Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.24106 del 07/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 32082/19 proposto da:

-) S.Y., elettivamente domiciliato a Monza, p.za Giuseppe Garibaldi n. 6, pressa l’avvocato Ettore Fausto Pucillo, che lo difende in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

-) Ministero dell’Interno;

– resistente –

avverso il decreto del Tribunale di Milano 10.9.2019 n. 7204;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17 marzo 2021 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

RILEVATO

Che:

1. S.Y., cittadino *****, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).

A fondamento della domanda dedusse di avere lasciato il proprio Paese dopo essere stato costretto ad arruolarsi forzosamente nelle milizie del partito “***** – *****”.

La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

2. Avverso tale provvedimento S.Y. propose, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, ricorso dinanzi alla sezione specializzata, di cui al D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 1, comma 1, del Tribunale di Milano, che la rigettò con decreto 10 settembre 2019.

Il Tribunale ritenne che:

-) lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b) non potessero essere concessi perché il racconto del richiedente era inattendibile;

-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c) non potesse essere concessa, perché nel Paese di provenienza del richiedente non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;

-) la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5 non potesse essere concessa in quanto il richiedente non aveva allegato né dimostrato l’esistenza di specifiche circostanze idonee a qualificarlo come “persona vulnerabile”.

3. Tale decreto è stato impugnato per cassazione da S.Y. con ricorso fondato su quattro motivi.

Il Ministero dell’interno non ha notificato controricorso, ma solo depositato un “atto di costituzione”, al fine di partecipare all’eventuale discussione in pubblica udienza.

CONSIDERATO

Che:

1. Prima di esaminare il ricorso nel merito, ne va rilevata la tempestività.

Il ricorrente ha dichiarato che il decreto impugnato gli è stato comunicato dalla cancelleria il 10 settembre 2019 (data rispetto alla quale il ricorso sarebbe tardivo), ma dalla copia della comunicazione di cancelleria risulta che questa è avvenuta l’11 settembre 2019, e non il 10 settembre.

Deve dunque ritenersi un mero lapsus calami l’indicazione, a pagina 1 del ricorso, secondo cui il decreto impugnato sarebbe stato comunicato “in pari data” rispetto al deposito (avvenuto, per l’appunto, il 10 settembre).

2. Col primo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, comma 11.

Deduce che il tribunale, pur avendo fissato l’udienza di comparizione delle parti, non ha proceduto all’audizione dell’interessato, il quale in tal modo non ha potuto fornire “ulteriori prove proprio difesa”.

2.1. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1.

Questa Corte infatti ha ripetutamente affermato che “nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda (sufficientemente distinti da quelli allegati nella fase amministrativa, circostanziati e rilevanti); b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) il richiedente faccia istanza di audizione nel ricorso, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire chiarimenti e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile” (Sez. 1 -, Sentenza n. 21584 del 07/10/2020, Rv. 658982 – 01).

E nel caso di specie, in violazione dei suddetti oneri, il ricorso non contiene alcuna delle indicazioni appena elencate.

3. Col secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2 e 3.

Deduce che il tribunale avrebbe assolto in modo superficiale il dovere di cooperazione istruttoria, e comunque si è avvalso di “fonti normative” (sic) non aggiornate.

3.1. Con riferimento alla domanda di asilo e di protezione sussidiaria per le ipotesi di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b) il motivo è infondato, dal momento che la ritenuta inattendibilità del richiedente asilo esonerava il giudice di merito da qualsiasi obbligo di approfondimento istruttorio officioso.

3.2. Con riferimento alla domanda di protezione sussidiaria per l’ipotesi di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), il motivo è inammissibile, alla luce del principio ripetutamente affermato da questa corte secondo cui chi intenda denunciare, in sede di legittimità, la violazione da parte del giudice di merito dell’obbligo di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, per consentire di valutare la decisività della censura ha sempre l’onere di allegare che esistono COI aggiornate ed attendibili dimostrative dell’esistenza, nella regione di sua provenienza, di una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato; di indicarle; di riassumerne o trascriverne il contenuto, nei limiti strettamente necessari al fine di evidenziare che, se il giudice di merito ne avesse tenuto conto, l’esito della lite sarebbe stato diverso.

In mancanza di questa allegazione il motivo va dichiarato inammissibile per difetto di rilevanza (rectius, per difettosa esposizione del requisito della decisività), dal momento che sarebbe impossibile stabilire se, in caso di regressione del processo alla fase di merito, esista l’astratta possibilità di un differente esito del giudizio.

3. Col terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3 e 5.

Sostiene che il tribunale avrebbe valutato inattendibile il richiedente senza attenersi ai parametri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.

3.1. Il motivo è manifestamente infondato. Il tribunale ha ampiamente indicato le ragioni per le quali ha ritenuto non attendibile il racconto del richiedente; perfettamente coerenti con le indicazioni del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3. Quanto alle COI il tribunale (Ndr: testo originale non comprensibile), ma il motivo non ne individua altri che si sarebbero dovuti considerare in quanto più aggiornati. Il motivo in (Ndr: testo originale non comprensibile), risulta del tutto (Ndr: testo originale non comprensibile).

4. Col quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione DEL D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, nonché l’omesso esame di un fatto decisivo. Nella illustrazione del motivo espone una tesi giuridica così riassumibile:

-) l’odierno ricorrente ha studiato la lingua italiana e seguito corsi professionali;

-) “il passaggio successivo sarà quello di condurre in locazione un appartamento”;

-) “pertanto non si può assimilare il ricorrente ad un generico richiedente asilo, per il semplice fatto che momentaneamente vive ancora all’interno delle strutture di accoglienza”.

Dopo aver esposto questi fatti, il ricorrente conclude affermando che nel rigettare la sua domanda di concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari il tribunale avrebbe inadeguatamente comparato “gli interessi del ricorrente in Italia e di eventuali rischi in cui incorrerebbe rientrando in patria”.

4.1. Il motivo è manifestamente infondato.

In primo luogo, esso prescinde del tutto dall’ampia motivazione del provvedimento impugnato.

In secondo luogo, non è dato comprendere quale vincolo di dipendenza giuridica il ricorrente intenda stabilire tra il fatto di avere imparato la lingua italiana e il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

In terzo luogo, ed in ogni caso, né l’apprendimento della lingua italiana, né lo svolgimento in Italia di un corso professionale possono giustificare, di per sé e da soli, il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, il quale presuppone per contro una condizione di vulnerabilità che non può ravvisarsi nella mera regressione ad una situazione economica più sfavorevole.

5. Non occorre provvedere sulle spese del presente giudizio, non essendovi stata difesa delle parti intimate.

PQM

la Corte di cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 17 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2021

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