LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 26581-2019 proposto da:
A.O., rappresentata e difesa dall’Avvocato CARMELO PICCIOTTO, per procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato;
– resistente –
avverso il DECRETO pronunciato dal TRIBUNALE DI MESSINA in data 9/7/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata dell’1/4/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.
FATTI DI CAUSA
Il tribunale, con il decreto in epigrafe, dichiaratamente comunicato il 13/8/2019, ha rigettato l’impugnazione che A.O., nata in ***** il *****, aveva proposto avverso il provvedimento con il quale la commissione territoriale aveva, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale che la stessa aveva proposto.
A.O., con ricorso notificato il 12/9/2019, ha chiesto la cassazione del decreto per otto motivi.
Il ministero dell’interno ha depositato atto di costituzione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo ed il secondo motivo, la ricorrente, lamentando l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, la violazione o la falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 3, e D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, comma 10, lett. b), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale non ha esaminato plurimi fatti decisivi per il giudizio dedotti dalle parti, vale a dire che la richiedente, di giovanissima età e basso livello di scolarizzazione, era stata assoggettata a tratta, tant’e’ che ha espresso la volontà di incontrare un ente anti tratta per poter meglio spiegare la sua vicenda, ed ha riferito di aver prestato il giuramento “juju”, che l’ha sottomessa all’organizzazione criminale per la restituzione della somma di denaro che la richiedente avrebbe dovuto procurarsi prostituendosi, a nulla, invece, rilevando, come ha invece ritenuto il tribunale, che il giuramento sia stato prestato in Libia, dove la tratta, iniziata in *****, ha avuto il suo momento cruciale.
2. Con il terzo, il quarto, il quinto ed il sesto motivo, la ricorrente, lamentando la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, commi 1 e 5 e D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 e la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 7 e 8 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha ritenuto che il racconto della richiedente non fosse credibile, senza, tuttavia, considerare che la stessa, anche in ragione della sua giovanissima età e della bassa scolarizzazione, aveva compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda, e senza esaminare la domanda alla luce di informazioni precise e aggiornate sul suo Paese d’origine.
3. Con il settimo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, commi 1 e 5, e del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, e la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha rigettato la domanda di protezione sussidiaria senza, tuttavia, procedere al suo esame alla luce di informazioni precise e aggiornate, soprattutto per ciò che riguarda l’art. 14 cit., lett. B, ovvero il rischio di subire trattamenti disumani e degradanti.
4. Con l’ottavo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, e l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio dedotti dalle parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha rigettato la domanda di protezione umanitaria senza, tuttavia, considerare che la stessa, assoggettata a tratta o in ***** o in Libia, versa in una situazione di altissima vulnerabilità.
5.1. I motivi, da trattare congiuntamente, sono fondati nei limiti che seguono.
5.2. Il tribunale, in effetti, dopo aver evidenziato che la richiedente non aveva mai affermato di essere fuggita dal suo Paese per sottrarsi ad una persecuzione conseguente all’appartenenza al particolare gruppo sociale costituito dalle donne vittime di tratta e che la stessa solo dopo il provvedimento di rigetto della commissione territoriale (che aveva sottolineato “la presenza di alcuni elementi sintomatici di uno sfruttamento sessuale”) aveva mutato la propria strategia difensiva invocando la protezione spettante alle persone vittime di tratta, ha osservato che l’istante, pur continuando a sostenere di non essere espatriata in quanto sottoposta nel proprio Paese ad una forma di schiavitù di fini sessuali, aveva dedotto di esserne stata vittima dopo essere giunta in Libia, “vale a dire in un luogo diverso da quello dal quale la stessa si era allontanata e con riferimento al quale va esaminata la sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione internazionale”, laddove, “con riferimento alla situazione lasciata dalla ricorrente in ***** non sono stati neppure allegati elementi sintomatici di un pericolo grave per la sua persona derivante da una forma di persecuzione…”.
5.3. Sennonché, come più volte affermato da questa Corte:
a) l’allegazione da parte del richiedente la protezione internazionale che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani – anche senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda di protezione costituisce in ogni caso circostanza rilevante ai fini della ricostruzione della vicenda individuale e, di conseguenza, della credibilità del dichiarante e della sua condizione di fragilità (cfr., per tutte, Cass. n. 2861 del 2018);
b) quando la suddetta connessione venga illustrata o addirittura siano state evidenziate violenze (in particolare sessuali) subite nel Paese di transito (Libia) e di temporanea permanenza del richiedente asilo in tale Paese, potenzialmente idonee, quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona, il giudice del merito non può a maggior ragione esimersi dallo svolgere una specifica valutazione in ordine alle violenze sessuali che la richiedente asilo ha allegato di avere subito in Libia, Paese di transito e di permanenza per un certo periodo (Cass. n. 13096 del 2019, riguardante un ricorso proposto da una cittadina *****);
c) in simili casi l’accertamento della situazione di disagio psico-fisico del richiedente e di vulnerabilità potrà essere presa in considerazione quanto meno ai fini della protezione umanitaria, che nella configurazione di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, – qui applicabile ratione temporis – è una misura atipica e residuale destinata a coprire situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi il rimpatrio e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (vedi, per tutte, Cass. n. 13079 del 2019);
d) senza peraltro escludere la possibilità della concessione di una misura di protezione internazionale ove, in concreto, nella vicenda umana posta a base della domanda e ivi narrata (al di là di aspetti meramente di dettaglio) risulti che l’attraversamento ed il soggiorno in un Paese di transito (come la Libia) e i trattamenti inumani e degradanti nonché le violenze ivi subite abbiano un importante ruolo nell’ambito nucleo essenziale della richiesta di protezione internazionale, che è quello che deve essere esaminato nelle due fasi del procedimento (Cass. n. 29603 del 2019, in motiv., che ha condivisibilmente cassato il decreto con il quale il tribunale, “pur avendo ritenuto attendibile il racconto della richiedente sul punto, non ha sulla base dei dati forniti in tale racconto, assunto informazioni precise e aggiornate circa la situazione donne in *****, notoriamente spesso obbligate a subire violenze ed abusi soprattutto di tipo sessuale e coinvolte nella tratta e nello sfruttamento sessuale anche in Libia, pure al fine di stabilire se, ad esempio, la suddetta “vendita” è stata conclusa in ***** ovvero direttamente in Libia, onde apprestare la protezione più adeguata; in altri termini il Tribunale non avendo attribuito alcun rilevo al dato raccapricciante della “vendita” della richiedente vendita che, di per sé, costituisce una violenza e un trattamento di tipo schiavistico – non avendo assunto specifiche informazioni sulla situazione delle donne ***** non ha neppure considerato che spesso le vittime di tratta non denunciano le violenze subite per timore di ritorsioni e che, quindi, la ricorrente per la medesima ragione, potrebbe aver dichiarato di non avere alcun timore rispetto alla vicenda vissuta in Libia; ne deriva che il Tribunale, per tutte le indicate ragioni, è venuto meno al dovere di accertare – avvalendosi dei suoi poteri istruttori anche ufficiosi, data la ritenuta credibilità di questa parte del racconto – le conseguenze subite dalla ricorrente per effetto dell’indicata “vendita” e dell’esercizio della prostituzione cui è stata obbligata, acquisendo informazioni aventi per specifico oggetto la situazione delle donne *****, onde stabilire se (la richiedente) sia meritevole di una forma di protezione internazion(al)e ovvero della protezione umanitaria, quale prevista dall’art. 5, comma 6 TUI (non essendo qui applicabile, ratione temporis, il D.L. n. 113 del 2018 convertito dalla L. n. 132 del 2018)”).
D’altra parte, e prima ancora, ai fini della protezione internazionale, nel caso in cui la domanda di asilo sia presentata da una donna e, nel giudizio, emerga un quadro indiziario, ancorché incompleto, che faccia temere che quest’ultima sia stata vittima, non dichiarata, di tratta, il giudice non può arrestarsi di fronte al difetto di allegazione (o anche all’esistenza di allegazione contraria) ma deve avvalersi degli strumenti di cui dispone per conoscerne la vera storia, ricorrendo, in particolare, allo strumento dell’audizione, paradigmaticamente indispensabile, al fine di consentire alla intravista realtà (in tutti i suoi dettagli, compresa la sua effettiva origine), occultata dalla stessa richiedente, di emergere in sede giurisdizionale (cfr. Cass. n. 24573 del 2020), specie in considerazione del fatto che, spesso, come già visto, le vittime di tratta non denunciano le violenze subite per timore di ritorsioni (Cass. n. 10 del 2021).
6. Il decreto in esame, dando esclusivo rilievo alla mancata deduzione da parte della richiedente di essere stata assoggettata a tratta in ***** ed alla (successiva) deduzione di esserne stata vittima soltanto una volta che era giunta in Libia, senza, così, procedere alla valutazione specifica della situazione della ricorrente, effettuata sulla base del nucleo essenziale del racconto dell’interessata, nel quale deve farsi senz’altro rientrare il fatto di essere stata oggetto di tratta seguita dalla sottoposizione all’obbligo di prostituirsi, si è illegittimamente discostato dai predetti principi e dev’essere, come tale, cassato, con rinvio, per un nuovo esame, al tribunale di Messina che, in differente composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte così provvede: accoglie il ricorso, nei termini esposti in motivazione, e, per l’effetto, cassa il decreto impugnato con rinvio, per un nuovo esame, al tribunale di Messina che, in differente composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 1 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2021