LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 1866z3/2020 proposto da:
E.E., rappresentato e difeso dall’avvocato Anna Rosa Oddone del foro di Torino, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore;
– intimato –
avverso la sentenza n. 296/2020 della CORTE D’APPELLO di TORINO, pubblicata il 18/11/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/04/2021 da FALABELLA MASSIMO.
FATTI DI CAUSA
1. – E’ impugnata per cassazione la sentenza della Corte di appello di Torino, pubblicata il 3 marzo 2020, con cui è stato respinto il gravame proposto da E.E. nei confronti dell’ordinanza ex art. 702 ter c.p.c., comma 5, del Tribunale del capoluogo piemontese. In esito ai due gradi del giudizio di merito la domanda di protezione internazionale dell’odierno ricorrente non ha trovato accoglimento.
2. – Il ricorso per cassazione si fonda su due motivi; il secondo è peraltro numerato, nell’atto di impugnazione, come terzo. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha notificato controricorso, ma ha depositato un “atto di costituzione” in cui non è svolta alcuna difesa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Il primo motivo oppone la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e comunque l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Si lamenta che la Corte di merito, aderendo alla motivazione contenuta nella decisione di primo grado, abbia “rigettato la domanda di riconoscimento di protezione internazionale, limitandosi a negare quanto lamentato nel ricorso e nell’appello in ordine alla mancanza di valutazione della vicenda, delle tradizioni del luogo e in ordine alla posizione di dubbio della Commissione sui fatti narrati debitamente circostanziati, in particolare per la narrazione delle violenze morali e materiali subite”. Secondo l’istante, la sentenza impugnata non conterrebbe valutazioni critiche diverse da quelle formulate dal Tribunale, “ma semplici enunciazioni di conferma dell’ordinanza” pronunciata dal giudice di prima istanza. Si deduce, inoltre, che la Corte di Torino avrebbe omesso di valutare le fonti aggiornate specifiche sulla situazione in atto in Nigeria, e cioè fatti e circostanze fondamentali per la decisione.
Il motivo è inammissibile.
La Corte di appello ha dato atto che l’odierno istante ha censurato l’ordinanza del Tribunale con esclusivo riferimento al denegato riconoscimento della protezione umanitaria, sicché gli accertamenti compiuti con riferimento allo status di rifugiato, al diritto di asilo e alla protezione sussidiaria erano passate in giudicato.
Il ricorso non coglie detta ratio decidendi, che manca di impugnare: ebbene, la ravvisata carenza di aderenza della censura al decisum destina la stessa alla statuizione di inammissibilità (Cass. n. 3 luglio 2020, n. 13735; Cass. 7 settembre 2017, n. 20910; Cass. 7 novembre 2005, n. 21490): infatti, la proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., n. 4).
2. – Col secondo mezzo viene formulata una censura di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Deduce il ricorrente che la Corte di appello, investita della domanda di protezione umanitaria, avrebbe omesso di valutare la propria condizione di vulnerabilità, che pure era stata posta in luce.
Anche tale motivo si profila inammissibile.
Il ricorrente prospetta una doglianza che esula dalla previsione dell’art. 360 c.p.c.. Nella nuova formulazione dell’art. 360, n. 5, risultante dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, è mancante ogni riferimento letterale alla “motivazione” della sentenza impugnata, con la conseguenza che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta iin violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.
Ciò detto, la Corte di merito ha escluso che le condizioni di povertà del paese di origine e le paventate difficoltà del ricorrente nel reperire un lavoro in patria valessero ai fondare il diritto alla protezione umanitaria; ha escluso, inoltre, che potesse dirsi provato il raggiungimento, da parte del richiedente, di un adeguato grado di integrazione sociale dello stesso nel nostro paese.
L’istante assume di aver argomentato la propria domanda, quanto alla protezione umanitaria, deducendo (avanti ai giudici di merito) “la situazione di estrema vulnerabilità” che lo avrebbe interessato, ma nulla dice quanto alla prospettazìone, nel precorso giudizio di merito, di specifiche condizioni personali che avrebbero consentito l’accesso alla nominata forma di tutela. Va considerato che la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicché il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 28 settembre 2015, n. 19197; in senso conforme: Cass. 29 ottobre 2018, n. 27336; Cass. 31 gennaio 2019, n. 3016). Ne discende che l’obbligo di motivazione dei giudici di merito va qui rapportato a circostanziate deduzioni quanto a fattori di vulnerabilità personale: deduzioni di cui, come detto, il motivo non fa menzione. Il mezzo di censura risulta pertanto carente di specificità, e conseguentemente, di decisività.
3. – Il ricorso va in conclusione dichiarato inammissibile.
4. – Nulla deve statuirsi in punto di spese processuali.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 1^ Sezione Civile, il 14 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2021