Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.24059 del 06/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21346/2020 proposto da:

D.D., e Di.Fa., D.I., e G.L.I., rispettivamente quali genitori e nonni materni del minore Di.Hi. elettivamente domiciliati in Roma, Via Luigi Settembrini n. 28, presso lo studio dell’avvocato Morcavallo Francesco, che li rappresenta e difende, giusta procura in calce alla memoria di nomina e costituzione di nuovo difensore;

– ricorrenti –

contro

B.G. quale tutore del Comune di Bologna del minore Di.Hi., elettivamente domiciliato in Roma, Via Flaminia Vecchia n. 691, presso lo studio dell’avvocato Leppo Marco Fabio, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Ciampa Annamaria, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

Procura Generale presso la Corte di Appello di Bologna, Procura Generale presso la Corte di Cassazione;

– intimate –

avverso la sentenza n. 1873/2020 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 01/07/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/06/2021 dal cons. Dott. IOFRIDA GIULIA.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Bologna, con sentenza n. 1873/2020, depositata in data 1/7/2020, – in controversia promossa, su richiesta del PM presso il Tribunale per i minorenni dell’Emilia Romagna, per l’accertamento dello stato di abbandono e conseguente declaratoria di adottabilità della minore Di.Hi., nata a *****, figlia dei coniugi D.D. e Di.Fa., quest’ultimo di nazionalità *****, – ha confermato la decisione di primo grado, del giugno 2019, che aveva dichiarato lo stato di adottabilità della minore, disponendo l’interruzione dei rapporti con la famiglia d’origine ed il collocamento etero-famigliare della stessa a scopo adottivo.

In particolare, i giudici d’appello hanno sostenuto che la causa era sufficientemente istruita, con conseguente non necessità di rinnovo della consulenza tecnica, depositata nel *****, e che, dall’istruttoria espletata in primo grado, erano emersi i disturbi psichici di cui era affetta la madre (dal *****, essendole stato diagnosticato un disturbo delirante sfociato, con sottoposizione a diversi TSO, in schizofrenia paranoide, non potendo essere valorizzata la dichiarazione da parte del medico del ***** in ordine al fatto che la stessa fosse “compensata”, atteso che il suddetto CSM non aveva comunque mai osservato la qualità della relazione tra la minore e la madre né le reciproche relazioni interpersonali tra i quattro famigliari), la quale, oltre ad avere rapporti di fortissima conflittualità con i propri genitori, aveva evidenziato gravi carenze nella interazione e comunicazione affettiva con la figlia; non era fondata la doglianza in ordine a mancati interventi di sostegno della genitorialità, considerato che, dalla documentazione in atti (anche dalla relazione di aggiornamento dei Servizi Sociali disposta nel *****), risultava, invece, che “per quasi due anni consecutivi, dalla nascita della bambina, genitori e nonni sono stati coinvolti in incontri di osservazione c.d. attiva – di tre ore e mezzo ciascuno, comprensivi del pranzo della bambina – con sollecitazioni da parte degli operatori…”, con giudizio conclusivo di inadeguatezza delle capacità genitoriali sia dei genitori che dei nonni materni (la madre, pur essendo medico, non aveva tutelato la figlia durante la gravidanza, non effettuando il normale percorso di controlli, non presentandosi nel giorno programmato per il parto cesareo, cosicché la minore era nata dieci giorni dopo, con parto cesareo, con presentazione di liquido amniotico tinto, a segno di sofferenza fetale, e la stessa D. aveva rifiutato inizialmente ogni contatto con la bambina, apparendo confusa ed incoerente, ed aveva successivamente rifiutato il progetto di sostegno, ai fini di un ingresso in comunità protetta unitamente alla bambina, presentandosi con significativa fragilità personale ed affettiva; il padre, giunto in Italia nel *****, non risultava avere instaurato relazioni sociali, né reperito attività lavorativa, ed era stato ritenuto incapace di comprendere il severo quadro psichiatrico della moglie e privo di capacità di protezione della figlia, che pure era in grado di accudire, a differenza della madre; i nonni materni avevano taciuto in ordine alla conflittualità irrisolta con la propria figlia nelle relazioni famigliari, emersa durante l’osservazione e dalle diverse denunce penali in atti, non erano stati presenti al matrimonio della figlia o vicini durante la gravidanza ed il parto, erano risultati problematici, in particolare la nonna minimizzando e negando la patologia della figlia, e privi di qualunque slancio affettivo verso la nipote), non recuperabile in tempi compatibili con la crescita della minore, giudizio che andava confermato all’attualità, alla luce della relazione di aggiornamento dei Servizi Sociali del novembre ***** e dell’allegata relazione della comunità che accoglie la minore (nella quale si dava atto che la minore ha “rafforzato il legame con gli adulti che si occupano di lei”, in particolare con le figure della famiglia accogliente con la quale essa aveva trascorso soggiorni in località balneare e montana, risultando serena e socievole, con buona comprensione e capacità comunicativa verbale, ben inserita in scuola materna di territorio, cfr. nota 28 della sentenza impugnata).

Avverso la suddetta pronuncia, D.D. e Di.Fa., nonché D.I. e G.L.I., rispettivamente genitori e nonni materni della minore Di.Hi., propongono ricorso per cassazione, notificato il 30/7/2020, affidato a tre motivi, nei confronti di B.G., assessore del Comune di *****, in qualità di tutore provvisorio della minore Di.Hi. (che resiste con controricorso, notificato il 29/9/2020), e del Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Brescia e presso la Corte Suprema di Cassazione.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I ricorrenti lamentano: a) con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 184 del 1983, artt. 1, 2, 4, 5, 8, 12, 15, art. 4 Convenzione Onu, per non avere la Corte di merito considerato, ai fini dell’adottabilità della minore, almeno disponendo un’integrazione della CTU, le mutate condizioni dei genitori della stessa (essendo la malattia della madre pienamente “compensata” dalle cure mediche ed avendo la stessa trovato un’occupazione lavorativa, come pure il padre) e la disponibilità concreta dei nonni materni ad occuparsi della minore; b) con il secondo motivo, la nullità, ex art. 360 c.p.c., n. 4, della sentenza per violazione della L. n. 184 del 1983, art. 5, comma 1, per mancata convocazione ed audizione in appello degli affidatari; c) con il terzo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, della L. n. 184 del 1983, artt. 1, 8,11 e 15 e artt. 1,29 e 30 Cost., nonché della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, per avere la Corte territoriale dichiarato lo stato di adottabilità in mancanza dei presupposti legali ed in assenza di adeguato progetto di sviluppo e supporto della genitorialità.

2. La seconda censura, di rilievo pregiudiziale, è inammissibile.

Con essa i ricorrenti denunciano error in procedendo rappresentato dalla mancata convocazione, in giudizio di appello (non essendovi contestazione sulla convocazione in primo grado), senza motivazione, “dell’affidatario o della famiglia collocataria”.

Per quanto emerge dalla sentenza impugnata, il Tribunale per i minorenni, con la sentenza del 2019, di declaratoria dello stato di adottabilità della minore, ha confermato il collocamento “eterofamigliare in un nucleo famigliare scelto di concerto tra il Servizio sociale ed il Tribunale a scopo adottivo”; tale statuizione è stata poi confermata dalla Corte d’appello e, dalla decisione in questa sede impugnata (pag. 16, nota 28, con richiamo alla relazione, allegata a quella dei Servizi sociali, della “comunità che accoglie la minore”, datata *****), si evince che della minore si occupa una Comunità e che la stessa minore trascorre vari periodi dell’anno con una famiglia accogliente (con la quale ha vissuto “soggiorni in località balneare e montana”).

La L. n. 184 del 1983, art. 5, al comma 1 modificato, per quanto qui interessa, dalla L. n. 173 del 2015, art. 2 recita ora: “L’affidatario o l’eventuale famiglia collocataria devono essere convocati, a pena di nullità, nei procedimenti civili in materia di responsabilità genitoriale, di affidamento e di adottabilità relativi al minore affidato ed hanno facoltà di presentare memorie scritte nell’interesse del minore”; il comma 3 stabilisce poi che “le norme di cui ai commi 1 e 2 si applicano, in quanto compatibili, nel caso di minori ospitati presso una comunità di tipo familiare o che si trovino presso un istituto di assistenza pubblico o privato”.

Nella specie, in appello è stata acquisita, anche ai fini di ancorare la decisione all’attualità, una Relazione aggiornata dei Servizi Sociali del *****, nella quale si è dato atto (nota 28 della sentenza a pag. 16) di quanto riferito dalla comunità che accoglie la minore.

Si tratta non di parti del processo ma di soggetti di cui è obbligatoria l’audizione (Cass. 23574/2017), il che risulta essere avvenuto, anche in appello, attraverso l’acquisizione della relazione dei Servizi sociali, nella quale erano ampiamente descritte le condizioni della piccola, del suo affido e della sua evoluzione.

In riferimento a detta relazione di aggiornamento, risulta rispettato il diritto al contraddittorio (cfr. Cass. 23976/2015: “nel procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità, il principio del contraddittorio trova piena applicazione, pur esplicandosi con modalità diverse; invero, con riferimento alle relazioni degli istituti e operatori specializzati di aggiornamento all’autorità giudiziaria delle condizioni psico-fisiche del minore, allegate agli atti del processo, il contraddittorio consiste nella facoltà di tutte le parti di esaminarle, di estrarne copia e svolgere deduzioni o richieste di approfondimenti, ovvero accertamenti ulteriori…”), avendo le parti, come neppure contestato, potuto prenderne visione.

Inoltre, il tutore della minore ha dato diligentemente atto di ulteriori relazioni di aggiornamento, del *****, in appello, pervenute dai Servizi Sociali.

Ora, la finalità perseguita dalla disposizione in esame, vale a dire, assicurare una decisione di merito basata su di una valutazione complessiva ed attuale, implicante la verifica dello stato dell’affido e dell’evoluzione del percorso di crescita psico-fisico del minore, nell’ottica pubblicistica di garantire la soluzione più rispondente all’interesse del minore stesso e di dare il giusto rilievo all’importante ruolo svolto dagli affidatari nel suo sviluppo psico-fisico, risulta, nella specie, rispettata, considerato, oltretutto, che si verte in ipotesi di collocamento del minore presso una comunità, con conseguente operatività dell’art. 5 citato, comma 3 (ed applicabilità delle disposizioni di cui ai primi due commi “in quanto compatibili”).

La doglianza, mossa dai genitori biologici e dai nonni, in ordine alla mancata formale “convocazione”, in appello, della comunità di accoglienza della minore, avrebbe dovuto, a fronte della non contestata acquisizione, in appello, di una compiuta aggiornata relazione scritta proveniente dalla stessa comunità, essere necessariamente “vestita”, con rappresentazione specifica del vulnus arrecato al processo, e risulta, invece, del tutto generica e quindi inammissibile.

3. Le altre censure, da trattare unitariamente in quanto connesse, sono, in parte, infondate e, in altra parte, inammissibili.

Questa Corte ha costantemente ribadito che il giudice di merito, nell’accertare lo stato di adottabilità di un minore, deve in primo luogo esprimere una prognosi sull’effettiva ed attuale possibilità di recupero, attraverso un percorso di crescita e sviluppo, delle capacità e competenze genitoriali, con riferimento, in primo luogo, alla elaborazione, da parte dei genitori, di un progetto, anche futuro, di assunzione diretta della responsabilità genitoriale, caratterizzata da cura, accudimento, coabitazione con il minore, ancorché con l’aiuto di parenti o di terzi, ed avvalendosi dell’intervento dei servizi territoriali (Cass. n. 14436/2017).

Il diritto del minore di crescere nell’ambito della propria famiglia d’origine, considerata l’ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico, è tutelato dalla L. n. 184 del 1983, art. 1 ragione questa per cui il giudice di merito deve, prioritariamente, tentare un intervento di sostegno diretto a rimuovere situazioni di difficoltà o disagio familiare e, solo quando, a seguito del fallimento del tentativo, risulti impossibile prevedere il recupero delle capacità genitoriali entro tempi compatibili con la necessità del minore di vivere in uno stabile contesto familiare, è legittima la dichiarazione dello stato di adottabilità (Cass. 22589/2017; Cass. 6137/2015).

Ne consegue che, per un verso, compito del servizio sociale incaricato non è solo quello di rilevare le insufficienze in atto del nucleo familiare, ma, soprattutto, di concorrere, con interventi di sostegno, a rimuoverle, ove possibile, e che, per altro verso, ricorre la “situazione di abbandono” sia in caso di rifiuto ostinato a collaborare con i servizi predetti, sia qualora, a prescindere dagli intendimenti dei genitori, la vita da loro offerta al figlio sia inadeguata al suo normale sviluppo psico-fisico, cosicché la rescissione del legame familiare è l’unico strumento che possa evitargli un più grave pregiudizio ed assicurargli assistenza e stabilità affettiva (Cass. 7115/2011).

Il giudizio sulla situazione di abbandono deve fondarsi su una valutazione quanto più possibile legata all’attualità, considerato il versante prognostico. Il parametro, che ci perviene anche dai principi elaborati dalla Corte di Strasburgo (cfr. in particolare la sentenza del 13/10/2015 – caso S.H. contro Italia), è divenuto un principio fermo anche nella giurisprudenza di legittimità, come può rilevarsi dalla pronuncia n. 24445 del 2015: “In tema di adozione del minore, il giudice, nella valutazione della situazione di abbandono, quale presupposto per la dichiarazione dello stato di adottabilità, deve fondare il suo convincimento effettuando un riscontro attuale e concreto, basato su indagini ed approfondimenti riferiti alla situazione presente e non passata, tenendo conto della positiva volontà di recupero del rapporto genitoriale da parte dei genitori”.

Solo un’indagine sulla persistenza e non solo sulla preesistenza della situazione di abbandono, svolta sulla base di un giudizio attuale, in particolare quando vi siano indizi di modificazioni significative di comportamenti e di assunzione d’impegni e responsabilità da parte dei genitori biologici, può condurre ad una corretta valutazione del parametro contenuto nella L. n. 184 del 1983, art. 8 dovendosi tenere conto del diritto del minore a vivere nella propria famiglia di origine, così come indicato nella L. n. 184 del 1983, art. 1 (Cass. 22934/2017).

In particolare, la norma, anche alla luce della progressiva elaborazione compiuta dalla giurisprudenza di legittimità e dai principi introdotti dalla Corte Europea dei diritti umani, fissa rigorosamente il perimetro all’interno del quale deve essere verificata la sussistenza della condizione di abbandono. Si deve trattare di una situazione non derivante esclusivamente da condizioni di emarginazione socio economica (disponendo l’art. 1 che siano intraprese iniziative di sostegno nel tempo della famiglia di origine), fondata su un giudizio d’impossibilità morale o materiale caratterizzato da stabilità ed immodificabilità, quanto meno in un tempo compatibile con le esigenze di sviluppo psicofisico armonico ed adeguato del minore, non dovuta a forza maggiore o a un evento originario derivante da cause non imputabili ai genitori biologici (cfr. sentenza Cedu Akinnibuson contro Italia sentenza del 16/7/2015), non determinata soltanto da comportamenti patologici ma dalla verifica del concreto pregiudizio per il minore (Cass. 7193 del 2016).

Da ultimo, questa Corte ha chiarito che “in tema di adozione di minori d’età, sussiste la situazione d’abbandono, non solo nei casi di rifiuto intenzionale dell’adempimento dei doveri genitoriali, ma anche qualora la situazione familiare sia tale da compromettere in modo grave e irreversibile un armonico sviluppo psico-fisico del bambino, considerato in concreto, ossia in relazione al suo vissuto, alle sue caratteristiche fisiche e psicologiche, alla sua età, al suo grado di sviluppo e alle sue potenzialità; ne consegue l’irrilevanza della mera espressione di volontà dei genitori di accudire il minore in assenza di concreti riscontri” (Cass.4097/2018; conf. Cass. 26624/2018, in ordine alla irrilevanza della disponibilità, meramente dichiarata, a prendersi cura dei figli minori, che non si concretizzi in atti o comportamenti giudizialmente controllabili, tali da escludere la possibilità di un successivo abbandono).

In tema di accertamento dello stato di adottabilità, posto che il ricorso alla dichiarazione di adottabilità costituisce solo una “soluzione estrema”, il giudice di merito deve dunque operare un giudizio prognostico teso, in primo luogo, a verificare l’effettiva ed attuale possibilità di recupero delle capacità e competenze genitoriali, con riferimento sia alle condizioni di lavoro, reddituali ed abitative, senza però che esse assumano valenza discriminatoria, sia a quelle psichiche, da valutarsi, se del caso, mediante specifica indagine peritale, estendendo detta verifica anche al nucleo familiare, di cui occorre accertare la concreta possibilità di supportare i genitori e di sviluppare rapporti con il minore, avvalendosi dell’intervento dei servizi territoriali (Cass.7559/2018).

Ora, la Corte d’Appello ha esaminato la capacità genitoriale dei genitori ed ha formulato un giudizio negativo sulla capacità degli stessi di recupero in tempi congrui del rapporto genitoriale, sulla base di una serie di elementi comportamentali emersi da una complessa istruttoria (essenzialmente sulla base di relazioni di tutti gli operatori dei Servizi Sociali incaricati, atteso che “per quasi due anni consecutivi, dalla nascita della bambina, genitori e nonni sono stati coinvolti in incontri di osservazione c.d. attiva – di tre ore e mezzo ciascuno, comprensivi del pranzo della bambina – con sollecitazioni da parte degli operatori…”).

Non rileva la semplice volontà della madre di prendersi cura della figlia, in assenza di adeguati riscontri. Quanto alla dichiarazione del medico del *****, in ordine al fatto che la D. risulterebbe, nell’attualità, in riferimento al disturbo psichico, “compensata”, sulla quale i ricorrenti insistono in questa sede, la Corte territoriale ha esaminato tale documento ed ha rilevato che la stessa relazione non poteva essere “valorizzata come cambiamento significativo del suo essere priva di affettività verso la figlia”, per mancata osservazione da parte del ***** delle dinamiche tra madre e figlia ed interpersonali tra i quattro famigliari.

Questa Corte ha di recente affermato (Cass. 4097/2018) che “in tema di adozione di minori d’età, sussiste la situazione d’abbandono, non solo nei casi di rifiuto intenzionale dell’adempimento dei doveri genitoriali, ma anche qualora la situazione familiare sia tale da compromettere in modo grave e irreversibile un armonico sviluppo psico-fisico del bambino, considerato in concreto, ossia in relazione al suo vissuto, alle sue caratteristiche fisiche e psicologiche, alla sua età, al suo grado di sviluppo e alle sue potenzialità; ne consegue l’irrilevanza della mera espressione di volontà dei genitori di accudire il minore in assenza di concreti riscontri” (nella specie, questa Corte, confermando la sentenza di appello, ha ritenuto la persistenza di una situazione di abbandono, a fronte di un impegno solo enunciato dai genitori di rimuovere le problematiche esistenziali e di mutare lo stile di vita).

La Corte di merito ha anche esaminato le figure del padre (confermando un giudizio complessivo di inidoneità genitoriale, per assenza di autonomia di giudizio, rispetto al quadro psichiatrico della moglie ed alle figure dei suoceri, e di capacità di protezione della figlia) e dei nonni materni (per i quali si è evidenziata la non risolta conflittualità con la figlia, sfociata in passato in denunce della figlia nei confronti del padre, e la mancata instaurazione di qualunque serio legame affettivo con la nipote).

La sentenza di appello ha quindi sviluppato adeguate e convincenti argomentazioni sull’inidoneità dei genitori, sull’impossibilità del recupero in tempi ragionevoli della situazione, spiegando dunque per quale ragione l’adozione, nella specie, costituirebbe l’unico strumento utile ad evitare alla minore un più grave pregiudizio ed ad assicurare loro assistenza e stabilità affettiva; risulta dunque effettuato un corretto giudizio prognostico volto a verificare l’effettiva ed attuale possibilità di recupero delle capacità e competenze genitoriali, con riferimento sia alle condizioni di lavoro, reddituali ed abitative, sia a quelle psichiche. Ne’ diversa e migliore valutazione, in punto di idoneità a prendersi effettivamente cura, morale e materiale, dei nipoti, ha riguardato la figura dei nonni materni.

Nel ricorso, si prospetta, altresì, una inammissibile diversa valutazione del materiale probatorio, riservata al giudice di merito, in difetto di violazioni di legge o di vizi motivazionali, neppure prospettati, ex art. 360 c.p.c., n. 5.

4. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.

Ricorrono giusti motivi, considerate tutte le peculiarità della concreta vicenda, per compensare integralmente tra tutte le parti le spese processuali.

Essendo il procedimento esente, non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte respinge il ricorso. Dichiara le spese del presente giudizio di legittimità integralmente compensate tra le parti.

Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52 siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, il 14 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2021

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