Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.24107 del 07/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 30121/19 proposto da:

-) J.J.O., elettivamente domiciliato a Milano, via Fontana n. 3, presso l’avvocato Giuseppina Marciano, che lo difende in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

-) Ministero dell’Interno;

– resistente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano 6.9.2019 n. 3670;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17 marzo 2021 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

RILEVATO

Che:

1. J.J.O., cittadino *****, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento dell’istanza dedusse di avere lasciato il proprio Paese per timore di essere ucciso dai familiari di una donna deceduta in seguito ad un sinistro stradale da lui provocato.

3. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento J.J.O. propose, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Milano, che la rigettò con ordinanza 31.12.2018.

Tale ordinanza, appellata dal soccombente unicamente con riferimento al rigetto della domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, è stata confermata dalla Corte d’appello di Milano con sentenza 6.9.2019.

Quest’ultima ritenne che la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5 non potesse essere concessa in quanto il richiedente nell’atto d’appello “ha fatto riferimento in modo estremamente generico alla situazione in cui versa il paese di origine, senza tuttavia prospettare alcun elemento relativo ad asserite esigenze umanitarie direttamente correlabili alla persona dell’appellante”.

La sentenza prosegue affermando che l’atto d’appello si limitava ad operare un confronto fra le condizioni di vita della ***** e quelle dell’Italia, confronto i cui esiti, di per sé, non potevano giustificare la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

4. Il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da J.J.O. con ricorso fondato su un motivo.

Il Ministero dell’interno non ha notificato controricorso, ma solo depositato un “atto di costituzione”, al fine di partecipare all’eventuale discussione in pubblica udienza.

CONSIDERATO

Che:

1. Con l’unico motivo il ricorrente prospetta, formalmente richiamando il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, la “carenza di motivazione in relazione al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c)”.

Nella illustrazione del motivo il ricorrente deduce che la sentenza impugnata sarebbe basata su “affermazioni generiche che non tengono conto della reale ed effettiva ed attuale situazione politica, sociale ed economica del paese di provenienza del ricorrente, fondate su clausole di stile utilizzabili per una molteplicità in determinati casi”.

Deduce che il giudice investito di una domanda di concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari ha l’obbligo di indagare ex officio su “tutti i fatti pertinenti che riguardano il paese di origine” del richiedente, ed acquisire informazioni aggiornate su esso.

La Corte d’appello, invece, ad avviso del ricorrente avrebbe violato il suddetto dovere.

1.1. Il motivo è inammissibile, e lo è per plurime ed indipendenti ragioni. In primo luogo, il ricorso è inammissibile a causa della assoluta carenza del requisito dell’esposizione del fatto, requisito richiesto a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., n. 3.

1.2. In secondo luogo, il motivo è inammissibile in quanto si duole dir la violazione di una norma (D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c)) della quale la corte d’appello non ha affatto e non doveva fare applicazione, dal momento che in grado di appello l’odierno ricorrente aveva coltivato solo la domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, e non quella di concessione della protezione sussidiaria.

3.1. In terzo luogo, il motivo è inammissibile per manifesta estraneità alla ratio decidendi.

La Corte d’appello ha rigettato il gravame sul presupposto che a fondamento di esso l’appellante avesse dedotto uno ed un solo motivo: la disparità di condizioni economiche tra l’Italia e la *****. Ad avviso della Corte d’appello, infatti, il richiedente non aveva “prospettato alcun elemento relativo ad asserite esigenze umanitarie”.

L’appello, dunque, venne rigettato sulla base di un ritenuto deficit assertivo da parte dell’appellante: e cioè l’avere dedotto, come motivo d’appello, una circostanza (la disparità di condizioni economiche tra Italia e *****) inidonea a giustificare la riforma del provvedimento impugnato.

Giusta o sbagliata che fosse tale valutazione, essa costituiva una autonoma ratio decidendi che andava censurata con un motivo ad hoc, allegando ed esponendo quando, dove ed in quali termini fossero stati proposti ulteriori motivi d’appello, rispetto a quell’unico ravvisato dalla corte d’appello.

2. Non occorre provvedere sulle spese del presente giudizio, non essendovi stata difesa delle parti intimate.

PQM

la Corte di cassazione:

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione terza civile della Corte di cassazione, il 17 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2021

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