Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.24002 del 06/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2762/2016 proposto da:

C. S.a.s. di L.C. & C., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Federico Cesi n. 72, presso lo studio dell’avvocato Bonaccorsi Di Patti Domenico, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Ferrata Marsilio, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

ENEA – Agenzia Nazionale per le Nuove Tecnologie, l’Energia e lo Sviluppo economico sostenibile, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2384/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 14/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 10/03/2021 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NARDECCHIA Giovanni Battista, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 2384/2015 depositata il 14-10-2015 e notificata il 30-11-2015, la Corte d’Appello di Venezia ha accolto l’appello proposto da Ente Nazionale Nuove Tecnologia (di seguito per brevità Enea) nei confronti di s.a.s. C. di L.C. & C. (di seguito per brevità C.) e, per l’effetto, in riforma della sentenza n. 742/2014 del Tribunale di Padova, ha dichiarato la nullità del contratto di cessione di credito del 4/8/2009 intercorso tra la V.M. spa, cedente, e la C., cessionario, avente ad oggetto i crediti derivanti dal contratto d’appalto tra la M. e l’Enea per violazione del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 117, che prescrive requisiti soggettivi in capo al cessionario (banca o intermediario finanziario).

2. Avverso questa sentenza, la C. propone ricorso affidato a due motivi, a cui resiste con controricorso ENEA.

3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis.1 c.p.c.. La Procura Generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo l’accoglimento del primo motivo di ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la “Violazione e falsa applicazione delle norme di diritto che disciplinano la validità e l’efficacia della cessione del credito derivante da contratti di appalto di opere pubbliche; violazione della L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 9, allegato E; falsa applicazione del D.Lgs. n. 153 del 2006, art. 117”. Deduce, con articolate argomentazioni, l’errata ricostruzione, da parte della Corte d’appello, del quadro normativo di riferimento. In particolare, come da pronuncia di questa Corte n. 19571/2007 citata nella sentenza impugnata, ma il cui contenuto si assume travisato, il D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, recante “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE”, all’art. 117, nel confermare la cedibilità dei crediti nei confronti della P.A. derivanti dall’esecuzione di appalti per lavori pubblici, stabilisce che il cessionario debba essere una impresa qualificata (comma 1, periodo 2) e, per l’eventualità che il cessionario non sia in possesso dei prescritti requisiti, non prevede l’applicabilità delle norme generali del c.c., così come invece disposto dalla L. n. 52 del 1991, art. 1, comma 2, per la cessione dei crediti di impresa in generale, ma restano valide le norme speciali che regolavano in precedenza la cessione dei crediti nei confronti della pubblica amministrazione (della L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 9, allegato E, artt. 351 e 355, allegato F; del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, artt. 69 e 70). In virtù di dette ultime norme, non solo il contratto di cessione tra la società M. e la C. è valido in quanto stipulato con i requisiti di forma prescritti ed essendo stato notificato alla P.A., ma, avendo anche trovato completa esecuzione, è efficace nei confronti del debitore ceduto, essendosi conclusa l’esecuzione del contratto originario, senza che abbiano più rilevanza, proprio in virtù della terminata esecuzione, i requisiti soggettivi del soggetto cessionario. Rileva, inoltre, la ricorrente, per completezza, che era stata eccepita tardivamente da Enea l’eccezione di riscontrate irregolarità contributive da parte della cedente M. e che, in ogni caso, si trattava di eccezione non opponibile alla cessionaria, avendo peraltro Enea riscontrato la non inadempienza della cedente pagando la fattura n. *****.

2. Con il secondo motivo denuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la “Nullità del procedimento per violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa ex art. 111 Cost., comma 2 e art. 24 Cost., comma 2”. La ricorrente deduce che la Corte di merito aveva fissato l’udienza per la discussione orale della causa e per la pronuncia della sentenza ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., facendo riferimento all’eccezione di tardività dell’appello e, pertanto, ad una questione di rito. Rileva che non era stato instaurato un contraddittorio pieno anche in relazione al merito, essendo stata esclusa la trattazione scritta, in violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa.

3. Il secondo motivo, da esaminarsi prioritariamente perché ha ad oggetto la denuncia di un vizio processuale, è infondato.

3.1. Precisato, per chiarezza espositiva, che la censura non riguarda le questioni della consumazione dell’impugnazione e della tardività dell’appello, coperte, dunque, ora da giudicato interno, non sussiste la denunciata violazione del contraddittorio, ai sensi degli artt. 111 e 24 Cost.. Questa Corte ha, condivisibilmente, affermato che “la denuncia di vizi fondati sulla violazione di norme processuali non va vista in funzione autoreferenziale di tutela dell’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce, solo, l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte per effetto della violazione denunciata. E’ stato sostenuto, in particolare, che la sentenza che decida su di una questione di puro diritto, rilevata d’ufficio, senza procedere alla sua segnalazione alle parti onde consentire su di essa l’apertura della discussione (cd. terza via), non è in sé nulla, in quanto, da tale omissione può solo derivare un vizio di “error in iudicando”, ovvero di “error in iudicando de iure procedendi”, la cui denuncia in sede di legittimità consente la cassazione della sentenza solo se tale errore sia in concreto consumato; qualora, invece, si tratti di questioni di fatto, ovvero miste di fatto e di diritto, la parte soccombente può dolersi della decisione sostenendo che la violazione del dovere di indicazione ha vulnerato la facoltà di chiedere prove o, in ipotesi, di ottenere una eventuale rimessione in termini” (tra le tante Cass. S.U. n. 20935 del 2009; n. 2984 del 2016; n. 16049/2018; n. 15037/2018). Dunque, alla stregua di detti principi, l’omessa indicazione alle parti di una questione di fatto oppure mista di fatto e di diritto, rilevata d’ufficio, sulla quale si fondi la decisione, priva le parti del potere di allegazione e di prova sulla questione decisiva e, pertanto, comporta la nullità della sentenza (cd. della terza via o a sorpresa) per violazione del diritto di difesa, tutte le volte in cui la parte che se ne dolga prospetti, in concreto, le ragioni che avrebbe potuto fare valere qualora il contraddittorio sulla predetta questione fosse stato tempestivamente attivato (cfr. da ultimo Cass. n. 11440/2021).

3.2. Ciò posto, nella specie la Corte di merito ha deciso su una questione mista di fatto e di diritto che non è stata affatto rilevata d’ufficio, ma era oggetto di gravame da parte di ENEA (pag. 7 sentenza primo motivo di appello). Peraltro parte ricorrente neppure deduce di aver subito un vulnus nei termini infra precisati, sicché non può dolersi del vizio denunciato perché da esso non è scaturito un error in iudicando in concreto consumato.

4. Il primo motivo è fondato.

4.1. Occorre premettere che, secondo quanto accertato dalla Corte di merito, l’atto di cessione del 2-9-2009 dei crediti futuri di cui al contratto di appalto del 23-7-2007 era stato stipulato con la forma dell’atto pubblico o scrittura privata autenticata e che il collaudo conclusivo dell’appalto aveva avuto esito positivo (pag. 9 sentenza). La Corte d’appello ha ritenuto che la cessione del credito non fosse opponibile all’Enea per la mancanza, nella specie, del requisito della soggettività qualificata del cessionario del credito ai sensi del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 117 e ciò nonostante che il contratto non potesse più essere considerato in corso, per essere stato già espletato e approvato il collaudo da parte della P.A..

4.2. Ritiene il Collegio che debba darsi continuità ai principi espressi da questa Corte con la pronuncia n. 19571/2007 e con le successive conformi (tra le tante Cass. n. 5103/2018 e 33344/2018), ai quali non si è attenuta la Corte territoriale.

Occorrre sintenticamente riepilogare il quadro normativo di riferimento, che è il seguente: i) l’art. 69 della Legge di Contabilità dello Stato (R.D. 18 novembre 1923, n. 2440) secondo cui le cessioni devono risultare da atto pubblico o da scrittura autenticata da notaio; h) l’art. 70 della Legge di Contabilità dello Stato che si riferisce alle cessioni derivanti da somministrazioni, forniture e appalti, tutti riconducibili nella più ampia categoria dei contratti di durata; iii) L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 9, all. E, nel quale è previsto che nessuna cessione in corso di rapporto può aver efficacia se non vi aderisce l’amministrazione; iv) del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 117, in ragione del quale le cessioni di crediti da corrispettivo di appalto, concessione, concorso di progettazione, sono efficaci ed opponibili alle stazioni appaltanti che sono amministrazioni pubbliche qualora queste non le rifiutino con le comunicazioni da notificarsi al cedente ed al cessionario entro 45 giorni dalla notifica della cessione ed è richiesta la soggettività qualificata del cessionario (banca o intermediario finanziario).

Per quel che ora interessa, va ribadito che, nell’ipotesi che il cessionario non sia una banca o un intermediario finanziario così come prescritto dall’art. 117 cod. degli appalti, si applica non già la disciplina del codice civile, bensì quella speciale di cui all’art. 9 L.A.C. e R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, artt. 69 e 70 (Cass. n. 19571/2007; n. 18610/2005; Cass. n. 33344/2018). In corso di rapporto l’inopponibilità della cessione dei crediti si configura come una temporanea inefficacia, che viene meno dopo l’esecuzione del contratto. Dalla combinata operatività delle suindicate norme emerge che sul piano della forma dell’atto di cessione è necessario il ricorso all’atto pubblico o alla scrittura privata autenticata, che il limite alla cedibilità sussiste solo fino a quando il contratto è in corso di esecuzione e cessa alla conclusione del rapporto contrattuale e che, quindi, se il contratto tra cedente e ceduto è in corso, il creditore cedente deve chiedere il previo consenso al debitore ceduto, segnatamente la P.A., per poter cedere il credito. In particolare la norma di cui all’art. 9 L.A.C. vuole evitare che durante l’esecuzione del contratto, possano venire a mancare i mezzi finanziari al soggetto obbligato alla prestazione in favore della pubblica amministrazione (Cass. n. 13261 del 2000 e altre precedenti). Ai sensi del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, artt. 69 e 70, le cessioni relative a somme dovute dallo Stato debbono essere notificate all’amministrazione centrale ovvero all’ente ovvero ufficio o funzionario cui spetta ordinare il pagamento (in deroga al principio generale del codice non vi è la possibilità per il cessionario di dimostrare in altro modo, diverso dalla notificazione, l’avvenuta conoscenza della cessione da parte della P.A.).

Invece, come si è anticipato e si ribadisce, per l’ipotesi che il cessionario non sia una banca o un intermediario finanziario così come prescritto dall’art. 117 cod. degli appalti, si applica non già la disciplina del codice civile, bensì quella speciale di cui all’art. 9 L.A.C. e al R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, artt. 69 e 70 (Cass. n. 19571/2007) e in corso di rapporto l’inopponibilità della cessione dei crediti si configura come una temporanea inefficacia, che viene meno dopo l’esecuzione del contratto, ossia quando non sussiste più l’esigenza di tutela della P.A. di cui si è detto. Infatti, come evidenziato anche dalla Procura Generale e come affermato nella citata pronuncia del 2007 “se al rinvio alla L. n. 52 del 1991, va attribuito il significato di rendere operante la disciplina derogatoria posta da tale normativa per i crediti di impresa, allo stesso rinvio non può attribuirsi anche il significato di aver abrogato le norme speciali costituite della L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 9, All. E e del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, artt. 69 e 70. La cessione del credito verso la P.A. trova quindi la propria disciplina nella della L. n. 2248 del 1865, art. 9, Al. E, e del R.D. n. 2440 del 1923, artt. 69 e 70 o nel D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 117, coerentemente con il meccanismo predisposto dal legislatore che – in funzione di protezione delle cessioni in esame – detta un criterio per selezionare le norme a seconda che la fattispecie si ascriva o meno a quella legalmente tipizzata dell’art. 117 del Codice dei contratti pubblici. Tale articolo riproduce l’estensione della disciplina contenuta nella L. 21 febbraio 1991, n. 52, già sancita della L. n. 109 del 1994, art. 26, comma 5, ampliandola ai contratti di servizi e forniture, e, in virtù del richiamo alla suddetta L. n. 52 del 1991, presuppone: a) che il cedente sia un imprenditore; b) l’inerenza dei crediti oggetto di cessione a contratti stipulati dal cedente nell’esercizio della propria attività di impresa; c) la qualità di banca o di intermediario finanziario disciplinato dal testo unico bancario (D.Lgs. n. 385 del 1993). Solo qualora nella fattispecie concreta si ravvisino le caratteristiche e i presupposti menzionati, si deve ritenere applicabile la disciplina di cui al D.Lgs. n. 163 del 2006, dovendo, al contrario, farsi riferimento del R.D. n. 2440 del 1923, artt. 69 e 70, nel caso in cui, come quello in esame, il cessionario non rivesta la qualità di banca o intermediario finanziario”.

4.3. Alla stregua dei suesposti principi, disattesi dalla Corte di merito, la quale ha accertato in fatto, con statuizione non censurata, che il collaudo era stato effettuato e pertanto l’esecuzione dell’appalto era terminata, il primo motivo di ricorso va accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione, anche in ordine alla decisione sulle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigettato il secondo, cassa la sentenza impugnata nei limiti del motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione, anche in ordine alla decisione sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 10 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2021

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