Civile, il 19 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2021