Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.24115 del 07/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 29715/19 proposto da:

-) O.H., elettivamente domiciliato a Roma, via Ugo Ojetti n. 114 (c/o avv. Francesco Caputo), difeso dal l’avvocato Vincenzo Maradei, in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

-) Ministero dell’Interno;

– resistente –

avverso il decreto del Tribunale di Venezia 27 agosto 2019 n. 7012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27 aprile 2021 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

FATTI DI CAUSA

1. O.H., cittadino *****, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).

A fondamento della domanda dedusse di avere lasciato il proprio Paese per due ragioni: sia per timore di rappresaglie in suo danno da parte degli anziani del proprio villaggio, adirati con lui a causa del suo rifiuto di divenire sacerdote del culto degli idoli; sia a causa della sua omosessualità, prevista e punita come reato dall’ordinamento *****.

La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

2. Avverso tale provvedimento O.H. propose, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, ricorso dinanzi alla sezione specializzata, di cui al D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 1, comma 1, del Tribunale di Venezia, che la rigettò con decreto 27 agosto 2019 n. 7012.

Il Tribunale ritenne che:

-) lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b) non potessero essere concessi perché il racconto del richiedente era inattendibile;

-) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c) non potesse essere concessa, perché nel Paese di provenienza del richiedente non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;

-) la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5 non potesse essere concessa in quanto il richiedente non era “persona vulnerabile”.

3. Tale decreto è stato impugnato per cassazione da O.H. con ricorso fondato su tre motivi.

Il Ministero dell’interno non ha notificato controricorso, ma solo chiesto di partecipare all’eventuale discussione in pubblica udienza.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente prospetta il vizio di omesso esame d’un fatto decisivo, nonché quello di “erronea valutazione delle prove allegate dalle parti”.

Nella illustrazione del motivo il ricorrente afferma che il Tribunale non avrebbe indagato ex officio “sui pericoli di persecuzione che l’esponente rischia nel suo paese”; che “il ritorno del ricorrente nel paese di origine in un momento in cui la situazione dei diritti umani continua a suscitare preoccupazione, rappresenta motivazione più che sufficiente a metterlo in serio pericolo di vita”; che in ***** la polizia è corrotta e sono diffuse la violenza sulle donne e quella domestica; che se il Tribunale avesse considerato i suddetti elementi avrebbe dovuto concedere la richiesta protezione.

1.1. Il motivo è infondato.

Il ricorrente, in sostanza, sviluppa il seguente ragionamento:

-) il giudice deve indagare ex officio sulla esistenza di un rischio persecutorio a carico del richiedente asilo;

-) nel caso di specie il giudice non ha indagato;

-) se avesse indagato avrebbe accertato la sussistenza del suddetto rischio. Ma in contrario va osservato che:

-) nessuna indagine officiosa doveva essere compiuta dal giudice, quando ritenga inattendibile il richiedente asilo, con riferimento alle ipotesi di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b), (rischio di persecuzione);

-) con riferimento all’ipotesi di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), (rischio di pericolo derivante da conflitto armato) l’indagine officiosa il Tribunale l’ha compiuta; l’ha fatto sulla base di fonti attendibili ed aggiornate, ed ha escluso la sussistenza in ***** d’una situazione di guerra;

-) con riferimento alla protezione umanitaria, infine, il Tribunale ha rigettato la domanda sul presupposto che lo stesso ricorrente aveva affermato “di vivere benissimo in ***** grazie al lavoro del padre come camionista”, affermazione che non viene censurata dal ricorrente.

2. Col secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 7 e 8.

Nella illustrazione del motivo sostiene che il Tribunale avrebbe, rigettando la sua domanda, “palesemente violato il D.Lgs. n. 251 de 2007, art. 7”.

2.1. Il motivo è inammissibile.

La censura proposta con questo secondo motivo, infatti, consiste unicamente nella trascrizione di una norma della convenzione di Ginevra, di due massime giurisprudenziali, e nell’enunciazione di un principio di diritto astratto.

Resta oscuro, quindi, per quale ragione secondo la prospettazione del ricorrente il D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 7 sarebbe stato violato.

Quanto, poi, alla annunciata violazione dell’art. 8 stesso decreto, l’illustrazione del motivo tace del tutto.

Un ricorso per cassazione così concepito viola i principi ripetutamente affermati da questa Corte, a partire da Sez. 3, Sentenza n. 4741 del 04/03/2005, Rv. 581594 – 01, sino a Sez. un., Sentenza n. 7074 del 20/03/2017, secondo i quali il ricorso per cassazione è un atto nel quale si richiede al ricorrente di articolare un ragionamento sillogistico così scandito:

(a) quale sia stata la decisione di merito;

(b) quale sarebbe dovuta essere la decisione di merito;

(c) quale regola o principio sia stato violato, per effetto dello scarto tra decisione pronunciata e decisione attesa.

Questa Corte, infatti, può conoscere solo degli errori correttamente censurati, ma non può rilevarne d’ufficio, né può pretendersi che essa intuisca quale tipo di censura abbia inteso proporre il ricorrente, quando questi esponga le sue doglianze con tecnica scrittoria oscura, come si è già ripetutamente affermato (da ultimo, in tal senso, Sez. 3, Sentenza n. 21861 del 30.8.2019; Sez. 3, Ordinanza n. 11255 del 10.5.2018; Sez. 3, Ordinanza n. 10586 del 4.5.2018; Sez. 3, Sentenza 28.2.2017 n. 5036).

3. Col terzo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 2 e dell’art. 10 Cost..

Nonostante tale intitolazione, il motivo, dopo una lunga premessa sul fondamento costituzionale del diritto alla protezione (pagine 9-10), prosegue affermando che:

-) il giudice investito dall’opposizione avverso il diniego di protezione pronunciato dalla Commissione Territoriale deve indagare ex officio sulla sussistenza dei motivi che giustifichino il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari;

-) il giudice deve indagare ex officio se ricorra uno dei motivi che vietano l’espulsione D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 19;

-) il diritto a non essere espulso verso paesi dove lo straniero vedrebbe esposta al rischio la sua incolumità “non può essere condizionato a decadenze, preclusioni o forme particolari”.

3.1. Il motivo è inammissibile.

Esso è una giustapposizione di affermazioni astratte del tutto svincolate dal contenuto effettivo del decreto impugnato, al quale non viene mossa alcuna seria ed intelligibile censura.

In particolare non è chiaro in che modo e perché il Tribunale sarebbe venuto meno al dovere di cooperazione istruttoria; quali circostanze decisive avrebbe accertato se l’avesse fatto; donde risultino o donde avrebbero potuto essere acquisite tali informazioni; in che modo e perché venga in rilievo nel caso di specie il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19.

2. Non è luogo a provvedere sulle spese, dal momento che la parte intimata non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

(-) rigetta il ricorso;

(-) ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 27 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2021

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