Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.23860 del 03/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 16237-2019 proposto da:

C.F., quale erede di C.M., già

amministratore unico e legale rappresentante pro-tempore, della srl ***** s.r.l., elettivamente domiciliata in ROMA, in VIA MUZIO CLEMENTI 9, presso lo studio dell’avvocato DONATO CARLUCCI, che la rappresenta e difende, con procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO della ***** s.r.l., in persona del Curatore pro-tempore, elettivamente domiciliata presso l’avvocato Pasqualino Catena, dal quale è rappres. e difeso, con procura speciale in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

PROCURA GENERALE REPUBBLICA PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI BARI;

– intimata –

avverso la sentenza n. 916/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 16/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 09/03/2021 dal Consigliere relatore, Dott. ROSARIO CAIAZZO.

RILEVATO

CHE:

La ***** s.r.l. propose reclamo avverso il provvedimento che aveva rigettato la domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo, con contestuale dichiarazione di fallimento di tale società; con sentenza del 7.11.16, la Corte d’appello di Bari dichiarò inammissibile il reclamo.

Avverso tale sentenza fu proposto ricorso per cassazione, che fu accolto con ordinanza emessa l’1.3.18, che cassò il provvedimento impugnato, rinviando alla medesima Corte innanzi alla quale il giudizio fu riassunto.

Con sentenza emessa il 9.4.19, la Corte territoriale rigettò il reclamo, osservando che: il Pubblico Ministero aveva correttamente richiesto la dichiarazione di fallimento che fu pronunciata dal Tribunale sulla base di una c.t.u. che accertò l’insufficienza delle attività della società reclamante ad assicurare l’integrale soddisfo delle passività; infatti, la società, dopo il deposito della c.t.u., aveva deliberato di accedere alla procedura di concordato preventivo ma, ritenendo eccessiva la stima del c.t.u. ed allegando c.t.p., e relazione dell’attestatore (stima di gran lunga inferiore ai valori contabilizzati); a seguito dei rilievi del commissario, la ***** s.r.l. rinunciava alla procedura per poi presentare altra proposta concordataria nella quale indicava il valore dell’immobile in Euro 2.500.000,00 come desumibile da perizia redatta nella procedura concorsuale, da considerare dilatoria; l’insolvenza sussisteva tenuto conto dei valori di stima certificati dal commissario L. Fall., ex art. 172 – quale il valore della liquidazione dell’immobile pari a Euro 771.778,00 – del tutto simili a quelli indicati dalla stessa società nella prima proposta di concordato, a fronte di un’esposizione debitoria di Euro 1.561.318,00 al momento della presentazione del piano di concordato.

Ricorre in cassazione L'***** s.r.l. con tre motivi.

Resiste il fallimento con controricorso, proponendo ricorso incidentale condizionato.

RITENUTO

CHE:

Il primo motivo denunzia violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 1 e 5, artt. 2424,2426 c.c., per non aver la Corte d’appello applicato il criterio della valutazione degli immobili al costo storico, al netto degli ammortamenti, invece del criterio del valore di mercato al momento del giudizio.

Il secondo motivo denunzia violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 1 e 7, in ordine alla stima immobiliare del c.t.u. il quale non avrebbe tenuto conto che l’immobile valutato era oggetto d’iscrizione ipotecaria per circa 2 milioni di Euro in favore della banca creditrice fondiaria, oggetto di procedura esecutiva nella quale il cespite era stato valutato Euro 2.641.047,93 e poi liquidato per Euro 615.000,00. Il ricorrente lamenta dunque che il Tribunale avrebbe erroneamente dichiarato il fallimento, ritenendo la nuova proposta dilatoria ed abusiva.

Il terzo motivo denunzia violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 161, in quanto la Corte d’appello aveva ritenuto dilatoria la nuova proposta concordataria, benché con essa si fosse inteso modificare alcune poste del bilancio, al fine di procedere ad una vendita immobiliare più vantaggiosa per la società.

L’unico motivo del ricorso incidentale, condizionato all’accertamento in capo alla ricorrente del potere rappresentativo della ***** s.r.l., ha per oggetto l’istanza di condanna della stessa ricorrente alle spese del reclamo e del grado di legittimità.

Il ricorso principale è inammissibile.

Va accolta l’eccezione preliminare sollevata dal fallimento controricorrente sulla mancanza dii legittimazione della ricorrente C.F.. Invero, quest’ultima ha proposto il ricorso “quale erede del defunto C.M., già amministratore unico e legale rappresentante p.t. della s.r.l. *****”. Come rilevato dalla difesa del fallimento, la ricorrente non ha allegato di aver assunto a seguito del decesso del marito, la qualità di legale rappresentante della ***** s.r.l. con poteri di rappresentanza processuale. Ne consegue che dall’esame dello stesso ricorso si evince la carenzà di legittimazione di C.F..

Va altresì osservato che i tre motivi di ricorso – tra loro connessi – sono comunque inammissibili anche in quanto tendenti al riesame dei fatti di causa. Al riguardo, s’afferma che, in tema di dichiarazione di fallimento, quando la società è in liquidazione la valutazione del giudice ai fini dell’accertamento dello stato d’insolvenza deve essere diretta unicamente ad accertare se il patrimonio sociale consenta di assicurare l’integrale soddisfacimento dei creditori, mentre la difficoltà di pronta liquidazione dell’attivo può rilevare in quanto sintomatica di un risultato di realizzo inferiore rispetto a quello contabilizzato dal debitore, così finendo per esprimere valori oggettivamente inidonei a soddisfare integralmente la massa creditoria (Cass., n. 28193/2020). Ora, nel caso concreto, è evidente che la liquidazione dell’unico cespite immobiliare per somma inferiore ai valori contabilizzati in bilancio, sulla base di stima del c.t.u., ritenuta dalla Corte territoriale inidonea a soddisfare i creditori, è un sintomo non equivoco dello stato d’insolvenza della società in stato di liquidazione, conformemente alla richiamata giurisprudenza di legittimità.

Giova altresì rilevare la genericità dei motivi che esprimono una critica relativa ai criteri di stima dell’immobile, unico cespite iscritto all’attivo societario, non pertinente alla ratio decidendi fondata sulla sussistenza di uno stato di decozione frutto dell’evidente squilibrio patrimoniale tra attivo e passivo. Non viene esaminato il ricorso incidentale perché condizionato all’accoglimento del ricorso principale.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale e condanna la ricorrente C.F. al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di Euro 8100,00 di cui 100,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2021

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