LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –
Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 25576-2015 proposto da:
ASSISTENZA MALATI BOLOGNA S.r.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PADOVA 43, presso lo studio dell’avvocato STEFANO DI MAURO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO ALVISI;
– ricorrente –
contro
I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA N. 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, EMANUELE DE ROSE, GIUSEPPE MATANO, LELIO MARITATO, ESTER ADA SCIPLINO;
– resistenti con mandato –
avverso la sentenza n. 166/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 28/04/2015 R.G.N. 777/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/04/2021 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;
il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA MARIO, visto il D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’Appello di Bologna, con sentenza pubblicata il 28 aprile 2015, “in accoglimento dell’appello proposto dall’INPS e in riforma sul punto della sentenza di primo grado” ha rigettato “la domanda della AMB Srl volta alla declaratoria di insussistenza dell’obbligo contributivo derivante dalla qualificazione come subordinato del rapporto di lavoro di 13 collaboratori a progetto”, respingendo così l’opposizione all’iscrizione a ruolo ed alla cartella di pagamento.
2. Preliminarmente la Corte ha disatteso l’eccezione, formulata dalla società, di inammissibilità dell’appello dell’INPS per tardività, argomentando che “la notifica della sentenza di primo grado effettuata su istanza della controparte non ha determinato il decorso del termine breve di trenta giorni perché non eseguita nei confronti del procuratore costituito in giudizio”.
3. Nel merito – per quanto qui ancora interessa – ha ritenuto “l’inidoneità del progetto ad integrare i requisiti necessari ai fini del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61”, con le conseguenze previste dall’art. 69, comma 1 stesso D.Lgs. (nel testo in vigore prima della L. n. 92 del 2012) rappresentate dall’essere i rapporti litigiosi “considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto”.
4. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso l’Assistenza Malati Bologna Srl con 3 motivi, illustrati anche da memoria, con allegata nota spese; non ha svolto attività difensiva l’INPS che ha depositato solo una procura.
5. All’esito dell’adunanza camerale del 15 settembre 2020, il Collegio ha ritenuto che il primo motivo di ricorso ponesse una questione rimessa alle Sezioni unite in seguito ad ordinanza interlocutoria n. 31868 del 2019, per cui ha rinviato la causa a nuovo ruolo; in prossimità dell’udienza pubblica del 20 aprile 2021 il P.G. ha comunicato, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 bis, inserito nella L. di conv. n. 176 del 2003, le sue conclusioni di rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 170,285,326 nonché art. 324 c.p.c., art. 2909 c.c. e art. 124 disp. att. c.p.c., criticando la sentenza impugnata per aver ritenuto non decorso il termine breve di 30 giorni per l’impugnazione in appello da parte dell’INPS in seguito alla notificazione della sentenza di primo grado effettuata “all’INPS in persona del legale rappresentante con sede in ***** con consegna a mani della dipendente C.G. in data 2.9.2010”, luogo dove il procuratore dell’INPS nel giudizio di primo grado (Avv. Stefano Savella) aveva eletto domicilio.
Si richiama a sostegno Cass. n. 18640 del 2011 e la circostanza che la cancelleria del Tribunale di Bologna avesse rilasciato, a mente dell’art. 124 disp. att. c.p.c., il “certificato di passaggio in giudicato della sentenza”; in conclusione si sostiene la tesi secondo cui, “poiché la sede legale dell’ente coincide con il domicilio del difensore qualsiasi notifica all’INPS di fatto è equivalente a quella richiesta presso il difensore costituito”.
2. Il motivo è infondato.
Con ordinanza interlocutoria n. 31868 del 2019, la terza sezione di questa Corte ha segnalato l’esistenza – sulla questione posta dalla censura – di un contrasto di giurisprudenza.
Secondo un primo orientamento, definito numericamente prevalente, quando un ente sia rappresentato in giudizio da un avvocato facente parte dell’avvocatura interna, presso la cui sede sia anche stato eletto il domicilio, la notifica ivi compiuta senza l’indicazione del procuratore domiciliatario è inidonea a far decorrere il termine breve di cui all’art. 325 c.p.c., attesa la complessità dell’organizzazione dell’ente destinatario della notifica in ragione delle sue dimensioni e delle prassi locali, sicché la sola identità di domiciliazione non assicura che la sentenza giunga a conoscenza della parte tramite il suo rappresentante processuale (così, testualmente, Cass. n. 14054 del 2016; nello stesso senso, Cass. n. 9298 del 2007; Cass. n. 9431 del 2012; Cass. n. 25205 del 2013; Cass. n. 4698 del 2014; Cass. n. 9843 del 2014; Cass. n. 18356 del 2016).
Secondo altro orientamento, propugnato da Cass. n. 18640 del 2011 espressamente citata da parte ricorrente a sostegno del motivo, dopo avere evidenziato che la notifica della sentenza al procuratore sortisce il medesimo effetto della notifica alla parte presso il procuratore, si è ravvisata, allorquando una pubblica amministrazione disponga di un servizio di avvocatura interna e questa abbia la stessa sede dell’ente e l’ente elegga domicilio presso di essa, l’insorgenza di “una presunzione assoluta di irredimibile collegamento tra la parte, il suo procuratore costituito e il domicilio di quest’ultimo”, tale da creare una “assoluta identità, logistica e funzionale, del domicilio (del rappresentante dell’ente) e del domicilio eletto presso il suo difensore e procuratore costituito”; pure precisando che, in tale ipotesi, la notificazione della sentenza nel luogo che e’, nello stesso tempo, sede dell’ente, sede dell’avvocatura e domicilio eletto, produce gli effetti di cui all’art. 325 c.p.c. quand’anche in essa non sia indicato il nome dell’avvocato che ha rappresentato l’ente in giudizio, quando esso risulti comunque dall’epigrafe della sentenza notificata.
Rimessa la questione alle Sezioni unite, il Supremo Collegio ha risolto il contrasto aderendo al primo orientamento ed affermando il seguente principio di diritto: “a garanzia del diritto di difesa della parte destinataria della notifica in ragione della competenza tecnica del destinatario nella valutazione dell’opportunità della condotta processuale più conveniente da porre in essere ed in relazione agli effetti decadenziali derivanti dall’inosservanza del termine breve di impugnazione, la notifica della sentenza finalizzata alla decorrenza di quest’ultimo, ove la legge non ne fissi la decorrenza diversamente o solo dalla comunicazione a cura della cancelleria, deve essere in modo univoco rivolta a tale fine acceleratorio e percepibile come tale dal destinatario, sicché essa va eseguita nei confronti del procuratore della parte o della parte presso il suo procuratore, nel domicilio eletto o nella residenza dichiarata; di conseguenza, la notifica alla parte, senza espressa rnenzione – nella relata di notificazione del suo procuratore quale destinatario anche solo presso il quale quella è eseguita, non è idonea a far decorrere il termine breve di impugnazione, neppure se eseguita in luogo che sia al contempo sede di una pubblica amministrazione, sede della sua avvocatura interna e domicilio eletto per il giudizio, non potendo surrogarsi l’omessa indicazione della direzione della notifica al difensore con la circostanza che il suo nominativo risulti dall’epigrafe della sentenza notificata, per il carattere neutro o non significativo di tale sola circostanza” (Cass. SS.UU. n. 20866 del 2020).
Pertanto la Corte bolognese ha del tutto correttamente disatteso l’eccezione, formulata da AMB Srl, di inammissibilità dell’appello dell’INPS per tardività, poiché “la notifica della sentenza di primo grado effettuata su istanza della controparte non ha determinato il decorso del termine breve di trenta giorni perché non eseguita nei confronti del procuratore costituito in giudizio”.
3. Dal rigetto del primo motivo, che sancisce la tempestività dell’impugnazione in appello dell’INPS, discende coerente che non può essere accolto neanche il secondo motivo, con cui si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, ossia il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado”, come certificato dalla cancelleria del Tribunale a mente dell’art. 124 disp. att. c.p.c.
Esso è peraltro radicalmente inammissibile perché il parametro evocato con l’art. 360 c.p.c., n. 5 riguarda i fatti storici che hanno dato luogo alla controversia e non certo i fatti processuali che invece possono sostenere una censura ex art. 360 c.p.c., n. 4 quale error in procedendo, che deve però essere denunciato nelle forme proprie della nullità idonea a cagionare la nullità della sentenza o del procedimento.
4. Il terzo motivo denuncia “in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 violazione o falsa applicazione di norme di diritto ed in particolare degli artt. 2094,2222 c.c., D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 61 – 69 bis salvo altre disposizioni, nonché dell’art. 116 c.p.c., per aver omesso l’esame delle prove orali espletate nel primo grado di giudizio e dei documenti prodotti”; si critica la sentenza impugnata per aver negato “l’esistenza, nella fattispecie, degli elementi richiesti per la configurabilità del contratto a progetto”.
5. La censura, per come formulata, è in parte inammissibile, perché pretende in questa sede di legittimità un riesame di merito, ed in parte infondata.
Infatti, in tema di rapporti D.Lgs. n. 276 del 2003, ex artt. 61 e ss. l’assenza del progetto di cui all’art. 69, comma 1 medesimo decreto, che ne rappresenta un elemento costitutivo, ricorre sia quando manchi la prova della pattuizione di alcun progetto, sia allorché il progetto, effettivamente pattuito, risulti privo delle sue caratteristiche essenziali, quali la specificità e l’autonomia (Cass. n. 8142 del 2017).
E’ stato così ha affermato il principio: “In tema di lavoro a progetto, il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1, (ratione temporis applicabile, nella versione antecedente le modifiche di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 23, lett. f)), si interpreta nel senso che, quando un rapporto di collaborazioné coordinata e continuativa sia instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, non si fa luogo ad accertamenti volti a verificare se il rapporto si sia esplicato secondo i canoni dell’autonomia o della subordinazione, ma ad automatica conversione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione dello stesso” (Cass. n. 17127 del 2016; Cass. n. 12820 del 2016; Cass. n. 17707 del 2020).
Si è successivamente chiarito che il regime sanzionatorio previsto dal D.Lgs. n. 276 del 2016, art. 69, comma 1, (nel testo ratione temporis applicabile, anteriore alle modifiche apportate dalla L. n. 92 del 2012) “in caso di assenza di specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso determinante l’automatica conversione a tempo indeterminato, con applicazione delle garanzie del lavoro dipendente e senza necessità di accertamenti giudiziali sulla natura del rapporto – non contrasta con il principio di “indisponibilità del tipo”, posto a tutela del lavoro subordinato e non invocabile nel caso inverso, né con l’art. 41 Cost., comma 1, in quanto trae origine da una condotta datoriale violativa di prescrizioni di legge ed è coerente con la finalità antielusiva perseguita dal legislatore” (Cass. n. 9471 del 2019).
Quanto poi alla specificità di cui alla definizione legale del contratto a progetto, fornita dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61 (abrogato poi dal D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 52), va richiamata un’articolata pronuncia di questa Corte (Cass. n. 5418 del 2019), qui condivisa.
La norma citata prevede, per la configurazione della fattispecie, oltre alla presenza di tutti i caratteri della già nota figura delle collaborazioni continuative e coordinate, anche la riconducibilità dell’attività “a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa”; la disposizione in esame non richiede che il progetto specifico debba inerire ad una attività eccezionale, originale o del tutto diversa rispetto alla ordinaria e complessiva attività di impresa, tuttavia è necessaria la riconducibilità dell’attività “a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa”; il risultato diventa così un fattore chiave che giustifica l’autonomia gestionale del progetto o del programma di lavoro, sia nei tempi sia nelle modalità di realizzazione, e ciò perché l’interesse del creditore è relativo al perfezionamento del risultato convenuto che, pur non necessariamente identificandosi in uno specifico opus, deve in ogni caso assumere una sua precisa connotazione, differenziandosi dalla mera disponibilità, da parte del committente, di una prestazione di lavoro eterodiretta, tipica del rapporto di lavoro subordinato; conseguentemente, al committente viene richiesto di esplicitare ex ante, in forma scritta, l’obiettivo che il contratto si prefigge di raggiungere ed il risultato della prestazione richiesta al collaboratore, che deve essere necessariamente rivolta a quell’obiettivo; non viene, invece, richiesto che il progetto abbia ad oggetto un’attività altamente specialistica o di particolare contenuto professionale, e tanto meno che sia unica e irripetibile; in questa chiave interpretativa, il requisito della specificità deve riguardare tanto il progetto quanto il programma (o la fase di lavoro), non ravvisandosi differenze concettuali tra i due termini; e la riprova che per il legislatore programma e progetto siano sostanzialmente sinonimi si rinviene nel successivo art. 62, che nel disciplinare la forma ed il contenuto del contratto dispone alla lett. b) che il contratto debba contenere la “indicazione del progetto o programma di lavoro, o fase di esso, individuata nel suo contenuto caratterizzante, che viene dedotto in contratto”, così ponendo sullo stesso piano, indifferentemente, programmi e progetti i quali devono essere entrambi caratterizzati dalla esatta individuazione della prestazione richiesta al lavoratore e dalla relativa indicazione nell’atto scritto; la “specificità del progetto, programma o fase” diviene dunque l’elemento caratterizzante un legittimo rapporto di lavoro a progetto.
Pertanto, la sentenza della Corte territoriale che, con congrua valutazione che involge anche apprezzamenti di merito, ha ritenuto inadeguata la specificazione del progetto nei contratti sottoposti al suo vaglio, in quanto solamente coincidente con l’oggetto sociale della AMB Srl, non merita le censure che le sono mosse.
6. Conclusivamente il ricorso va respinto; nulla per le spese in difetto di attività difensiva dell’INPS.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente società, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);
PQM
La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del la ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 20 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2021
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