Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.23919 del 03/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

G.N., (cod. fisc. *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’avvocato Cristiano Bertoncini, presso il cui studio in Guardiagrele, Chieti e’ elettivamente domiciliato;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di L’Aquila, depositato in data 29.4.2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/4/2021 dal Consigliere Dott. AMATORE Roberto.

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. Con Decreto del 29.4.2020 il Tribunale di L’Aquila ha respinto la domanda di protezione internazionale ed umanitaria avanzata da G.N., cittadino nigeriano proveniente dall’Edo State, confermando, pertanto, il provvedimento di diniego emesso dalla locale commissione territoriale.

Il tribunale ha ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, sub D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a e b, in ragione della complessiva valutazione di non credibilità del racconto del richiedente, che aveva riferito di essere stato costretto a fuggire dal suo Paese per il timore di essere arrestato o ucciso per l’omicidio del fratellastro, da lui accoltellato perché aveva aggredito sua madre, e perché, comunque, non ricorrevano i presupposti applicativi delle invocate tutele; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria il D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito all’Edo State collegato ad un conflitto armato generalizzato; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, posto che la valutazione di non credibilità escludeva tale possibilità e perché il ricorrente non aveva dimostrato un saldo radicamento nel contesto sociale italiano né una condizione di soggettiva vulnerabilità.

2. Il decreto è stato impugnato da G.N. con ricorso per cassazione affidato a due motivi.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di motivazione apparente con conseguente nullità della sentenza ex art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in quanto il tribunale non avrebbe preso posizione sulla pratica, diffusa in tutta la Nigeria, della vendetta privata, cui le autorità governative non sono in grado di far fronte, ancorché tale fatto fosse stato posto a fondamento della domanda di protezione internazionale, rendendo perciò necessaria l’attivazione dei poteri istruttori officiosi del giudice.

1.1 Il motivo è inammissibile perché non investe la prima della due rationes decidendi poste a fondamento del rigetto delle domande di protezione maggiore, costituita dalla ritenuta non credibilità del racconto; è appena il caso di aggiungere che il tribunale, una volta ritenuti inattendibili i fatti allegati dal ricorrente, non era tenuto ad alcun approfondimento istruttorio ulteriore ai fini del riconoscimento dello status o della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) (cfr. Cass. (ord.) 20.12.2018, n. 33096; Cass. 12.6.2019, n. 15794).

2. Con il secondo mezzo, che deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 36, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, il ricorrente lamenta il rigetto della domanda di protezione umanitaria. Deduce che la Nigeria è paese caratterizzato da povertà ed assenza di opportunità lavorative, ad elevato rischio di attentati terroristici e teatro di continui scontri e proteste, che non consente condizioni di vita dignitose e che, a fronte del percorso di integrazione da lui intrapreso, il ritorno in patria lo esporrebbe ad un serio pregiudizio e lo porrebbe in una situazione di vulnerabilità.

2.1 Anche questo motivo è inammissibile, in quanto contesta in via totalmente generica l’accertamento del tribunale in ordine al difetto di allegazione di specifici profili di vulnerabilità del richiedente ed alla mancata dimostrazione del suo radicamento in Italia, ed è sostanzialmente volto a sollecitare un nuovo giudizio di comparazione, difforme da quello compiuto dal giudice del merito – sindacabile da questa Corte solo nei ristretti limiti del vizio (neanche denunciato) di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – sulla scorta di una generale rappresentazione della situazione politico-economica neppure dell’Edo State, ma dell’intera Nigeria (alla cui stregua il permesso di soggiorno per motivi umanitari dovrebbe essere rilasciato a chiunque provenga dal Paese), senza indicare in qual modo essa si rifletta sulla sfera soggettiva del ricorrente sino al punto da precludergli l’esercizio dei diritti fondamentali.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2021

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