LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11275/2017 proposto da:
B.M., elettivamente domiciliata in Roma, Via Crescenzio n. 69, presso lo studio dell’avvocato Ghiani Alessandro, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
M.L., elettivamente domiciliata in Roma, Piazza Unità
n. 13, presso lo studio dell’avvocato Ranucci Luisa, rappresentata e difesa dall’avvocato Gigante Cristina, giusta procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 487/2016 della CORTE D’APPELLO DI LECCE SEZIONE DISTACCATA DI TARANTO, depositata il 14/10/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/04/2021 dal cons. Dott. FALABELLA MASSIMO.
FATTI DI CAUSA
1. – Il Tribunale di Taranto dichiarava la separazione personale dei coniugi M.L. e B.M., addebitandola a quest’ultima; rigettava, poi, l’istanza per il riconoscimento di assegno di mantenimento in favore della medesima e imponeva al marito un assegno mensile di Euro 600,00 per il mantenimento della figlia V.P.; assegnava, infine, il godimento della casa coniugale alla detta B..
2. – Il successivo giudizio di gravame si concludeva con sentenza del 24 ottobre 2016 con cui la Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, dichiarava inammissibile l’appello proposto da B.M. e inefficace l’appello incidentale tardivo spiegato da M.L.. La nominata Corte rilevava che l’impugnazione principale non individuava le parti della sentenza che l’appellante riteneva dovessero essere modificate, né spiegava in quale modo la detta modificazione andasse operata, giacché l’atto di gravame riproponeva “lo stesso iter del primo grado anche dal punto di vista logico-ricostruttivo” e non individuava “il nesso causale tra l’errore denunciato e la decisione impugnata”. Il giudice distrettuale osservava, poi, che l’appello era in ogni caso destituito di fondamento nel merito e, richiamando le deposizioni testimoniali assunte, osservava come la ripetuta violazione del dovere di fedeltà da parte della moglie avesse costituito l’unica causa determinante della crisi coniugale: con la conseguenza che, a suo avviso, correttamente la separazione era stata addebitata all’appellante B..
3. – Quest’ultima ha impugnato per cassazione la sentenza della Corte di Lecce facendo valere quattro motivi di ricorso; M. resiste con controricorso e ha proposto una impugnazione incidentale condizionata basata su un unico mezzo di censura. La ricorrente ha fatto pervenire una memoria tardiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Col primo motivo di ricorso sono denunciate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c.. La censura investe l’affermazione della Corte di merito secondo cui l’impugnazione doveva ritenersi inammissibile. Osserva, in sintesi, la ricorrente di aver adeguatamente esposto i motivi in fatto e in diritto dell’interposto gravame.
Il secondo mezzo oppone la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 276 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c.. L’istante assume l’illogicità della sentenza e l’omessa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. Rileva che la pronuncia impugnata sarebbe carente dell’indicazione delle ragioni per cui si è ritenuto di condividere la tesi del giudice di prime cure, sicché risulterebbe impossibile apprezzare l’iter logico giuridico posto a fondamento del rigetto dei motivi di gravame.
Col terzo motivo la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 143 c.c. per l’errata applicazione della norma che disciplina i doveri coniugali. Viene fatto specifico riferimento al mutato costume sociale in materia di rapporti tra coniugi; è spiegato come l’addebito della separazione implichi la valutazione del nesso causale tra la separazione stessa e il comportamento che renda intollerabile la convivenza.
Il quarto motivo censura la sentenza impugnata per violazione falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c.. La doglianza investe il giudizio espresso dalla Corte di appello circa l’attendibilità dei testimoni indicati dalla controparte, i quali si sarebbero limitati “a descrivere solo ciò che poteva essere utile a screditare la sig.ra B.M.”.
Col motivo di ricorso incidentale condizionato M. contesta la sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato l’inefficacia del proprio appello incidentale e reitera, in sostanza, la richiesta di accoglimento dei motivi di impugnazione della sentenza di primo grado svolti nell’indicato atto di gravame.
2. – I quattro motivi del ricorso principale sono inammissibili.
2.1. – E’ inammissibile il primo motivo.
La norma di cui all’art. 342 c.p.c. – è stato spiegato dalle Sezioni Unite – va interpretata nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza tuttavia che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Cass. Sez. U. 16 novembre 2017, n. 27199). In particolare, la disposizione in parola esige che “che le questioni e i punti contestati della sentenza impugnata siano chiaramente enucleati e con essi le relative doglianze”; in tal senso, “in nome del criterio della razionalizzazione del processo civile, che è in funzione del rispetto del principio costituzionale della ragionevole durata”, si richiede “che la parte appellante ponga il giudice superiore in condizione di comprendere con chiarezza qual è il contenuto della censura proposta, dimostrando di aver compreso le ragioni del primo giudice e indicando il perché queste siano censurabili” (sent. cit., in motivazione, par. 5.1).
La Corte di merito, nel rilevare che l’odierna ricorrente aveva riproposto “l’iter del primo grado anche da un punto di vista logico-ricostruttivo” e aveva mancato di individuare “il nesso causale tra l’errore denunciato e la decisione impugnata”, ha inteso proprio sottolineare come il proposto gravame mancasse di motivi di impugnazione sufficientemente specifici.
A tale rilievo l’odierna istante contrappone un motivo di censura che è privo di autosufficienza.
Va qui considerato che la deduzione con il ricorso per cassazione di errores in procedendo implica che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” (Cass. Sez. U. 25 luglio 2019, n. 20181): la deduzione con il ricorso per cassazione di errores in procedendo, in relazione ai quali la Corte è anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, non esclude, infatti, che preliminare ad ogni altro esame sia quello concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando ne sia stata positivamente accertata l’ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (così Cass. 13 marzo 2018, n. 6014: cfr. pure: Cass. 29 settembre 2017, n. 22880; Cass. 8 giugno 2016, n. 11738; Cass. 30 settembre 2015, n. 19410). In particolare, ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità (Cass. 29 settembre 2017, n. 22880 cit.; Cass. 20 settembre 2006, n. 20405). Nella fattispecie, invece, il mezzo di censura si risolve in stringati rimandi all’atto di appello, i quali non consentono di apprezzare la reale consistenza della doglianza.
2.2. – I restanti tre motivi del ricorso principale investono la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte distrettuale, dopo aver dato atto dell’inammissibilità del gravame, ha spiegato le ragioni per cui, a suo avviso, lo stesso doveva ritenersi pure infondato.
Anch’essi sono inammissibili.
Ove il giudice, dopo avere dichiarato inammissibile una domanda, un capo di essa o un motivo d’impugnazione, in tal modo spogliandosi della potestas judicandi, abbia ugualmente proceduto al loro esame nel merito, le relative argomentazioni devono ritenersi ininfluenti ai fini della decisione e, quindi, prive di effetti giuridici con la conseguenza che la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnarle, essendo invece tenuta a censurare soltanto la dichiarazione d’inammissibilità la quale costituisce la vera ragione della decisione (Cass. Sez. U. 1 febbraio 2021, n. 2155; Cass. 16 giugno 2020, n. 11675; Cass. 19 dicembre 2017, n. 30393).
3. – Il ricorso incidentale risulta essere condizionato, onde lo stesso deve ritenersi assorbito.
4. – Le spese del giudizio seguono la soccombenza.
PQM
LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso principale e assorbito quello incidentale condizionato; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 13 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2021