LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31534/2018 R.G. proposto da:
G.P., in qualità di titolare dell’omonima impresa individuale, rappresentato e difeso dagli Avv. Alessandro Malipiero e Valeria Pugliese, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
– ricorrente –
contro
BANCO BPM S.P.A., in persona del procuratore F.E., rappresentato e difeso dall’Avv. Prof. Achille Saletti, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Brescia n. 1274/18, depositata il 18 luglio 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 31 marzo 2021 dal Consigliere Guido Mercolino.
Rilevato che G.P., in qualità di titolare dell’omonima impresa individuale, convenne in giudizio la Banca Popolare Soc. coop., in qualità di avente causa della Banca Popolare di Verona – San Geminiano e San Prospero S.p.a., esponendo di essere stato intestatario di un conto corrente e di un conto anticipi presso quest’ultima, poi confluiti in un unico conto, e chiedendo l’accertamento del carattere usurario dei tassi di interesse applicati dalla Banca e la dichiarazione di nullità delle relative pattuizioni e di quelle che prevedevano la capitalizzazione trimestrale degli interessi e la liquidazione delle spese, con la condanna della convenuta alla restituzione della somma illegittimamente corrisposta al predetto titolo;
che con ordinanza del 23 maggio 2016 il Tribunale di Mantova dichiarò inammissibile la domanda di restituzione, rilevando che il conto risultava ancora aperto, escluse l’applicabilità della L. 7 marzo 1996, n. 108, in quanto entrata in vigore successivamente all’apertura dei conti, dichiarò nulla la clausola che prevedeva la capitalizzazione trimestrale ed accertò che alla data del 30 settembre 2013 il conto presentava un saldo attivo di Euro 15.369,34;
che il gravame interposto dal G. è stato rigettato dalla Corte d’appello di Brescia, che con sentenza del 18 luglio 2018 ha ritenuto insussistente il vizio di ultrapetizione, relativamente alla pronuncia sulla domanda di accertamento del carattere usurario dei tassi di interesse, escludendo che l’attore vi avesse rinunciato, ed evidenziando comunque la rilevabilità d’ufficio della nullità;
che avverso la predetta sentenza il G. ha proposto ricorso per cassazione, per due motivi;
che ha resistito con controricorso il Banco BPM S.p.a., in qualità di avente causa della Banca Popolare.
Considerato che con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 99,100,112 e 189 c.p.c., ribadendo che la domanda di accertamento del carattere usurario dei tassi d’interesse doveva intendersi rinunciata, non essendo stata riproposta all’udienza di precisazione delle conclusioni ed avendo essa ricorrente manifestato inequivocabilmente la volontà di non insistervi, mediante la mancata riproposizione della stessa in un foglio di precisazione delle conclusioni depositato nel corso del giudizio e la mancata contestazione dell’ordinanza di ammissione della c.t.u., che non prevedeva il relativo quesito;
che il motivo è infondato;
che, nell’escludere l’intervenuta rinuncia alla domanda di accertamento del carattere usurario dei tassi d’interesse, la sentenza impugnata si è attenuta al medesimo orientamento giurisprudenziale invocato dal ricorrente, secondo cui, affinché una domanda possa considerarsi presuntivamente abbandonata dalla parte, non è sufficiente la sua mancata riproposizione in sede di precisazione delle conclusioni, ma deve accertarsi anche se dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte o dalla stretta connessione della domanda non riproposta con quelle esplicitamente reiterate non emerga una volontà inequivoca di insistere sulla domanda pretermessa (cfr. Cass., Sez. I, 3/12/2019, n. 31571; 10/07/2014, n. 15860; Cass., Sez. III, 3/02/ 2012, n. 1603);
che a fondamento della predetta statuizione la Corte territoriale ha infatti dato condivisibilmente atto della mancata formalizzazione di un’espressa rinuncia non solo nel foglio di conclusioni depositato il *****, ma anche nell’udienza tenutasi il giorno successivo ed in quella in cui aveva avuto luogo il conferimento dell’incarico al c.t.u., aggiungendo che una manifestazione di volontà in tal senso sarebbe stata impedita, nel prosieguo del giudizio, dalla mancata autorizzazione del deposito di memorie conclusionali, al momento dell’assegnazione della causa in decisione;
che la volontà di abbandonare la predetta domanda non può essere desunta inequivocabilmente neppure dalla mancata contestazione dell’ordinanza di ammissione della c.t.u., che aveva limitato l’oggetto delle indagini al ricalcolo del saldo del conto, con esclusione della capitalizzazione trimestrale degli interessi, rilevando la mancata produzione dei decreti ministeriali di cui alla L. n. 108 del 1996, art. 2, e la genericità delle modalità di calcolo adottate dal c.t. dell’attore;
che è pur vero, infatti, che tale affermazione, lasciando presagire il rigetto della pretesa in questione, avrebbe potuto indurre l’attore ad evitare di insistervi, per riservarsi di riproporla separatamente, con il corredo della documentazione che aveva omesso di produrre nel presente giudizio;
che a diverse conclusioni l’attore sarebbe potuto tuttavia pervenire in virtù della stretta connessione della medesima pretesa con quella di rideterminazione del saldo del conto e di restituzione degl’importi illegittimamente addebitati, cui era funzionale anche la domanda di accertamento della nullità della clausola che prevedeva la capitalizzazione trimestrale degli interessi, e dalla conseguente preoccupazione che la pronuncia in ordine a tali domande potesse comportare la formazione di un giudicato preclusivo di qualsiasi ulteriore pretesa relativa al rapporto di conto corrente;
che con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1418 e 1421 c.c., sostenendo che, nell’evidenziare la rilevabilità d’ufficio della nullità, la sentenza impugnata non ha tenuto conto della varietà delle sanzioni previste dall’ordinamento civilistico per l’ipotesi di contrarietà del contratto ad una norma penale e del carattere relativo della nullità, la cui dichiarazione è rimessa all’iniziativa del contraente a protezione del quale è prevista;
che il motivo è inammissibile;
che, nel porre in risalto il dovere del Tribunale di esaminare la questione riguardante la nullità delle clausole contrattuali che prevedevano tassi d’interesse usurari, in quanto rilevabile d’ufficio, la Corte territoriale ha precisato di avervi accennato “per mera completezza”, avendo precedentemente escluso la possibilità di ritenere abbandonata la relativa domanda, in quanto non riproposta in sede di precisazione delle conclusioni;
che, in quanto svolta ad abundantiam, la predetta affermazione deve ritenersi estranea alla ratio della sentenza impugnata, e quindi non censurabile in questa sede, non avendo spiegato alcuna incidenza sulla decisione adottata, e risultando pertanto priva di effetti giuridici, con la conseguenza che il ricorrente non aveva l’onere né l’interesse ad impugnarla (cfr. Cass., Sez. I, 10/04/2018, n. 8755; Cass., Sez. lav., 22/10/2014, n. 22380; 22/ 11/2010, n. 23635);
che il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
PQM
rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 31 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2021
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