LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –
Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 26577-2015 proposto da:
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati LUIGI CALIULO, ANTONELLA PATTERI, LIDIA CARCAVALLO, SERGIO PREDEN;
– ricorrente –
contro
FIDE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA IRNERIO 29, presso lo studio dell’avvocato ELENA CONTINI, rappresentata e difesa dall’avvocato MARCO D’ERRICO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 156/2015 del TRIBUNALE di LARINO, depositata il 05/05/2015 R.G.N. 587/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/03/2021 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO.
RILEVATO IN FATTO
che, con sentenza depositata il 5.5.2015, il Tribunale di Larino, decidendo in grado d’appello e in riforma della pronuncia resa dal locale Giudice di pace, ha rigettato l’opposizione proposta dall’INPS avverso il decreto ingiuntivo con cui gli era stato ingiunto di pagare a FIDE s.p.a. somme rivenienti dalla cessione del quinto del trattamento pensionistico effettuata in suo favore da C.R.; che avverso tale pronuncia l’INPS ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di censura, successivamente illustrati con memoria;
che FIDE s.p.a. ha resistito con controricorso, anch’esso parimenti illustrato con memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
che, con il primo motivo, l’Istituto ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 442 c.p.c., per avere il Tribunale riformato la sentenza di prime cure nella parte in cui aveva rilevato che, trattandosi di credito relativo a pensione, la competenza funzionale ad emettere il decreto ingiuntivo andava individuata in relazione alle norme citate, e dunque in capo al tribunale in funzione di giudice del lavoro;
che, con il secondo motivo, l’Istituto ricorrente lamenta violazione dell’art. 444 c.p.c. per non avere il Tribunale ritenuto che la competenza per territorio in ordine all’emissione del decreto ingiuntivo andasse individuata in relazione al luogo di residenza del pensionato;
che, con il terzo motivo, l’Istituto ricorrente si duole di violazione del D.P.R. n. 180 del 1950, artt. 1 e 2, e dell’art. 545 c.p.c., art. 2751 c.c., n. 4 e art. 2778 c.c., n. 17, per avere il Tribunale ritenuto la debenza delle somme ingiunte nonostante che l’INPS avesse dovuto ricalcolare la quota di pensione spettante all’odierna controricorrente per tener conto dell’assegno di mantenimento che il pensionato era stato nelle more obbligato a corrispondere alla coniuge separata e dell’impossibilità di operare trattenute che riducessero la pensione al di sotto del minimo vitale;
che, con riguardo al primo motivo, questa Corte ha recentemente ribadito il principio secondo cui, allorché oggetto della cessione sia un credito relativo ad un trattamento pensionistico, anche la controversia insorta tra ceduto e cessionario soggiace alle regole di competenza per materia e per territorio proprie delle controversie di assistenza e previdenza di cui agli artt. 442 e 444 c.p.c., concretandosi la cessione del credito nella sostituzione della cessionaria nella posizione del pensionato cedente, senza che ciò immuti la natura previdenziale del credito ceduto e la competenza speciale stabilita dalla legge per le controversie che lo abbiano ad oggetto (così Cass. n. 28823 del 2020, sulla scorta di Cass. n. 1118 del 2012);
che, pertanto, il procedimento monitorio avrebbe dovuto in specie avrebbe dovuto introdursi davanti al tribunale in funzione di giudice del lavoro, giusta la regola di competenza per materia e territoriale di cui agli artt. 442 e 444 c.p.c.;
che, dovendo darsi continuità al principio secondo cui il giudice dell’opposizione all’ingiunzione, ivi compreso il giudice di appello che decide in secondo grado, deve limitarsi a dichiarare la nullità del decreto ingiuntivo nei casi in cui, per difetto di competenza dell’organo che ha emesso l’ingiunzione o per mancanza di altri presupposti processuali, manchi la possibilità di emettere una pronuncia di merito nei confronti delle parti (così da ult. Cass. n. 28823 del 2020, cit.), la sentenza impugnata, assorbiti gli ulteriori motivi di censura, va cassata e la causa va decisa nel merito con la declaratoria di nullità del decreto ingiuntivo opposto e la compensazione delle spese dell’intero processo, in ragione delle indubbie peculiarità della fattispecie.
PQM
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara la nullità del decreto ingiuntivo opposto. Compensa le spese dell’intero processo.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 17 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2021
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