Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.23897 del 03/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 277-2015 proposto da:

AM.TER S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CAIO MARIO 7, presso lo studio dell’avvocato MARIA TERESA BARBANTINI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ENRICO SIBOLDI;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. – Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA N. 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, CARLA D’ALOISIO, EMANUELE DE ROSE;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 256/2014 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 20/06/2014 R.G.N. 160/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/03/2021 dal Consigliere Dott. BUFFA FRANCESCO;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’

STEFANO ha depositato conclusioni scritte.

RILEVATO IN FATTO

CHE:

Con sentenza del 2.6.14, la Corte d’Appello di Genova confermava la sentenza del tribunale della stessa sede che aveva rigettato l’opposizione della AMTER ad avviso di addebito INPS relativo a contributi per cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria e mobilità, ritenendo non applicabile alle società a capitale misto l’esonero previsto D.Lgs. n. 869 del 1947, ex art. 3 (come sostituito dalla L. n. 270 del 1988, art. 4) per le imprese industriali degli enti pubblici.

Avverso tale sentenza ricorre l’AMTER per due motivi, illustrati da memoria, cui resiste l’INPS con controricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

Con il primo motivo si deduce-ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.Lgs. n. 869 del 1947, art. 3, L. n. 1115 del 1968, art. 2L. n. 164 del 1975, art. 1,L. n. 223 del 1991, art. 16,L. 142 del 1990, art. 22 e art. 2093 c.c., per avere la sentenza impugnata trascurato che la società era qualificabile come impresa industriale di un ente pubblico in ragione della partecipazione azionaria maggioritaria di controllo del Comune di Genova.

Con il secondo motivo si deduce violazione della L. n. 223 del 1991, art. 14, per avere la sentenza impugnata trascurato l’indicata equiparazione anche ai finì del contributo di mobilità.

I motivi possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione: essi sono infondati.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte (v. tra le altre, Sez. L, Sentenza n. 14847 del 24/06/2009, Rv. 608826 – 01; Sez. L, Sentenza n. 5816 del 10/03/2010, Rv. 624935 01; Sez. L, Sentenza n. 20818 del 11/09/2013, Rv. 627946 – 01; n. 8591 del 03/04/2017, Rv. 643749 – 01), in tema di contribuzione previdenziale, le società a capitale misto, ed in particolare le società per azioni a prevalente capitale pubblico, aventi ad oggetto l’esercizio di attività industriali sono tenute al pagamento dei contributi previdenziali previsti per la cassa integrazione guadagni e la mobilità, non potendo trovare applicazione l’esenzione stabilita per le imprese industriali degli enti pubblici, trattandosi di società di natura essenzialmente privata, finalizzate all’erogazione di servizi al pubblico in regime di concorrenza, nelle quali l’amministrazione pubblica esercita il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato, e restando irrilevante, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario, la mera partecipazione – pur maggioritaria, ma non totalitaria – da parte dell’ente pubblico.

E’ stato in particolare precisato che la forma societaria di diritto privato è per l’ente locale la modalità di gestione degli impianti consentita dalla legge e prescelta dall’ente stesso per la duttilità dello strumento giuridico, in cui il perseguimento dell’obiettivo pubblico è caratterizzato dall’accettazione delle regole del diritto privato e che la finalità perseguita dal legislatore nazionale e comunitario nella promozione di strumenti non autoritativi per la gestione dei servizi pubblici locali è specificamente quella di non ledere le dinamiche della concorrenza, assumendo rilevanza determinante, in ordine all’obbligo contributivo, il passaggio del personale addetto alla gestione del servizio dal regime pubblicistico a quello privatistico (Cass. n. 20818 del 2013, Cass. 27513 del 2013).

Le considerazioni sin qui svolte impongono di rigettare il ricorso e di condannare la ricorrente, rimasta soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone presupposti processuali, come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 16 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2021

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