Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.23863 del 03/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 32500-2019 proposto da:

I.S., rappresentata e difesa dagli Avvocati CRISTIANA CENTANNI, e ITALO D’ANGELO, ed elettivamente domiciliata presso lo studio della prima, in ROMA, VIA DENZA 15;

– ricorrente –

contro

COMUNE di FILOTTRANO, in persona del Sindaco pro tempore Avv. G.L., rappresentato e difeso dall’Avvocato MAURO ROSSETTI, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Donatella Rossi, in ROMA, VIA XX SETTEMBRE 3;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 706/2019 del TRIBUNALE di ANCONA pubblicata il 5.04.2019;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 4/12/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO LUCIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale;

uditi l’Avv. CRISTIANA CENTANNI, per la ricorrente e l’Avv. MAURO ROSSETTI, per il controricorrente, che hanno concluso ciascuno come in atti.

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 640/2017, il Giudice di Pace di Ancona, in accoglimento del ricorso in opposizione proposto da I.S., annullava i verbali con cui la Polizia Municipale di Filottrano aveva alla stessa contestato la violazione dell’art. 142 C.d.S., comma 8, avendo superato in più occasioni il limite di velocità previsto in corrispondenza del km. 11,496 della strada provinciale *****, mentre percorreva la strada in direzione *****.

Avverso detta sentenza proponeva appello il Comune di ***** per i seguenti motivi: a) nullità della sentenza per illegittima acquisizione parziale della C.T.U.; b) violazione di norme di diritto in relazione alla L. n. 120 del 2010, art. 25, comma 2 contestandone l’applicabilità alla fattispecie, non essendo stato ancora adottato all’epoca il regolamento attuativo; c) violazione di norme di diritto perché la sentenza supponeva vero un fatto l’esistenza di un’intersezione tra ***** e ***** – la cui verità era esclusa dagli atti di causa; d) violazione di norme di diritto laddove la sentenza riteneva il Velocar non visibile; e) manifesto errore e manifesta irragionevolezza e/o illogicità della motivazione in relazione al punto di posizionamento del rilevatore di velocità; f) violazione di norme di diritto laddove la sentenza censurava il merito di comportamenti dell’ente pubblico, sindacandone la discrezionalità amministrativa.

Si costituiva l’appellata chiedendo, in via preliminare e in rito, la declaratoria di inammissibilità dell’appello e/o dei nuovi documenti depositati; in via principale e nel merito, la declaratoria di inammissibilità e/o il rigetto dell’appello in quanto infondato in fatto e in diritto; in via subordinata, l’annullamento dei verbali opposti per i motivi di cui al ricorso di primo grado non valutati dal Giudice di Pace.

Con sentenza n. 706/2019, depositata in data 5.4.2019, il Tribunale di Ancona, accoglieva l’appello e rigettava l’opposizione avverso i verbali. In particolare, quanto al punto sub a) il Tribunale rilevava che l’ordinanza con cui il Giudice di Pace aveva disposto l’acquisizione della CTU, depositata nell’ambito di altro procedimento, escludeva sì la planimetria, ma, allo stesso tempo, precisava che per la stessa si facesse riferimento all’elaborato originale depositato in Cancelleria nel fascicolo in questione. Sul punto b) rilevava che il criterio della distanza di 1 km tra la segnaletica e il dispositivo di controllo della velocità risultasse immediatamente applicabile, essendo una disposizione precettiva, come risultava dal tenore letterale della previsione mediante l’utilizzo del verbo all’indicativo e del termine “comunque”. Tale conclusione appariva coerente con la ratio della norma, da identificare nella necessità di evitare il pericolo conseguente alla condotta del conducente che potrebbe compiere manovre improvvise, accortosi solo all’ultimo momento del rilevatore di velocità. Sul punto c) si evidenziava che la disposizione della L. n. 1120 del 2010, art. 25, comma 2 doveva essere letta in combinato disposto con l’art. 104, comma 2 reg. esec. C.d.S., secondo cui, lungo il tratto stradale interessato da una prescrizione, i segnali di divieto e di obbligo, nonché quelli con diritto di precedenza, devono essere ripetuti dopo ogni intersezione. Nella fattispecie, andava fatta una distinzione tra i due sensi di marcia: infatti nella direzione *****, l’immissione di *****, secondo l’appellante, rappresentava un mero accesso da una strada privata, mentre secondo l’appellata e il Giudice di Pace era presente un’intersezione, in base alla qualificazione di ***** quale strada privata ad uso pubblico, operata dal CTU. Secondo il Tribunale si doveva parlare di accesso e non di intersezione, in quanto la ***** non si poteva considerare una strada pubblica, per tale intendendosi solo la strada di proprietà dell’ente locale (né l’eventuale servitù di uso pubblico poteva essere desunto dal fatto che la via privata collegasse tra loro due strade comunali). Infine il Giudice di Pace contestava la scarsa visibilità dell’apparecchio, sia nelle ore diurne che in quelle notturne, che ne determinava la natura ingannevole e censurava la scelta di averlo posizionato al termine di una rilevante pendenza, su un tratto di strada in cui è consentito il sorpasso.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione I.S. sulla base di cinque motivi. Resiste il Comune di ***** con controricorso. Le parti hanno depositato rispettive memorie illustrative.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, la ricorrente lamenta la “Violazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 7, comma 7; degli artt. 112,416 e 437 c.p.c. sotto due profili: a) omessa osservanza delle norme processuali di rito in tema di preclusioni e decadenze sia nell’onere di allegazione che nell’onere di produzione di documenti e/o nella richiesta di prove; b) omessa osservanza delle norme processuali in tema di rito del lavoro che vietano le produzioni documentali in appello”. Secondo la ricorrente il Comune incorreva in decadenze sia nelle allegazioni dei fatti, sia nelle produzioni documentali in primo grado, eccepite dalla ricorrente; inoltre il resistente produceva irritualmente, in fase di appello, documenti che avrebbe dovuto produrre in primo grado (contestati dall’odierna ricorrente in appello). Nonostante le eccezioni, il Tribunale ometteva di pronunciarsi sulle eccezioni di intempestività delle allegazioni dei fatti e produzioni documentali in primo grado.

Il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 7, comma 1 prevede che le controversie in materia di opposizione al verbale di accertamento di violazione del C.d.S. sono regolate dal rito del lavoro, per cui la costituzione dell’Amministrazione è soggetta al regime dell’art. 416 c.p.c., secondo il quale il convenuto, nella memoria di costituzione, deve prendere posizione in maniera precisa circa i fatti affermati dall’attore, proporre tutte le difese e indicare specificamente, a pena di decadenza, i mezzi di prova di cui intenda avvalersi, specie i documenti che deve contestualmente depositare. L’omessa indicazione dei documenti nell’atto di costituzione e l’omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto determinano la decadenza dal diritto di produrli. Per il grado di appello il divieto di nova non riguarda solo le domande e le eccezioni in senso stretto, ma è esteso alle contestazioni nuove. Nella fattispecie, a pag. 25 dell’atto di appello si contesta per la prima volta la natura di intersezione della ***** nella direzione di marcia *****, non avendo eccepito alcunché nella comparsa di costituzione di primo grado.

1.1. – Il motivo è infondato.

1.2. – Con riferimento al primo profilo evocato, va rilevato che, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorso deve contenere i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza impugnata. Il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione (Cass. sez. un. 17931 del 2013; Cass. n. 2051 del 2019).

Se è vero, dunque, che l’indicazione dei motivi non necessita dell’impiego di formule particolari, essa tuttavia deve essere proposta in modo altrettanto chiaro e specifico, vista la sua funzione di determinare e limitare l’oggetto del giudizio della Corte (Cass. n. 10914 del 2015; Cass. n. 3887 del 2014). Ciò richiede che i motivi dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbano avere i caratteri della specificità, della completezza e della riferibilità alla decisione stessa (Cass. n. 14784 del 2015; Cass. n. 13377 del 2015; Cass. n. 22607 del 2014). E comporta l’esposizione di argomenti intelligibili ed esaurienti ad supporto di dedotte violazioni di norme o principi di diritto (Cass. n. 23804 del 2016; Cass. n. 22254 del 2015).

1.3. – Nella specie, è assorbente rilevare che nel motivo manca qualsiasi indicatore idoneo a riferire le ragioni di impugnazione ad una delle censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1; e manca l’esatta individuazione della norma o delle norme asseritamente violate. Con ciò, altrettanto inammissibilmente, mirando la ricorrente ad ottenere dal giudice di legittimità una pronucia di accoglimento dei propri assunti difensivi, non formalmente né sostanzialmente proposti e/o spiegati.

Il mero riferimento ad una asserita utilizzazione a fini decisori di un ulteriore documento prodotto in appello (“Concessione per il mantenimento e la regolarizzazione dell’accesso esistente” del 6.6.2014) appare costituire eccezione puramente assertiva priva di alcun ulteriore supporto, di per sé inidonea a colmare il vuoto derivante dalla pretesa inammissibilità della produzione di documentazione da parte del Comune controricorrente.

1.4. – Quanto, poi, al profilo riguardante la contestata utilizzazione da parte del Tribunale di Ancona di presunti nova in appello, ovvero di eccezioni di omessa pronuncia, o di intempestività delle allegazioni dei fatti e produzioni documentali in primo grado (non meglio identificati, nell’ambito di carenza di autosufficienza che connota il motivo), esso è inammissibile, là dove appunto non specifica quali documenti siano stati illegittimamente prodotti in appello e per quale motivo, né quale effetto decisivo abbiano avuto con riguardo al thema decidendum (peraltro, il Comune precisa che l’allegato in appello numerato sub b) fosse una fonte normativa; che l’all. c) fosse una circolare ministeriale; che l’all. d) fosse il documento della Provincia di Ancona inviato al CTU; che l’all. e) fosse è la planimetria allegata alla relazione della Polizia Stradale già in atti; che l’all. f) fosse un’ordinanza-ingiunzione da considerarsi in stretta connessione con la relazione della P.S. già in atti e comunque acquisibile in appello e l’all. k) fosse uno studio della difesa del Comune).

2. – Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la “Violazione del D.L. n. 121 del 2002, art. 4 convertito dalla L. n. 168 del 2002, sotto i due profili di: a) inadeguatezza della strada; b) carenza di informazione”. Si sottolinea che, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, il decreto del Prefetto di individuazione delle strade lungo le quali è possibile installare apparecchiature automatiche per il rilevamento della velocità può includere solo le strade del tipo imposto dalla legge. Nella fattispecie, il tratto di strada in cui è stato installato il dispositivo dal Comune di *****, nonostante il provvedimento prefettizio, non ha le caratteristiche di alcuna tipologia delle strade indicate dalla legge (avendo una banchina inerbita e non pavimentata, se non per una minima parte, del tutto inadeguata allo scopo). Risulterebbe, pertanto, illegittimo (con la conseguente disapplicazione nel giudizio di opposizione a sanzione amministrativa) il provvedimento del Prefetto che abbia autorizzato l’installazione di tali apparecchiature in una strada che non abbia le caratteristiche previste dalla legge.

Sotto altro profilo, si osserva che nella relazione del 25.10.2016, redatta dal Dirigente della Polizia Stradale su disposizione del Prefetto di Ancona, acquisita in atti dal Giudice di Pace, e non valutata in grado di appello, è evidenziato che la postazione, ubicata sulla banchina in direzione di Jesi, appare come una piccola telecamera di sorveglianza a 3-4 metri da terra, orientata frontalmente ai veicoli diretti a ***** e posteriormente a quelli diretti a *****; pertanto, la cartellonistica risultava del tutto insufficiente a colmare le esigenze di informazione per gli utenti.

2.1. – Il motivo è infondato.

2.2. – Va, in primo luogo, va rilevato che l’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 9275 del 2018; Cass. n. 5939 del 2018; Cass. n. 16056 del 2016; Cass. n. 15927 del 2016).

E va soggiunto che nel ricorso per cassazione, per infirmare una motivazione della sentenza che recepisca le conclusioni di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui il giudice dichiari di condividere il merito, è necessario che la parte alleghi di avere rivolto critiche alla consulenza stessa già dinanzi al giudice a quo e ne trascriva, poi, per autosufficienza, almeno i punti salienti onde consentirne la valutazione in termini di decisività e di rilevanza, atteso che, diversamente, una mera disamina dei vari passaggi dell’elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, si risolve (come è dato rilevare nella specie) nella prospettazione di un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità (Cass. n. 11482 del 2016; Cass. n. 19427 del 2017). Sicché le conclusioni assunte dal consulente tecnico sono impugnabili con ricorso per cassazione solamente qualora le censure ad esse relative siano state tempestivamente prospettate avanti al giudice del merito, alla stregua di quanto si evinca dalla sentenza impugnata ovvero dell’atto del procedimento di merito – da specificamente indicarsi da parte del ricorrente – ove le stesse risultino essere state formulate, e vengano espressamente indicate nel motivo di ricorso, in modo che al giudice di legittimità risultino consentito il controllo ex actis della relativa veridicità nonché la valutazione della decisività della questione (Cass. n. 2707 del 2004; Cass. n. 7696 del 2006; Cass. n. 12532 del 2011; Cass. n. 20636 del 2013).

Nella specie, però, la ricorrente non ha specificato nel ricorso almeno detti punti salienti onde consentirne la valutazione in termini di decisività e di rilevanza, offrendo viceversa – nel contesto di un magmatico richiamo ai fatti di causa – solo detta mera disamina dei vari passaggi della acquisizione dei riscontri peritali, corredata da notazioni critiche, che si risolve nella prospettazione di un sindacato di merito (a tesi contrapposte) inammissibile in sede di legittimità (cfr. Cass. n. 24948 del 2018).

2.3. – Ritenuto che il provvedimento, di competenza esclusiva prefettizia (circa la individuazione delle strade lungo le quali è possibile installare apparecchiature automatiche per il rilevamento della velocità, senza obbligo di fermo immediato del conducente, previsto dal D.L. n. 121 del 2002, art. 4) può includere soltanto le strade del tipo imposto dalla legge mediante rinvio alla classificazione di cui all’art. 2 C.d.S., comma 2 e 3, (Cass. n. 7872 del 2011; Cass. n. 5532 del 2017), il Tribunale di Ancona, riteneva di non dovere (e/o potere) sindacare la legittimità della inclusione della strada ***** nella classificazione delle strade indicate dal C.d.S., sostenendo che essa non fosse soggetta ad adeguamento in quanto strada riclassificata dalla proprietaria Provincia di Ancona nel novembre 2011. Osservava infatti come non potesse sussistere la violazione del D.L. n. 121 del 2002, art. 4, comma 1, trattandosi appunto di strada non soggetta ad adeguamento e di costruzione largamente anteriore alla entrata in vigore del D.M. 5 novembre 2001, n. 6792, le cui disposizioni, al fine dell’inclusione in categoria C, si applicano come già evidenziato dalla CTU acquisita in prime cure in conformità a quanto previsto dall’art. 2, “per la costruzione di nuovi tronchi stradali e per l’adeguamento di tronchi esistenti”.

3. – Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la “Violazione e falsa applicazione del D.L. n. 117 del 2007 e del D.M. 15 agosto 2007, artt. 2 e 3”, giacché erroneamente la sentenza impugnata affermava che l’intersezione stradale che precede il luogo in cui era collocato l’apparecchio rilevatore della velocità, nella direzione *****-*****, costituisse “svincolo” e non “intersezione”. L’art. 2 del suddetto D.M. prevede l’adeguato anticipo rispetto al luogo del rilevamento, con la ripetizione del segnale in presenza di intersezioni stradali (Cass. n. 25769 del 2013; Cass. n. 9770 del 2016).

3.1. – Il motivo è inammissibile.

3.2. – Esso non risponde ai requisiti di specificità della domanda, della completezza e della riferibilità alla decisione stessa, nonché alla esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto (v. amplius: sub 1.2.). Ne’ peraltro si trovano argomentazioni a sostegno dell’assunto secondo cui ritenere che un tratto di strada costituisse intersezione stradale e non svincolo.

4. – Con il quarto motivo, la ricorrente deduce il “Vizio di motivazione, per omesso esame o motivazione apparente riguardo al fatto decisivo, oggetto di specifica impugnazione, della presenza o non di intersezioni a raso non semaforizzate sulla *****, denominata *****”. Il Tribunale avrebbe errato nell’aver disapplicato le norme vigenti in tema di uso pubblico delle strade private. Si richiama la giurisprudenza di legittimità secondo la quale, ai fini dell’applicabilità della disciplina del C.d.S., non rileva la proprietà della strada, bensì la destinazione ad uso pubblico, in quanto è l’uso pubblico a giustificare, per evidenti ragioni di ordine e sicurezza collettiva, la soggezione delle aree alle norme del C.d.S. (Cass. n. 14367/2018). Pertanto, quando l’accesso è libero e consentito a tutti senza eccezioni si realizza l’uso pubblico. Nella fattispecie, subito dopo l’intersezione di *****, proseguendo la marcia in direzione di *****, è collocato il segnale di limitazione di velocità che dista 800 metri rispetto al dispositivo di rilevamento velox. Si evidenzia che si trattava di contravvenzioni rilevate a una velocità compresa tra i 66 km/h e 70 km/h, tenendo conto che il limite di velocità, dopo la sentenza del Tribunale, è stato elevato a 70 km/h dallo stesso ente gestore della strada, su specifica richiesta dell’amministrazione comunale di *****.

4.1. – Il motivo è inammissibile.

4.2. – Dopo la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, l’omessa pronunzia continua a sostanziarsi nella totale carenza di considerazione della domanda e dell’eccezione sottoposta all’esame del giudicante, il quale manchi completamente perfino di adottare un qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito, di accoglimento o di rigetto, invece indispensabile alla soluzione del caso concreto; al contrario, il vizio motivazionale previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5 presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia pur sempre stato da parte del giudice di merito, ma che esso sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico, oppure che si sia tradotto nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”; essendo esclusa, invece, qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. n. 21257 del 2014; Cass. 23828 del 2015); laddove, pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. n. 27415 del 2018; cfr. Cass. sez. un. 8053 del 2014; cfr. Cass. n. 14014 del 2017; Cass. n. 9253 del 2017).

Nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente incidentale avrebbe dunque dovuto specificamente e contestualmente indicare oltre al “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017). Ma, nei motivi in esame, della enucleazione e della configurazione della sussistenza (e compresenza) di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde potersi ritualmente riferire al parametro di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 non v’e’ alcuna idonea e specifica indicazione.

Spettano dunque al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta tra le risultanze probatorie di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, per cui è insindacabile, in sede di legittimità, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il Giudice di secondo grado sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo Giudice (Cass. n. 1359 del 2014; Cass. n. 16716 del 2013; Cass. n. 1554 del 2004).

4.3. – La ricorrente non indica la specifica anomalia che avrebbe caratterizzato la decisione; dovendosi peraltro rilevare (in termini di mancanza assoluta di motivazione) che al contrario la motivazione esiste (v. sentenza impugnata).

5. – Con il quinto motivo, la ricorrente lamenta la “Violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del combinato disposto del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 142, comma 6 bis e D.P.R. n. 495 del 1992, art. 79, comma 3”, poiché il Tribunale non aveva tenuto conto che le postazioni di controllo per il rilevamento della velocità dovessero essere ben visibili, essendo la visibilità condizione di legittimità dell’accertamento, con la conseguente nullità della sanzione (Cass. ord. n. 6407/2019). Nella fattispecie, la postazione è installata sul lato della corsia di marcia con direzione ***** e non risultava visibile agli utenti della strada, come espressamente riferito dalla Polizia Stradale di Ancona e dal CTU, circostanze mai valutate dal Tribunale. Si evidenzia che il Giudice di Pace, in base alla CTU, affermava che l’apparecchio fosse scarsamente visibile nelle ore diurne, mentre era avvistabile all’ultimo momento nelle ore notturne; il Giudice d’appello, nonostante la ricorrente avesse insistito sull’aspetto della scarsa visibilità del Velocar, risolveva il problema sostenendo che le scelte operate dalla P.A. non fossero censurabili involgendo valutazioni di opportunità. Invero, la discrezionale individuazione prefettizia delle strade non deve prescindere dalla valutazione del tratto stradale e la P.A. deve operare in base a criteri di trasparenza e legalità, ma della trasparenza c’e’ da dubitare tenendo conto che il velox fosse posizionato sul lato destro della strada provinciale per chi percorre la strada in direzione di:lesi e non fosse visibile.

5.1. – Il motivo è inammissibile.

5.2. – Quello evocato dalla ricorrente appare essere profilo caratterizzato da mera genericità, che si appalesa quale elemento fondante rispetto alla non disgiunta indicazione e richiamo alla ratio sottesa alla preventiva informazione, che (segnalata secondo le modalità indicate dalla legge) si rinviene nell’obbligo di civile trasparenza gravante sulla P.A.

6. – Il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa altresì la dichiarazione di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2021

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