LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GORJAN Sergio – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25472-2016 proposto da:
S.A., rappresentato e difeso dall’Avvocato STEFANO ASCIONI, per procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
R.U., rappresentato e difeso dall’Avvocato MANUEL D’ALLURA, per procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –
nonché
ALLIANZ S.P.A., e FALLIMENTO ***** S.R.L.
– intimati –
avverso la sentenza n. 130/2016 della CORTE D’APPELLO TRENTO, depositata il 27/8/2016;
udita la relazione della causa svolta nell’adunanza non partecipata del 21/4/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.
FATTI DI CAUSA
Il tribunale di Bolzano, con sentenza del 13/8/2014, in accoglimento della domanda proposta da S.A., cittadino *****, ha riconosciuto la sussistenza, ai sensi dell’art. 1176 c.c, comma 2, e art. 2671 c.c. e del R.D. n. 4999 del 1929, art. 11 della responsabilità professionale del convenuto R.U. per avere, in qualità di notaio, provveduto a presentare solo il 31/5/2010, e cioè con ritardo, la domanda di intavolazione dell’acquisto della p.m. ***** in p.ed. *****, compiuto dall’attore con atto in data 2/4/2010, rendendo, così, possibile che, nelle more tra la stipula dell’atto di compravendita e l’intavolazione dell’acquirente quale nuovo proprietario, l’Unicredit Banca s.p.a. prenotasse, in data 28/5/2010, ipoteca giudiziale a carico dello stesso immobile, per l’importo di Euro 300.000,00, sulla base di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo ottenuto nei confronti della venditrice ***** s.r.l., sua creditrice, poi fallita. Il tribunale, quindi, per quanto rileva, ha riconosciuto in favore dell’attore il risarcimento del danno futuro, condannando il notaio R. al pagamento di tutte le somme che all’attore dovessero essere richieste dalla Unicredit Banca o dovessero ad essa essere assegnate in sede di esecuzione forzata una volta aperta sull’immobile compravenduto.
Il tribunale, in particolare, ha disatteso le giustificazioni del ritardo addotte dal notaio il quale, in effetti, dopo aver presentato in tempo la domanda tavolare, aveva, poi, in data 20/4/2010, provveduto, su segnalazione dell’Ufficio tavolare, a ritirarla nel rispetto della prassi di tale ufficio secondo la quale l’intavolazione degli acquisti immobiliari dei cittadini extracomunitari richiedeva la presentazione di copia autentica del permesso di soggiorno dell’acquirente in allegato alla domanda tavolare. Il tribunale, al contrario, dopo aver ritenuto l’illegittimità della richiesta formulata dal Conservatore tavolare nonché l’irrilevanza del comportamento del S. per avere, nonostante le ripetute richieste, aveva esibito con ritardo allo studio notarile l’originale del permesso di soggiorno al fine di autenticarne la copia, ha ravvisato la colpa del notaio sia per aver ritirato la domanda tavolare già tempestivamente depositata, anziché attendere l’esito del procedimento ed in caso di rigetto impugnare il decreto con reclamo tavolare, sia per non aver chiesto, al posto dell’intavolazione, quantomeno l’annotazione dell’atto di compravendita al fin di permettere la presentazione dell’originale del documento richiesto.
Il notaio R. ha proposto appello avverso la sentenza del tribunale.
S.A. ha resistito al gravame chiedendo il suo rigetto e la conferma della sentenza impugnata.
La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha accolto l’appello proposto da R.U. ed, in riforma della sentenza impugnata, ha rigettato la domanda proposta nei confronti dello stesso da S.A..
La corte d’appello, in particolare, dopo aver premesso i fatti che avevano determinato la controversia, vale a dire: – stipula, in data 2/4/2010, del contratto di vendita tra la venditrice ***** s.r.l. e l’acquirente S.A.; presentazione, in data 20/4/2010, da parte del notaio R. della domanda di intavolazione dell’acquisto da parte del S.; – successiva informazione telefonica da parte dell’ufficio tavolare sulla prassi adottata per cui, in caso di compravendita con acquirente extracomunitari, era richiesta, in allegato alla domanda, la copia autentica del permesso di soggiorno; – ritiro, in data 14/5/2010, della domanda tavolare da parte del notaio R.; – prenotazione, in data 28/5/2010, di ipoteca giudiziale da parte dell’Unicredit Banca, creditrice nei confronti della venditrice ***** per la somma di Euro 300.000,00, in forza di decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo; – presentazione, in data 31/5/2010, in esito all’esibizione dell’originale del permesso di soggiorno da parte del S., della domanda di intavolazione dell’atto di compravendita con l’allegazione di copia autentica del permesso di soggiorno; ha, innanzitutto, condiviso il giudizio del tribunale in ordine alla sussistenza della responsabilità del notaio per il ritardo con cui il contratto di vendita è stato intavolato sul rilievo che: l’esistenza del permesso di soggiorno in capo all’acquirente emergeva dalla certificazione notarile inserita nell’autentica della scrittura privata; – il conservatore del libro fondiario non ha il potere di sindacare l’attività certificativa del notaio, “pubblico ufficiale investito del ruolo di verificatore della capacità del soggetto a compiere validamente l’attività negoziale avanti a lui”; – la materiale allegazione alla domanda tavolare della copia autentica del permesso di soggiorno dell’acquirente cittadino extracomunitario non era, dunque, necessaria ai fini del controllo di legalità dell’atto da intavolare; – il notaio, incaricato dell’intavolazione dell’atto, lì dove ha assecondato la richiesta dell’ufficio tavolare senza approfondire la questione con il conservatore e senza informarne il mandante, ha assunto il rischio conseguente alla ritardata presentazione della domanda e alla perdita del rango; – il ritardo con il quale la nuova domanda tavolare, corredata dalla copia autentica del permesso di soggiorno, è stata presentata deve, pertanto, considerarsi come ingiustificata con il conseguente riconoscimento, per inosservanza delle imposizioni previste dal R.D. n. 499 del 1929, art. 11 e art. 2671 c.c., della responsabilità del notaio per le eventuali conseguenze negative che ne fossero scaturite.
La corte, invece, ha condiviso la censura con la quale il notaio ha dedotto la sussistenza di una responsabilità esclusiva o quantomeno concorrente del S. il quale, come creditore della prestazione, non aveva collaborato al fine di evitare il danno ai sensi dell’art. 1227 c.c.. La corte, in effetti, dopo aver evidenziato, in fatto, che, come era emerso dalle testimonianze raccolte, il S. aveva in fase di pre-stipula consegnato il suo permesso di soggiorno solo in copia ed era stato più volte sollecitato dal personale dello studio notarile ad esibire in studio l’originale del documento, al fine di estrarne la copia autentica, e dopo aver ricordato che l’allegazione della copia di tale documento alla domanda tavolare non era necessaria a fronte della certificazione notarile sul punto contenuta nell’autentica dell’atto di compravendita, ha nondimeno ritenuto che, ove il S. avesse dato immediato seguito alla sua promessa e alle ripetute richieste dei collaboratori dello studio, “il notaio avrebbe potuto presentare la domanda tavolare già corredata del documento, così permettendo l’immediata pertrattazione della domanda” o, comunque, dopo che l’ufficio aveva comunicato la necessità della copia autentica del permesso di soggiorno, “integrare la documentazione allegata alla domanda ed evitare in tal modo il ritiro della domanda e la connessa perdita del rango”. La corte, quindi, dopo aver evidenziato che il S. non aveva dato spiegazione in ordine alle ragioni che l’avevano indotto a non dare seguito alle richieste avanzate dai collaboratori dello studio notarile e che la collaborazione richiesta allo stesso non comportava né difficoltà né scomodità, avendo la sua residenza a poche centinaia di metri dalla sede dello studio, dove poteva recarsi per porre rimedio ad una sua mancanza, e cioè di esibire, come aveva promesso in sede di stipula il 2/4/2010, l’originale del permesso di soggiorno in tempi vicini alla stessa, ha ritenuto che il comportamento omissivo del danneggiato, tenuto comunque a comportarsi secondo correttezza e diligenza, è idoneo ad incidere sul nesso causale tra il danno verificatosi e il comportamento inadempiente del danneggiante e che, pertanto, la condotta del S., “proprio per la pretendibilità della sua collaborazione” nei termini esposti, non risponde al richiesto comportamento diligente, necessario per aspirare la risultato ineseguito, per cui appare giustificato tenerne conto attribuendogli la conseguente corresponsabilità, nella misura del 30%, per il ritardo con cui l’intavolazione del suo diritto di proprietà si è perfezionata.
La corte, infine, ha esaminato la censura con la quale l’appellante, impugnando la pronuncia del tribunale in ordine al riconoscimento e alla determinazione del danno subito dal S., ha dedotto l’insufficienza di elementi che potessero far ritenere rilevantemente probabile che l’attore avrebbe effettivamente subito la paventata diminuzione patrimoniale: e l’ha ritenuta fondata.
La corte, sul punto, dopo aver premesso, per quanto ancora rileva, che: – le domande proposte dall’attore contenevano, sin dall’atto di citazione, la richiesta, “avanzata in via subordinata per il caso del mancato accoglimento della principale domanda di condanna di ***** s.r.l. e del notaio R., in solido, al pagamento di Euro 400.000,00…, di condannare in solido ***** srl ed il notaio Dott. R.U. a rifondere, a titolo di manleva, nei confronti del sig. S., ed a favore di Unicredit banca spa, la somma di Euro 300.000,00 oltre spese ed interessi o quella maggiore o minore di giustizia, così come azionata con il decreto ingiuntivo”; -“il riferimento alla manleva presuppone la futura iniziativa del titolare del diritto garantito”, e cioè di Unicredit Banca s.p.a., quale “creditore ipotecario intavolato prima del passaggio di proprietà dell’immobile dal suo debitore all’acquirente S.”; – la domanda, intesa in tal modo, “e’ diretta ad ottenere la pronuncia idonea ad ottenere in futuro il risarcimento dei danni, conseguenza di una eventuale azione esecutiva intrapresa dal titolare del diritto garantito”; – “come tale”, in effetti, “e’ stata considerata ed accolta dal Tribunale, laddove, pronunciando sentenza di condanna condizionale, ha condannato il notaio al pagamento, in favore dell’attore S., di tutte le somme che a questi, in un imprecisato futuro, verranno richieste dalla Unicredit Banca s.p.a. o le saranno assegnate in sede di esecuzione forzata relativa all’immobile compravenduto”; – la rilevante probabilità di conseguenze pregiudizievoli è configurabile come danno futuro immeditatamente risarcibile solo nel caso in cui l’effettiva diminuzione patrimoniale appaia come il naturale sviluppo di fatti concretamente accertati ed inequivocamente sintomatici di quella probabilità secondo un criterio di normalità fondato sulle circostanze del caso concreto; ha ritenuto che, nel caso di specie, il riconoscimento del danno futuro immediatamente risarcibile era impedito dall’inattività dell’Istituto bancario che, pur avendo prenotato l’ipoteca giudiziale il 28/5/2010, non risulta, come emerge dall’estratto tavolare aggiornato all’11/3/2015, aver mai notificato al S. l’atto di pignoramento dell’immobile né ha provveduto all’annotazione dello stesso nonostante la sentenza con la quale l’11/10/2012 è stata respinta l’opposizione al precetto da lui sollevata all’esito della notifica in data 30/6/2011. D’altra parte, ha aggiunto la corte, la banca, nonostante gli anni trascorsi rispetto al rigetto dell’opposizione al precetto, neppure ha provveduto alla notifica di un nuovo atto di precetto in luogo del primo divenuto ormai inefficace per essere ampiamente decorso il relativo termine. Il comportamento del creditore ipotecario, munito di titolo esecutivo, e la mancanza di ogni documentazione in ordine ad ulteriori iniziative in esito alla perdita di efficacia del precetto opposto, potrebbero spiegarsi, ha aggiunto la corte, con l’avvenuta soddisfazione del credito o in sede fallimentare oppure a mezzo dell’intervento dei fideiussori della società venditrice: resta, tuttavia, il fatto che il S., sul quale comunque grava l’onere di indicare e provare elementi che rendano assai probabile il danno futuro derivante dalla temuta azione esecutiva sul bene ipotecato, oltre all’atto di precetto e la relativa opposizione, definita con sentenza di rigetto risalente al 2012, non ha fornito alcunché di idoneo a sostenere il suo giudizio prognostico: “certo e’… che ad oggi parte appellante non ha subito danni dall’iscrizione pregiudizievole compiuta nel periodo tra la stipula dell’atto di compravendita e la sua intavolazione, e che allo stato non risultano indizi tali da poter ritenere rilevantemente probabile una futura aggressione del bene da parte del creditore ipotecario Unicredit Banca S.p.A.” per cui “il giudizio prognostico, basato sulle ad oggi note circostanze del caso e sopra esaminate, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale non permette di dare la perdita dell’immobile quale altamente probabile e quindi giustificare sin d’ora una condanna del Dott. R. al risarcimento del danno futuro”. In definitiva, ha concluso la corte, pur dovendosi confermare la prevalente responsabilità dell’appellante notaio per il ritardo con cui ha curato l’intavolazione dell’atto di compravendita e le sortite conseguenze negative, con il riconoscimento del concorso di colpa del S. in misura del 30%, la domanda risarcitoria dev’essere respinta in toto, per l’assenza di danno attuale e per il giudizio prognostico ad oggi negativo in ordine all’ipotetico danno futuro.
La corte, quindi, ha accolto l’appello del notaio R. ed, in ragione dell’esito del giudizio, ha disposto la totale compensazione delle spese di lite tra le parti. In effetti, al momento dell’instaurazione del giudizio, in pendenza del giudizio d’opposizione al precetto, non era prevedibile per nessuno il futuro comportamento passivo del creditore Unicredit Banca, che in ultimo ha comportato il rigetto della domanda.
S.A., con ricorso notificato il 2/11/2016, ha chiesto, per tre motivi, la cassazione della sentenza della corte d’appello, dichiaratamente notificata in data 2/9/2016.
R.U. ha resistito con controricorso.
L’Allianz s.p.a. e il fallimento della ***** s.r.l. sono rimasti intimati.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che, ove il S. avesse dato immediato seguito alla sua promessa e alle ripetute richieste dei collaboratori dello studio, “il notaio avrebbe potuto presentare la domanda tavolare già corredata del documento, così permettendo l’immediata pertrattazione della domanda” o, comunque, dopo che l’ufficio aveva comunicato la necessità della copia autentica del permesso di soggiorno, “integrare la documentazione allegata alla domanda ed evitare in tal modo il ritiro della domanda e la connessa perdita del rango”, e che la condotta del S., “proprio per la pretendibilità della sua collaborazione” nei termini esposti, non rispondeva, pertanto, al richiesto comportamento diligente, per cui, in definitiva, appariva giustificato tenerne conto ritenendo che lo stesso fosse corresponsabile, nella misura del 30%, per il ritardo con cui l’intavolazione del suo diritto di proprietà si è perfezionata.
1.2. Così facendo, però, ha osservato il ricorrente, la corte d’appello non ha considerato che, a norma dell’art. 1227 c.c., comma 1, il fatto del creditore/danneggiato interviene a spezzare il legame a monte tra il comportamento del soggetto agente e l’evento, escludendo, così, la totale imputabilità del fatto all’agente e limitando di conseguenza la responsabilità di quest’ultimo, laddove, al contrario, nel caso in esame, la produzione di un documento irrilevante ai fini del procedimento tavolare non può in nessun caso spezzare il nesso di causalità tra evento e danno, e cioè il ritiro della domanda tavolare da parte del notaio e la prenotazione medio tempore dell’ipoteca pregiudizievole.
2.1. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione dell’art. 2858 c.c. e l’omesso esame circa un punto decisivo rilevato dalle parti, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto, innanzitutto, che il riconoscimento in favore dell’attore del danno futuro immediatamente risarcibile era impedito dall’inattività dell’Istituto bancario il quale, nonostante la sentenza con la nel 2012 era stata respinta l’opposizione al precetto sollevata dal S., non aveva provveduto a notificare a quest’ultimo l’atto di pignoramento dell’immobile ipotecato ed, in secondo luogo, che il S., sul quale grava l’onere di indicare e provare elementi che rendano assai probabile il danno futuro derivante dalla temuta azione esecutiva sul bene ipotecato, oltre all’atto di precetto e la relativa opposizione, definita con sentenza di rigetto risalente al 2012, non aveva fornito alcunché di idoneo a sostenere il suo giudizio prognostico, affermando, in definitiva, che le circostanze accertate in giudizio non consentivano “di dare la perdita dell’immobile quale altamente probabile e quindi giustificare sin d’ora una condanna del Dott. R. al risarcimento del danno futuro”.
2.2. Così facendo, però, ha osservato il ricorrente, la corte d’appello non ha considerato, innanzitutto, che la mancata soddisfazione delle ragioni creditorie della banca è in atti, non spiegandosi altrimenti la permanenza del vincolo ipotecario, a mano di non voler postulare un comportamento del tutto illegittimo della banca, che manterrebbe un’ipoteca a garanzia di un credito ormai estinto, ed, in secondo luogo, che la prova dell’intervenuta soddisfazione, essendo liberatoria, avrebbe dovuto essere offerta dalla controparte, non essendo onere dell’attore la prova di fatti estintivi della sua pretesa risarcitoria.
2.3. D’altra parte, la presenza di un’ipoteca, la notifica di precetti a tutte le parti comunque interessate, e cioè il debitore principale, garanti e terzo acquirente del bene ipotecato, la mancata insinuazione al passivo del fallimento e la concreta attività giudiziale svolte nel giudizio di opposizione, rappresentano, a differenza di quanto statuito dalla corte d’appello, la precisa e coerente volontà del creditore di conservare intatta la garanzia immobiliare per potersi soddisfare al momento della ripresa del mercato immobiliare.
2.4. Del resto, a fronte di un atto di precetto, con il quale il creditore manifesta la sua volontà di procedere all’esecuzione forzata, appare del tutto irrazionale ritenere che solo il pignoramento costituisca quella circostanza concreta sulla quale fondare, secondo un criterio di normalità, il giudizio prognostico.
2.5. In realtà, ha concluso il ricorrente, ogni elemento funzionalmente orientato all’espropriazione, proprio perché indispensabile nella catena procedurale, deve essere ugualmente valutato come concretamente idoneo a rappresentare il sicuro pregiudizio al quale il terzo acquirente è esposto.
3.1. Il secondo motivo, da esaminare in via prioritaria, è infondato, con assorbimento del primo.
3.2. Il ricorrente, in effetti, pur deducendo vizi di violazione di norme di legge, ha lamentato, in sostanza, l’erronea ricognizione dei fatti che, alla luce delle prove raccolte, hanno operato i giudici di merito, lì dove, in particolare, questi, ad onta delle relative emergenze, hanno escluso che l’acquirente avesse dimostrato in giudizio il pregiudizio al quale è esposto in conseguenza dell’inadempimento professionale del notaio. La valutazione delle prove raccolte, però, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale sono sindacabili in cassazione solo per il vizio, previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, di omesso esame di fatto decisivo per il giudizio. Ed è noto, tuttavia, come, secondo le Sezioni Unite di questa Corte (n. 8053 del 2014), l’art. 360 c.p.c., n. 5 consente di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia, nella specie neppure invocata, si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio consistito nell’omesso esame da parte del giudice di merito di un fatto storico (controverso), principale o secondario, la cui emergenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (così, più di recente, Cass. n. 27415 del 2018, in motiv.; Cass. n. 14014 del 2017, in motiv.; Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.). Pertanto, laddove non si contesti – come nel caso di specie – l’inesistenza, nei termini predetti, del requisito motivazionale del provvedimento giurisdizionale, il vizio di motivazione nella ricognizione della fattispecie concreta da parte della sentenza impugnata può essere dedotto in sede di legittimità soltanto per il caso di omesso esame di un “fatto storico” controverso, che sia stato oggetto di discussione ed appaia “decisivo” ai fini di una diversa decisione, non essendo più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo giustificativo della decisione adottata sulla base di elementi fattuali ritenuti dal giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (Cass. n. 23940 del 2017, in motiv.). Ne consegue che, nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente, che denuncia il vizio previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, ha l’onere di indicare non una mera “questione” o un semplice “punto” della sentenza ma proprio il “fatto storico”, principale (e cioè il fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) ovvero secondario (cioè dedotto in funzione di prova di un fatto principale) – vale a dire un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. n. 27415 del 2018, in motiv.; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 29883 del 2017; Cass. n. 21152 del 2014; Cass. SU. n. 5745 del 2015) – il cui esame sia stato omesso, nonché il “dato”, testuale o extratestuale, dal quale lo stesso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti ed, infine, la sua “decisività” (Cass. n. 14014 del 2017, in motiv.; Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.; Cass. n. 20188 del 2017, in motiv.). Il ricorrente, al contrario, non ha specificamente dedotto quali sono stati i fatti storici controversi che la corte d’appello, benché risultanti dal testo della sentenza o degli atti processuali e decisivi ai fini di una diversa soluzione della controversia, la corte d’appello, nella ricognizione della fattispecie concreta, avrebbe del tutto omesso di esaminare, limitandosi, piuttosto, a sollecitare una inammissibile rivalutazione del materiale istruttorio acquisito nel corso del giudizio. Rimane, infatti, estranea al vizio previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5 qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116 c.p.c., commi 1 e 2, in esito all’esame del materiale probatorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova. La deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 non consente, quindi, di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito. Com’e’ noto, il compito di questa Corte non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.): come, in effetti, è accaduto nel caso in esame.
3.3. La corte d’appello, invero, dopo aver valutato le prove raccolte in giudizio, ha, in modo logico e coerente, indicato le ragioni per le quali ha escluso, in fatto, la sussistenza di un danno futuro (al momento della decisione) immediatamente risarcibile rilevando, in sostanza, che, a fronte dell’inattività della banca, la quale, pur avendo prenotato l’ipoteca giudiziale il 28/5/2010, non ha mai notificato al S. l’atto di pignoramento dell’immobile nonostante la sentenza con la quale sin dal 2012 era stata respinta l’opposizione al precetto sollevata dallo stesso, non sussistevano, allo stato, e cioè al momento della decisione, gli elementi di fatto per ritenere “rilevantemente probabile” una futura aggressione del bene da parte del creditore ipotecario.
3.4. Ed una volta affermato, come la corte ha ritenuto senza che tale apprezzamento in fatto sia stato utilmente censurato (nell’unico modo possibile, e cioè, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5) per omesso esame di una o più circostanze decisive, che il S. non aveva provato in giudizio gli elementi che rendevano assai probabile il danno futuro derivante dalla temuta azione esecutiva sul bene ipotecato, non si presta, evidentemente, a censure la decisione che lo stesso giudice ha conseguentemente assunto, e cioè il rigetto della domanda risarcitoria che l’attore aveva proposto. Il risarcimento del danno futuro (costituente il petitum dell’unica domanda che la corte d’appello, con statuizione rimasta incensurata, ha ritenuto che il tribunale avesse accolto e, come tale, in difetto di proposizione espressa delle domande – evidentemente – rigettate da parte dell’appellato a mezzo di appello incidentale, unico oggetto del thema decidendum del relativo giudizio), infatti, sia in termini di danno emergente che di lucro cessante, non può essere operato sulla base dei medesimi criteri di certezza che presiedono alla liquidazione del danno già completamente verificatosi nel momento del giudizio, essendo a tal fine sufficiente la sussistenza di circostanze fattuali (la cui prova spetta, quali fatti costitutivi della pretesa azionata, all’attore che agisce in giudizio per ottenerne il riconoscimento) dalle quali possa inferirsi la rilevante probabilità che il tenuto pregiudizio si verifichi in concreto: a tal fine, tuttavia, il rischio concreto di pregiudizio è configurabile come danno futuro solo se l’effettiva diminuzione patrimoniale appaia come il naturale sviluppo di fatti concretamente accertati in giudizio ed inequivocamente sintomatici di quella probabilità secondo un criterio di normalità fondato sulle circostanze del caso concreto. La giurisprudenza, in effetti, ha da tempo chiarito che, se non basta la mera eventualità di un pregiudizio futuro per giustificare condanna al risarcimento, per ritenere tale danno immediatamente risarcibile, e’, invece, sufficiente la fondata attendibilità che esso si verifichi secondo la normalità e la regolarità dello sviluppo causale: “il giudizio di regolarità dello sviluppo causale è sempre sotteso ad ogni apprezzamento tra evento e conseguenze pregiudizievoli che ne siano derivate. Non v’e’ allora bisogno di sostenere – con una fictio che non vale a risolvere i casi estremi e che non si connota per rigore metodologico – che nel caso che si sta esaminando il danno sarebbe attuale in relazione alla diminuzione del valore di mercato del bene nella misura corrispondente all’entità del credito garantito dall’ipoteca (del quale era stato domandato il pagamento), sicché la consistenza del patrimonio dell’acquirente risulterebbe immediatamente ridotta. Dovendo invece affermarsi che la rilevante probabilità di conseguenze pregiudizievoli è configurabile come danno futuro immediatamente risarcibile quante volte l’effettiva diminuzione patrimoniale appaia come il naturale sviluppo di fatti concretamente accertati ed inequivocamente sintomatici di quella probabilità, secondo un criterio di normalità fondato sulle circostanze del caso concreto (nella specie: richiesta di pagamento da parte del creditore ipotecario del venditore fallito ed eseguito pignoramento del bene acquistato dal terzo)” (Cass. n. 10072 del 2010, in motiv., la quale ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità professionale del notaio, pur avendone riconosciuto la negligenza, in relazione alla compravendita di un immobile gravato da ipoteca per il quale l’istituto di credito aveva richiesto all’acquirente il pagamento della frazione di mutuo rimasta insoluta procedendo, a differenza del caso in esame, al pignoramento del bene; Cass. n. 485 del 1987).
4. Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione del principio della soccombenza, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha disposto la compensazione delle spese di lite senza, tuttavia, considerare che l’avvenuto accertamento della responsabilità del notaio per il ritardo con il quale ha curato l’intavolazione dell’atto d’acquisto dell’attore, imponeva, per evidenti esigenze equitative, quantomeno la sola compensazione parziale delle spese in favore di quest’ultimo.
5. Il motivo è infondato. In tema di spese processuali, infatti, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi (Cass. n. 8421 del 2017; Cass. n. 930 del 2015; Cass. n. 15317 del 2013).
6. Il ricorso dev’essere, quindi, rigettato.
7. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
8. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.
PQM
La Corte così provvede: rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese di lite, che liquida in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese generali nella misura del 15%; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile, il 21 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2021