LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GORJAN Sergio – Presidente –
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25153/2019 proposto da:
U.I., ammesso al patrocinio a spese dello Stato e rappresentato e difeso dall’avvocato Antonio Almiento, con studio in Oria (BR) Vico Torre S. Susanna 18;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, *****, ope legis domiciliato in Roma, Via Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende;
– resistente –
avverso il decreto n. 2799 del Tribunale di Lecce, depositato il 19/06/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/02/2021 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.
RILEVATO
che:
– U.I., cittadino pakistano, ha impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Lecce che ha respinto il di lui ricorso avverso il diniego dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria così come del riconoscimento dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6;
– a sostegno delle domande di protezione egli ha allegato di essere originario di *****, di avere frequentato la scuola per 10 anni, di essere di religione islamiva e di non essere sposato, di avere ancora i genitori e cinque fratelli; ha allegato che prima di lasciare il suo paese lavorava come conducente di macchine escavatrici e di avere lasciato il Pakistan perché ricercato dalla polizia dopo che aveva manifestato la disponibilità di donare un proprio terreno per la costruzione di una chiesa cattolica; per questo era stato oggetto di una fatwa ed era stato minacciato di morte;
– il tribunale leccese aveva negato lo status di rifugiato per non ravvisare nella vicenda personale del richiedente asilo una persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità ovvero appartenenza ad un determinato gruppo; inoltre, in considerazione della non credibilità del racconto personale aveva escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e lett. b), così come la condizione di violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato interno od internazionale nella zona di provenienza del ricorrente ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c);
– con riguardo, infine, alla protezione umanitaria, il giudice ha osservato che nessuna attività lavorativa regolare in corso era stata allegata, né le condizioni personali come quelle familiari integravano profili di vulnerabilità soggettiva rilevanti quali seri motivi di carattere umanitario per escludere il rimpatrio del ricorrente;
– la cassazione del decreto impugnato è chiesta sulla base di sei motivi, illustrati da memoria;
– l’intimato Ministero si è costituito ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, secondo periodo, ai soli fini dell’eventuale discussione orale.
CONSIDERATO
che:
– con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, per avere sopravvalutato alcune imprecisioni nel racconto del ricorrente in sede di Commissione territoriale e per la mancata applicazione del principio del c.d. onere probatorio attenuato;
– la censura è inammissibile perché generica, limitandosi al richiamo di principi di diritto, la cui rilevanza non è contestualizzata attraverso la necessaria specifica indicazione degli eventuali punti di criticità rilevati nel giudizio di credibilità svolto dal giudice del merito;
– il ricorrente, infatti, accenna a “talune imprecisioni riguardanti aspetti secondari del racconto del richiedente la protezione” (cfr. pag. 6, quarto capoverso, del ricorso) ma non li specifica ulteriormente sicché appare impossibile apprezzarne la rilevanza;
– con il secondo motivo si denuncia la nullità del decreto e/o del procedimento, per violazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 ed D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per omesso esame del ricorrente;
– la censura è inammissibile ex art. 360 bis c.p.c., poiché a fondamento del vizio asseritamente consistente nell’omessa audizione del richiedente asilo, si deduce la sentenza di questa Corte n. 17717/2018 che concerne il diverso obbligo di fissazione dell’udienza, obbligo pacificamente ottemperato nel caso di specie, mentre, come affermato dal tribunale in ossequio al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 10 e 11 e chiarito dalla giurisprudenza di legittimità in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, il giudice ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incogruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile (cfr. Cass. 21584/2020; id. 22049/2020; id. 26124/2020);
– il motivo non si confronta con i suddetti principi puntualmente applicati dal giudice del merito ed e’, pertanto, destinato alla declaratoria di inammissibilità;
– con il terzo motivo si denuncia la nullità del decreto o del procedimento per violazione del potere-dovere ufficioso del giudice di acquisire informazioni e documenti rilevanti, in base al diritto vivente della Corte di cassazione (cfr. Cass. Sez. Un. 27310/2008), al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, ed alla direttiva 2004/83/CE, nonché per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, in ambedue i casi rilevante in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;
– con il quarto motivo (erroneamente indicato come quinto) si denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 14, rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per la mancata concessione della protezione sussidiaria cui il ricorrente aveva diritto in ragione delle attuali condizioni sociopolitiche del paese di origine;
– il terzo e quarto motivo attengono alla valutazione delle fonti e possono essere esaminati congiuntamente;
– essi sono fondati per quanto di seguito specificato;
-in tema di protezione internazionale, in adempimento del proprio dovere di cooperazione istruttoria il giudice può fare ricorso ad informazioni tratte da fonti diverse da quelle indicate nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, solo in aggiunta a quelle specificamente elencate da tale norma, che è ispirata alla duplice “rado” di assicurare, da un lato, l’uniformità del criterio valutativo delle domande di protezione internazionale e, dall’altro, l’autorevolezza della fonte dalla quale le informazioni sono tratte (Cass. 28641/2020);
– costituisce altresì principio interpretativo ripetutamente affermato che nei procedimenti in materia di protezione internazionale, il dovere di cooperazione istruttoria del giudice si sostanzia nell’acquisizione di COI (“Country of Origin Information”) pertinenti e aggiornate al momento della decisione (ovvero ad epoca ad essa prossima), da richiedersi agli enti a ciò preposti, non potendo ritenersi tale il sito ministeriale “*****”, il cui scopo e funzione non coincidono, se non in parte, con quelli perseguiti nei procedimenti indicati (cfr. Cass. 8819/2020; id. 20334/2020);
– ciò posto nel caso di specie il Tribunale di Lecce ha valutato la situazione del paese di origine ai fini della protezione sussidiaria esclusivamente alla luce della fonte informative costituita tratta dal sito “*****”, che essendo come sopra riconosciuto destinato ad altri fini non è idoneo a sostituire le COI;
– con il quinto motivo (erroneamente indicato come sesto) si denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, anche in relazione alle previsioni di cui al D.P.R. n. 349 del 1999, art. 28, comma 1, alla L. n. 110 del 2017, art. 10 Cost. e art. 3 CEDU, rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere il tribunale errato nel non applicare al ricorrente la protezione, non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero, qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario, nonché essendo vietata l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel suo paese d’origine o che ivi posta correre gravi rischi;
– con il sesto motivo (erroneamente indicato come settimo) si denuncia la violazione e o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e dell’art. 8 CEDU, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e omesso esame circa un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per mancata valutazione della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria;
– l’accoglimento del terzo e quarto motivo assorbono l’esame e la decisione del quinto e sesto motivo;
– in conclusione, il decreto impugnato va cassato in relazione ai motivi accolti, con rinvio al Tribunale di Lecce, in diversa composizione, per nuovo esame della domanda di protezione sussidiaria e di quella di protezione uminataria, in conformità ai principi di diritto sopra richiamati, oltre che per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo e quarto motivo, respinge il primo ed il secondo, assorbiti gli altri; cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e rinvia al Tribunale di Lecce, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 10 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2021