Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.23889 del 03/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19286-2015 proposto da:

M.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TACITO 64, presso lo studio dell’avvocato CARMINE CIOFANI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE DI PESCARA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUNIO BAZZONI N. 3, presso lo studio dell’avvocato DANIELE VAGNOZZI, rappresentata e difesa dall’avvocato GIULIO CERCEO;

– controricorrente –

nonché contro T.S.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 308/2315 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 23/04/2015 R.G.N. 1459/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/02/2021 dal Consigliere Dott. VALERIA PICCONE.

RILEVATO

CHE:

– con sentenza in data 23 aprile 2015, la Corte d’Appello di L’Aquila ha respinto l’appello proposto da M.M. avverso la decisione del Tribunale di Pescara che aveva rigettato la domanda volta ad ottenere la declaratoria di nullità o l’annullamento della Delib. Direttore Generale della ASL di Pescara del 6 luglio 2012, con cui era stato conferito a T.S.E. l’incarico di Direttore della Struttura Complessa denominata “*****”, ovvero, in subordine, l’accertamento del proprio diritto al risarcimento del danno da perdita di chance;

– in particolare, dalla lettura della pronunzia di secondo grado si evince che la stessa, applicando alla specie la normativa specialistica in tema di dirigenza sanitaria e alla luce del complesso procedimento di attribuzione dell’incarico dirigenziale di struttura complessa, ha reputato corretta la valutazione operata dalla Commissione di esperti deputata al giudizio di idoneità dei candidati, escludendo, altresì, la addotta eccessiva valorizzazione del profilo del candidato, poi risultato vincitore;

– per la cassazione della pronuncia propone ricorso M.M., assistito da memoria, affidandolo a due motivi;

– resiste, con controricorso, l’Azienda Sanitaria Locale di Pescara.

CONSIDERATO

CHE:

– con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione del D.Lgs.n. 502 del 1992, art. 15-ter nonché della circolare n. 1221 del 10 maggio 1996 e successive modificazioni ex art. 360 c.p.c., n. 3;

– con il secondo motivo si allega la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per difetto di motivazione con riferimento alla sussistenza dei titoli necessari per l’incarico considerato, nonché ancora la violazione del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15-ter ex art. 360 c.p.c., n. 3;

– il primo motivo è infondato;

– giova evidenziare come la disposizione richiamata preveda che l’attribuzione dell’incarico dirigenziale di struttura complessa venga effettuata dal Direttore Generale previo avviso da pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale, sulla base di una “rosa di candidati selezionata da apposita Commissione”; ne consegue che il procedimento in oggetto risulta articolato in due fasi: la prima, incentrata sul giudizio di idoneità formulato dalla Commissione, la seconda, invece, fondata sul conferimento dell’incarico rimesso alla scelta discrezionale del Direttore Generale, nell’ambito di coloro che siano risultati idonei nella precedente fase;

– orbene, nella specie, contrariamente a quanto asserito da parte ricorrente, la Commissione incaricata non ha stilato una graduatoria dei diversi candidati ma invece, secondo quanto correttamente rilevato dal giudice di secondo grado, si è limitata ad indicare i candidati idonei inserendoli in un elenco senza procedere ad alcuna comparazione fra gli aspiranti;

– invero, l’affiancare al giudizio di idoneità una valutazione scarna come “ottimo”, “buono” ecc., non equivale in alcun modo a stilare una graduatoria fra i concorrenti, atteso che l’unico elemento rilevante per il Direttore Generale in ordine alla successiva determinazione è quello dell’idoneità, né in alcun modo risulta valorizzato, nella attribuzione finale dell’incarico, il giudizio espresso dalla Commissione;

– appare evidente, d’altro canto, come, in assenza di puntuali indicazioni in ricorso di segno contrario, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4, la censura mira ad ottenere una rivalutazione in fatto della vicenda pur essendo veicolata per il tramite dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (SU n. 34776 del 2019), mentre l’agito della Commissione appare conforme a quanto ad essa demandato (cfr., sul punto, SU n. 8950 del 2007);

– piuttosto, parte ricorrente, anche nella memoria difensiva prodotta, tenta di introdurre elementi attinenti alla assenza di esperienze specifiche in capo al dirigente incaricato, del tutto inconferenti in sede di legittimità;

– il secondo motivo, oltre ad essere inammissibilmente formulato in modo promiscuo, denunciando violazioni di legge o di contratto e vizi di motivazione senza che nell’ambito della parte argomentativa del mezzo di impugnazione risulti possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una situazione di inestricabile promiscuità, tale da rendere impossibile l’operazione di interpretazione e sussunzione delle censure (v., in particolare, sul punto, Cass. n. 18715 del 2016; Cass. n. 17931 del 2013; Cass. n. 7394 del 2010; Cass. n. 20355 del 2008; Cass. n. 9470 del 2008), nella sostanza contesta l’accertamento operato dalla Corte territoriale in ordine alla ritenuta legittimità dell’operato del Direttore Generale in quanto non vincolato nella scelta del candidato che, alla luce delle esigenze di trasparenza e professionalità, ha escluso la necessità di uno scrutinio comparativo, sulla base delle previsioni di cui all’art. 15 ter;

parte ricorrente omette, d’altro canto, di considerare che il presente giudizio di cassazione, ratione temporis, è soggetto non solo alla nuova disciplina di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in base alla quale, le sentenze possono essere impugnate “per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti”, ma anche a quella di cui all’art. 348 ter c.p.c., u.c., secondo cui il vizio in questione non può essere proposto con il ricorso per cessazione avverso la sentenza d’appello che confermi la decisione di primo grado, qualora il fatto sia stato ricostruito nei medesimi termini dai giudici di primo e di secondo grado, ossia non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d, doppia conforme (v. sul punto, Cass., n. 4223 del 2016; Cass. n. 23021 del 2014);

quindi, non possono trovare ingresso nel presente giudizio di legittimità tutte quelle censure che attengono alla ricostruzione della vicenda storica come operata dai giudici di merito, anche in ordine alla congruità dell’iter procedimentale seguito nella designazione del dirigente, in contrasto sia con i principi enunciati da Cass. SS.UU. n. 8053 del 2014, che ha rigorosamente interpretato il novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, limitando la scrutinabilità al c.d. “minimo costituzionale”, sia nella parte in cui, quanto attingono questioni di fatto in cui la sentenza di appello ha confermato la pronuncia di primo grado;

– alla luce delle suesposte argomentazioni, pertanto, il ricorso deve essere respinto;

– le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo;

– sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 5250,00 per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 16 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2021

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