Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.23930 del 03/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 25289/2020 proposto da:

C.M., rappresentato e difeso dall’Avv. Luigi Migliaccio, giusta procura speciale allegata al ricorso per cassazione.

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica, domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, 12, presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato.

– resistente –

avverso la sentenza della Corte di appello di NAPOLI n. 843/2020, pubblicata in data 21 febbraio 2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 18/05/2021 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

RILEVATO

Che:

1. Con sentenza del 21 febbraio 2020, la Corte di appello di Napoli ha accolto l’appello proposto dal Ministero dell’Interno e, per l’effetto, ha rigettato la richiesta di permesso di soggiorno formulata da C.M., nato in *****, per coniugio con una cittadina italiana.

2. La Corte di appello ha affermato che l’appellante aveva subito due condanne per il reato di traffico di sostanze stupefacenti e che il reato era tra quelli ostativi al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno e che stante la natura dei reati aveva errato il giudice di primo grado nel ritenere prevalente il diritto all’unione familiare; che il soggetto era particolarmente pericoloso che era stato condannato per due volte per lo stesso gravissimo reato, aduso a fornire false generalità in occasione del suo arresto; che risultava condannato alla pena di anni nove e mesi 4 di reclusione per un traffico di sostante stupefacenti per un traffico internazionale di stupefacenti tra l’Africa e l’Italia in concorso con numerosi altri soggetti, con ciò risultando implicitamente un’elevatissima pericolosità sociale.

3. C.M. ricorre per la cassazione dell’ordinanza con atto affidato ad un unico motivo.

4. L’Amministrazione intimata si è costituita al fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo ed unico motivo il ricorrente lamenta error in iudicando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti, relativi alla formulazione del giudizio di pericolosità del ricorrente, e, in particolare, la risalenza degli episodi criminosi ascritti al C. a quasi tre lustri or sono; il virtuoso percorso inframurario, la fattiva partecipazione all’opera di risocializzazione e l’assenza di ulteriori pregiudizi penali, decisivi per la formulazione di un giudizio di pericolosità attuale e concreto idoneo a verificare se il ricorrente costituiva una minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato, unica condizione ostativa al rilascio di permesso di soggiorno in coesione a moglie italiana, quando, come nel caso di specie, era stata accertata la genuinità del rapporto di coniugio ed effettività della convivenza.

1.1 Il motivo è fondato.

1.2 Questa Corte ha già affermato che la valutazione relativa alla sussistenza della pericolosità sociale dello straniero non può limitarsi alla valutazione dei suoi precedenti penali, ma deve compiere il suo esame in base ad un accertamento oggettivo e non meramente soggettivo degli elementi che giustificano sospetti e presunzioni, estendendo il suo giudizio anche all’esame complessivo della personalità dello straniero, desunta dalla sua condotta di vita e dalle manifestazioni sociali nelle quali quest’ultima si articola, verificando in concreto l’attualità della pericolosità sociale (Cass., 21 dicembre 2020, n. 29148; Cass., 31 luglio 2019, n. 20692, relativa ad un’espulsione disposta sulla base dei presupposti di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2, lett. c)).

In particolare, detto riscontro, secondo quanto previsto dal D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 116 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione), va condotto sulla base dei seguenti criteri: a) necessità di un accertamento oggettivo e non meramente soggettivo degli elementi che giustificano sospetti e presunzioni; b) attualità della pericolosità dello straniero; c) necessità di esaminare globalmente l’intera personalità del soggetto, quale risulta da tutte le manifestazioni sociali della sua vita di relazione (Cass., 31 luglio 2019, n. 20692, citata; Cass., 14 maggio 2013, n. 11466).

1.3 Si tratta di un principio affermato anche con riferimento alla richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi familiari (Cass., 27 giugno 2019, n. 17289; Cass., 25 novembre 2015, n. 24084); alla richiesta di autorizzazione all’ingresso o alla permanenza in Italia del familiare di minore straniero che si trovi nel territorio italiano, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, comma 3 (Cass., Sez. U., 12 giugno 2019, n. 15750); alla proroga del trattenimento presso il Centro di Permanenza per il Rimpatrio ai sensi del D.Lgs. n. 142 del 2015, art. 6, comma 2, lett. c), (Cass., 31 ottobre 2018, n. 27739); alla richiesta di permesso di soggiorno per coesione familiare (Cass., 28 giugno 2018, n. 17070; Cass., 15 marzo 2017, n. 6666); al respingimento alla frontiera dello straniero decretato ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 10, comma 1 (Cass., 21 luglio 2017, n. 18133); alla domanda di rilascio, o rinnovo, del permesso di soggiorno in qualità di marito convivente con una cittadina italiana, con conseguente condizione di inespellibilità di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 2 (Cass., 29 settembre 2016, n. 19337).

1.4 Si ravvisa quindi un principio generale, alla luce del quale ogni qualvolta il legislatore preveda che lo straniero socialmente pericoloso non possa entrare, soggiornare o rimanere, sul territorio nazionale, la sussistenza del requisito della pericolosità va accertata in concreto ed all’attualità, anche quando la norma individui specifiche condotte, o precedenti, che il legislatore abbia ritenuto indicativi ai fini del giudizio di pericolosità.

1.5 In tale contesto, questa Corte ha precisato che il criterio di pericolosità nella specie non riguarda esclusivamente l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato, ma anche, come indicato nel D.Lgs. n. 30 del 2007, art. 20, la pubblica sicurezza (Cass., 29 settembre 2016, n. 19337) ed ha affermato che la verifica della pericolosità sociale costituisce una condizione ostativa del rinnovo del permesso di soggiorno per motivi familiari richiesto dal familiare straniero di cittadino italiano o dell’Unione Europea; l’assenza di tale ostacolo deve, pertanto, essere valutata dall’autorità competente per il rilascio del titolo, ovvero per il mantenimento di quello preesistente, ma non per procedere automaticamente all’allontanamento in violazione dei criteri di attribuzione di tale specifica funzione previsti dalla norma (Cass., 17 maggio 2013, n. 12071).

1.6 Ciò posto, la Corte territoriale non si è attenuto ai predetti principi, essendosi limitata ad affermare che la pericolosità era riscontrata dalle due condanne per il reato di traffico di sostanze stupefacenti e che il richiedente risultava condannato alla pena di anni nove e mesi 4 di reclusione tra l’Africa e l’Italia in concorso con numerosi altri soggetti, con ciò risultando “implicitamente” un’elevatissima pericolosità sociale, in tal modo omettendo del tutto di verificare la fondatezza della valutazione di pericolosità sociale formulata dal predetto, sia sotto il profilo della riconducibilità dei fatti accertati ad una delle ipotesi di pericolosità sociale definite dal D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 1, il quale fa riferimento a: “1) coloro che debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono abitualmente dediti a traffici delittuosi; 2) coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose; 3) coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica”, nessuna delle quali viene chiaramente e specificamente richiamata; sia sotto il profilo dei criteri della attualità della pericolosità e della valutazione globale della personalità dell’interessato, alla luce anche degli elementi allegati dal medesimo nel giudizio.

Ed infatti, il ricorrente aveva dedotto la risalenza nel tempo dei fatti delittuosi commessi (come rilevato dal giudice di primo grado la grave condanna del 2014 era frutto del cumulo di pene per fatti commessi oltre dieci anni prima, ovvero al 2006-2007) e il virtuoso percorso inframurario, oltre che la fattiva partecipazione all’opera di risocializzazione, circostanze tutte che erano state accertate dal Tribunale in primo grado che aveva ritenuto la pericolosità sociale non più attuale e concreta e che non sono state minimamente considerate dai giudici di secondo grado, così omettendo l’esame degli elementi di fatto evidenziati, ai fini di ritenere correttamente sussistenti le condizioni previste dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 1, per la deroga al divieto di espulsione sancito dall’art. 19, comma 2, lett. c), del medesimo D.Lgs..

2. In conclusione, il ricorso va accolto; la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, che si atterrà ai principi di diritto sopra enunciati e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2021

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