Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.23831 del 02/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22119-2019 proposto da:

P.S., rappresentato e difeso dall’avvocato LOREDANA LISO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE, PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI VENEZIA;

– intimati –

avverso il decreto n. 5129/2019 del TRIBUNALE di VENEZIA, depositata il 21/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/11/2020 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.

PREMESSO CHE:

1. P.S., cittadino della *****, adiva il Tribunale di Venezia, sezione specializzata in materia di immigrazione, in seguito al rigetto da parte della Commissione territoriale di Padova della sua domanda di riconoscimento dello status di rifugiato o, in subordine, di protezione c.d. sussidiaria ovvero del rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. A sostegno della domanda, aveva dichiarato di avere lasciato il proprio paese in quanto, a seguito della rissa scoppiata tra gli abitanti del suo villaggio e gli abitanti del villaggio limitrofo in relazione alla proprietà di un terreno, aveva ferito il figlio del capo del villaggio avversario.

Il Tribunale di Venezia, con decreto 21 giugno 2019, n. 5129, ha rigettato il ricorso.

2. Avverso la decisione del Tribunale di Venezia propone ricorso per cassazione P.S..

Il Ministero dell’interno resiste con controricorso.

CONSIDERATO

CHE:

I. Il ricorso è articolato in due motivi.

1) Il primo motivo contesta “omesso esame di fatti decisivi, violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b)”: i fatti narrati dimostrerebbero gli estremi del danno grave ai sensi della richiamata lettera b); la vicenda narrata rientra nella fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7 invero responsabili della persecuzione possono essere, come nel caso in esame, anche soggetti non statuali; il giudice doveva svolgere il suo dovere di cooperazione, compiendo attività istruttoria d’ufficio.

Il motivo è inammissibile. Si lamenta in rubrica l’esame di fatti, che non vengono specificati nello svolgimento del motivo. Si invoca, ancora in rubrica, la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. b), ma nello svolgimento del motivo si fa riferimento alla fondatezza della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato. Si contesta, ancora, il mancato esercizio del dovere di cooperazione da parte del giudice non indicando rispetto a quale forma di protezione lo si invoca.

2) Il secondo motivo denuncia “vizio motivazionale, motivazione apparente” per non avere il Tribunale “valutato compiutamente la situazione personale dell’odierno ricorrente”, non considerando le problematiche legate alla “mancanza di garanzia legale, di un giusto processo in *****”; il Tribunale “non riconosce nessuna forma di protezione considerando la storia non credibile”.

Il motivo è inammissibile. Come ne(motivo precedente, si sovrappongono le forme di protezione; non si considera, poi, la ratio decidendi del provvedimento impugnato, che ha distintamente esaminato le tre forme di protezione argomentando per ciascuna il rigetto e non basandosi unicamente sulla mancata credibilità del racconto del ricorrente (v. pp. 4-6 del provvedimento impugnato), essendosi sottolineata la natura comunque privata della lite, avente ad oggetto la proprietà di un terreno, l’assenza di violenza generalizzata nello *****, di provenienza del richiedente, la mancanza di compiuta integrazione sociale in Italia, avendo il ricorrente unicamente dedotto la frequenza di un corso di lingua italiana.

II. Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile.

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore del controricorrente che liquida in Euro 2.100, oltre spese prenotate a debito Sussistono, D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione seconda civile, il 3 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2021

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