LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –
Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –
Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 32498-2019 proposto da:
G.L., rappresentato e difeso dagli Avvocati CRISTIANA CENTANNI, e ITALO D’ANGELO, ed elettivamente domiciliata presso lo studio della prima, in ROMA, VIA DENZA 15;
– ricorrente –
contro
COMUNE di FILOTTRANO, in persona del Sindaco pro tempore Avv. Gi.La., rappresentato e difeso dall’Avvocato MAURO ROSSETTI, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Donatella Rossi, in ROMA, VIA XX SETTEMBRE 3;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 919/2019 del TRIBUNALE di ANCONA pubblicata il 14.05.2019;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 4/12/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale;
uditi l’Avv. CRISTIANA CENTANNI, per la ricorrente e l’Avv. MAURO ROSSETTI, per il controricorrente, che hanno concluso ciascuno come in atti.
CENNI DEL FATTO G.L. impugnava dinanzi al Giudice di Pace di Ancona i verbali con cui la Polizia Municipale di Filottrano gli aveva contestato la violazione prevista dall’art. 142 C.d.S., comma 8, avendo superato in diverse occasioni il limite di velocità, tra il *****.
In particolare, l’opponente contestava che il dispositivo di controllo della velocità non sarebbe stato segnalato in modo adeguato e che tra la segnaletica e l’impianto non sarebbe stata rispettata la distanza di cui alla L. n. 120 del 2010, art. 25, comma 2; che il dispositivo in questione non avrebbe potuto essere installato in quella tipologia di strada, illegittimamente qualificata di tipo C anziché di tipo F; che il dispositivo di controllo sarebbe stato poco visibile; che i verbali erano nulli per vizi formali.
Si costituiva in giudizio il COMUNE di FILOTTRANO, che deduceva la presenza di idonea e visibile segnalazione alle debite distanze; nonché la liceità dell’impianto posto su strada qualificata di tipo C con decreto prefettizio che poteva essere disapplicato dal Giudice ordinario solo in caso di illegittimità.
Con sentenza del 18.10.2017 il Giudice di Pace di Ancona accoglieva l’impugnazione, ritenendo che in entrambe le direzioni di marcia non fosse stato rispettato il disposto della L. n. 120 del 2010, art. 25, comma 2 accogliendo altre contestazioni mosse dall’opponente.
Avverso detta sentenza proponeva appello il Comune di Filottrano, contestando che il citato art. 25, comma 2, fosse applicabile nel momento della contestazione delle infrazioni, non essendo stato ancora adottato all’epoca il regolamento attuativo (pubblicato solo in data 13.6.2017); negava che sussistesse una vera intersezione tra *****, trattandosi di un accesso verso una strada privata; censurava il fatto che il Giudice di primo grado avesse fondato la decisione su una CTU acquisita in altro analogo procedimento, peraltro incentrato in buona parte su valutazioni relative alla discrezionalità amministrativa piuttosto che ai profili di diritto.
Si costituiva l’appellato chiedendo la conferma della sentenza appellata, contestando l’ammissibilità e la fondatezza delle contestazioni.
Con sentenza n. 919/2019, depositata in data 14.5.2019, il Tribunale di Ancona, in parziale accoglimento dell’appello, rigettava l’opposizione avverso cinque verbali (quelli relativi alla violazione commessa sulla strada in direzione Filottrano), confermando per il resto la sentenza.
In particolare, il Tribunale riteneva che il criterio della distanza di 1 km tra la segnaletica e il dispositivo di controllo della velocità risultasse immediatamente applicabile, riguardando una disposizione precettiva. Inoltre, la situazione dei luoghi risultava non contestata e desumibile dalla planimetria acquisita nell’accordo delle parti, da cui emergeva che la segnaletica di limitazione della velocità fosse a distanza superiore a 1 km dalla postazione di rilevamento. Risultava altrettanto non contestato che lungo il percorso in direzione di ***** fossero presenti delle intersezioni che imponevano una ripetizione del segnale. Era, pertanto, da condividere la sentenza del Giudice di Pace sotto questo profilo, che giustificava l’annullamento delle tre contravvenzioni comminate mentre l’auto percorreva la via provinciale in direzione di *****. Invece, diverse conclusioni valevano per le cinque contravvenzioni comminate mentre l’auto percorreva la strada in direzione di Filottrano, in quanto l’immissione nella strada provinciale della ***** non si poteva considerare intersezione per il semplice fatto che non si trattava di una strada pubblica, per tale intendendosi solo la strada di proprietà dell’ente locale. Ne’ l’eventuale servitù di uso pubblico poteva essere desunta dal fatto che la via privata collegasse tra loro due strade comunali: per costituirsi per usucapione tale servitù è necessario l’uso generalizzato del passaggio da parte di una collettività indeterminata di individui, considerati uti cives in quanto portatori di un interesse generale; l’oggettiva idoneità del bene a soddisfare il fine di pubblico interesse perseguito tramite l’esercizio della servitù; il protrarsi dell’uso per il tempo necessario all’usucapione. La sentenza impugnata non poteva essere condivisa neppure nella parte in cui censurava la qualificazione della strada operata dalla Prefettura, non potendosi applicare i criteri di cui al D.M. n. 6792 del 2001 a un manufatto realizzato molto prima della sua entrata in vigore. Irrilevante risultava la pretesa natura insidiosa del dispositivo di accertamento, essendo necessaria la visibilità della segnaletica e non dell’impianto. Infine, il proposto cumulo giuridico era inapplicabile trattandosi di un cumulo materiale.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione G.L. sulla base di cinque motivi. Resiste il Comune di Filottrano con controricorso incidentale, proponendo a sua volta ricorso incidentale sulla base di tre motivi. Entrambe le parti hanno depositato rispettive memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 7, comma 7; degli artt. 112,416 e 437 c.p.c. sotto due profili: a) omessa osservanza delle norme processuali di rito in tema di preclusioni e decadenze sia nell’onere di allegazione che nell’onere di produzione di documenti e/o nella richiesta di prove; b) omessa osservanza delle norme processuali in tema di rito del lavoro che vietano le produzioni documentali in appello”. Il Comune controricorrente sarebbe incorso in decadenze sia nelle allegazioni dei fatti, sia nelle produzioni documentali in primo grado, eccepite dal ricorrente; inoltre il resistente produceva irritualmente, in fase di appello, documenti che avrebbe dovuto produrre in primo grado (contestati dall’odierno ricorrente in appello). Laddove, nell’atto di appello, per la prima volta si sarebbe contestata la natura di “intersezione” della ***** nella direzione di marcia *****.
1.1. – Il motivo è infondato.
1.2. – Con riferimento al primo profilo evocato, va rilevato che, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorso deve contenere i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza impugnata. Il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione (Cass. sez. un. 17931 del 2013; Cass. n. 2051 del 2019).
Se è vero, dunque, che l’indicazione dei motivi non necessita dell’impiego di formule particolari, essa tuttavia deve essere proposta in modo altrettanto chiaro e specifico, vista la sua funzione di determinare e limitare l’oggetto del giudizio della Corte (Cass. n. 10914 del 2015; Cass. n. 3887 del 2014). Ciò richiede che i motivi dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbano avere i caratteri della specificità, della completezza e della riferibilità alla decisione stessa (Cass. n. 14784 del 2015; Cass. n. 13377 del 2015; Cass. n. 22607 del 2014). E comporta l’esposizione di argomenti intelligibili ed esaurienti a supporto di dedotte violazioni di norme o principi di diritto (Cass. n. 23804 del 2016; Cass. n. 22254 del 2015).
1.3. – Nella specie, è assorbente rilevare che nel motivo manca qualsiasi indicatore idoneo a riferire le ragioni di impugnazione ad una delle censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1; e manca l’esatta individuazione della norma o delle norme asseritamente violate. Con ciò, altrettanto inammissibilmente, mirando la ricorrente ad ottenere dal giudice di legittimità una pronucia di accoglimento dei propri assunti difensivi, non formalmente né sostanzialmente proposti e/o spiegati.
Il mero riferimento ad una asserita utilizzazione a fini decisori di un ulteriore documento prodotto in appello (“Concessione per il mantenimento e la regolarizzazione dell’accesso esistente” del 6.6.2014) appare costituire eccezione puramente assertiva priva di alcun ulteriore supporto, di per sé inidonea a colmare il vuoto derivante dalla pretesa inammissibilità della produzione di documentazione da parte del Comune controricorrente.
1.4. – Quanto, poi, al profilo riguardante la contestata utilizzazione da parte del Tribunale di Ancona di presunti nova in appello, ovvero di eccezioni di omessa pronuncia, o di intempestività delle allegazioni dei fatti e produzioni documentali in primo grado (non meglio identificati, nell’ambito di carenza di autosufficienza che connota il motivo), esso è inammissibile, là dove appunto non specifica quali documenti siano stati illegittimamente prodotti in appello e per quale motivo, né quale effetto decisivo abbiano avuto con riguardo al thema decidendum (peraltro, il Comune precisa che l’allegato in appello numerato sub b) fosse una fonte normativa; che l’all. c) fosse una circolare ministeriale; che l’all. d) fosse il documento della Provincia di Ancona inviato al CTU; che l’all. e) fosse è la planimetria allegata alla relazione della Polizia Stradale già in atti; che l’all. f) fosse un’ordinanza-ingiunzione da considerarsi in stretta connessione con la relazione della P.S. già in atti e comunque acquisibile in appello e l’all. k) fosse uno studio della difesa del Comune).
2. – Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la “Violazione del D.L. n. 121 del 2002, art. 4 convertito dalla L. n. 168 del 2002, sotto i due profili di: a) inadeguatezza della strada e b) carenza di informazione”. La ricorrente richiama la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 7872 del 2011), secondo la quale il provvedimento prefettizio di individuazione delle strade lungo le quali è possibile installare apparecchiature automatiche per il rilevamento della velocità può includere solo le strade del tipo imposto dalla legge, mediante rinvio alla classificazione di cui all’art. 2 C.d.S., commi 2 e 3.
Sotto altro profilo, la sentenza impugnata sarebbe illegittima in quanto la segnaletica che indica la presenza di un autovelox deve essere apposta in modo da garantirne la corretta leggibilità, in ragione della sottesa ratio, secondo la quale la preventiva informazione, circa la presenza di sistemi elettronici di rilevamento della velocità in favore degli utenti, è rinvenibile (tra l’altro) nell’obbligo di civile trasparenza gravante sulla P.A. (v. Cass. n. 5997 del 2014; Cass. n. 15899 del 2016).
2.1. – Il motivo non è fondato.
2.2. – Va, in primo luogo, va rilevato che l’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 9275 del 2018; Cass. n. 5939 del 2018; Cass. n. 16056 del 2016; Cass. n. 15927 del 2016).
E va soggiunto che nel ricorso per cassazione, per infirmare una motivazione della sentenza che recepisca le conclusioni di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui il giudice dichiari di condividere il merito, è necessario che la parte alleghi di avere rivolto critiche alla consulenza stessa già dinanzi al giudice a quo e ne trascriva, poi, per autosufficienza, almeno i punti salienti onde consentirne la valutazione in termini di decisività e di rilevanza, atteso che, diversamente, una mera disamina dei vari passaggi dell’elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, si risolve (come è dato rilevare nella specie) nella prospettazione di un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità (Cass. n. 11482 del 2016; Cass. n. 19427 del 2017). Sicché le conclusioni assunte dal consulente tecnico sono impugnabili con ricorso per cassazione solamente qualora le censure ad esse relative siano state tempestivamente prospettate avanti al giudice del merito, alla stregua di quanto si evinca dalla sentenza impugnata ovvero dell’atto del procedimento di merito – da specificamente indicarsi da parte del ricorrente – ove le stesse risultino essere state formulate, e vengano espressamente indicate nel motivo di ricorso, in modo che al giudice di legittimità risultino consentito il controllo ex actis della relativa veridicità nonché la valutazione della decisività della questione (Cass. n. 2707 del 2004; Cass. n. 7696 del 2006; Cass. n. 12532 del 2011; Cass. n. 20636 del 2013).
Nella specie, però, la ricorrente non ha specificato nel ricorso almeno detti punti salienti onde consentirne la valutazione in termini di decisività e di rilevanza, offrendo viceversa – nel contesto di un magmatico richiamo ai fatti di causa – solo detta mera disamina dei vari passaggi della acquisizione dei riscontri peritali, corredata da notazioni critiche, che si risolve nella prospettazione di un sindacato di merito (a tesi contrapposte) inammissibile in sede di legittimità (cfr. Cass. n. 24948 del 2018).
2.3. – Ritenuto che il provvedimento, di competenza esclusiva prefettizia (circa la individuazione delle strade lungo le quali è possibile installare apparecchiature automatiche per il rilevamento della velocità, senza obbligo di fermo immediato del conducente, previsto dal D.L. n. 121 del 2002, art. 4) può includere soltanto le strade del tipo imposto dalla legge mediante rinvio alla classificazione di cui all’art. 2 C.d.S., comma 2 e 3, (Cass. n. 7872 del 2011; Cass. n. 5532 del 2017), il Tribunale di Ancona, riteneva di non dovere (e/o potere) sindacare la legittimità della inclusione della strada ***** nella classificazione delle strade indicate dal C.d.S., sostenendo che essa non fosse soggetta ad adeguamento in quanto strada riclassificata dalla proprietaria Provincia di Ancona nel novembre 2011. Osservava infatti come non potesse sussistere la violazione del D.L. n. 121 del 2002, art. 4, comma 1, trattandosi appunto di strada non soggetta ad adeguamento e di costruzione largamente anteriore alla entrata in vigore del D.M. 5 novembre 2001, n. 6792, le cui disposizioni, al fine dell’inclusione in categoria C, si applicano come già evidenziato dalla CTU acquisita in prime cure in conformità a quanto previsto dall’art. 2, “per la costruzione di nuovi tronchi stradali e per l’adeguamento di tronchi esistenti”.
3. – Con il terzo motivo, il ricorrente deduce la “Violazione e falsa applicazione del D.L. n. 117 del 2007 e del D.M. 15 agosto 2007, artt. 2 e 3”, contestando l’affermazione del Tribunale secondo cui l’immissione che precede il luogo ove è stato collocato l’autovelox nella direzione di marcia ***** costituisce un mero accesso e non un’intersezione. Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, il D.M. 15 agosto 2007, art. 2 prevede l’adeguato anticipo rispetto al luogo del rilevamento funzionale al tempestivo avvistamento e alla conseguente modulazione della velocità – e stabilisce che la valutazione sull’adeguatezza della distanza della segnalazione deve essere effettuata in relazione allo stato dei luoghi; in questa prospettiva si interpreta anche la successiva previsione relativa alla ripetizione del segnale in presenza di intersezioni stradali (Cass. n. 25769/2013; n. 9770/2016). Il Tribunale avrebbe violato tali disposizioni.
3.1. – Il motivo è inammissibile.
3.2. – Esso non risponde ai requisiti di specificità della domanda, della completezza e della riferibilità alla decisione stessa, nonché alla esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto (v. amplius: sub 1.2.). Ne’ peraltro si trovano argomentazioni a sostegno dell’assunto secondo cui ritenere che un tratto di strada costituisse intersezione stradale e non svincolo.
4. – Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta un “Vizio di motivazione, per omesso esame o motivazione apparente riguardo al fatto decisivo, oggetto di specifica impugnazione, della presenza o non di intersezioni a raso non semaforizzate sulla *****, denominata *****”, in quanto il Tribunale avrebbe errato nell’aver disapplicato le norme vigenti in tema di uso pubblico delle strade private. Si richiama la giurisprudenza di legittimità secondo la quale, ai fini dell’applicabilità della disciplina del C.d.S., non rileva la proprietà della strada, bensì la destinazione ad uso pubblico, in quanto è l’uso pubblico a giustificare, per evidenti ragioni di ordine e sicurezza collettiva, la soggezione delle aree alle norme del C.d.S. (Cass. n. 14367 del 2018). Osserva il ricorrente che il Tribunale, nel ritenere insussistente la servitù di uso pubblico della strada in oggetto, non verificava l’uso generalizzato del passaggio su ***** da parte di una collettività indeterminata di individui considerati uti cives, né l’idoneità del bene a soddisfare il fine di pubblico interesse e l’avvenuto decorso del tempo necessario alla maturazione dell’usucapione. Invero, la strada (come precisato in appello) è stata ed è utilizzata non solo dagli abitanti della medesima, ma anche da altri residenti nel Comune di Filottrano e da coloro che si recano nei luoghi, in quanto la ***** collega due strade comunali e vi è anche una nota attività produttiva, “*****”, per cui sussisterebbero tutti i presupposti per qualificarla come aperta al pubblico transito. Secondo la giurisprudenza l’adibizione a uso pubblico di una strada è desumibile quando il tratto viario assuma un’esplicita finalità di collegamento, essendo destinato al transito di un numero indifferenziato di persone (Consiglio di Stato, n. 8624 del 2010), oppure quando vi sia stato, con la c.d. dicatio ad patriam, l’asservimento del bene da parte del proprietario all’uso pubblico di una comunità, per cui il bene viene ad assumere le caratteristiche analoghe a quelle di un bene demaniale (Cass. n. 6924 del 2001).
4.1. – Il motivo è inammissibile.
4.2. – Dopo la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, l’omessa pronunzia continua a sostanziarsi nella totale carenza di considerazione della domanda e dell’eccezione sottoposta all’esame del giudicante, il quale manchi completamente perfino di adottare un qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito, di accoglimento o di rigetto, invece indispensabile alla soluzione del caso concreto; al contrario, il vizio motivazionale previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5 presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia pur sempre stato da parte del giudice di merito, ma che esso sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico, oppure che si sia tradotto nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”; essendo esclusa, invece, qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. n. 21257 del 2014; Cass. 23828 del 2015); laddove, pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. n. 27415 del 2018; cfr. Cass. sez. un. 8053 del 2014; cfr. Cass. n. 14014 del 2017; Cass. n. 9253 del 2017).
Nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente incidentale avrebbe dunque dovuto specificamente e contestualmente indicare oltre al “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017). Ma, nei motivi in esame, della enucleazione e della configurazione della sussistenza (e compresenza) di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde potersi ritualmente riferire al parametro di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 non v’e’ alcuna idonea e specifica indicazione.
Spettano dunque al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta tra le risultanze probatorie di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, per cui è insindacabile, in sede di legittimità, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il Giudice di secondo grado sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo Giudice (Cass. n. 1359 del 2014; Cass. n. 16716 del 2013; Cass. n. 1554 del 2004).
4.4. – La ricorrente non indica la specifica anomalia che avrebbe caratterizzato la decisione; dovendosi peraltro rilevare (in termini di mancanza assoluta di motivazione) che al contrario la motivazione esiste (v. sentenza impugnata).
5. – Con il quinto motivo, la ricorrente deduce la “Violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del combinato disposto del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 142, comma 6 bis e D.P.R. n. 495 del 1992, art. 79, comma 3”. Dal tenore del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 142, comma 6 bis si ricava che la segnalazione e la visibilità devono caratterizzare non già la postazione dell’autovelox in sé, quanto piuttosto la sua presenza nei pressi della sede stradale, in modo da spiegare la propria finalità di avvertimento nei confronti degli automobilisti.
5. – Il motivo non è ammissibile.
5.1. – Il motivo evocato dalla ricorrente appare caratterizzato da una sua genericità, che si appalesa quale elemento fondante rispetto alla non disgiunta indicazione e richiamo alla ratio sottesa alla preventiva informazione, che (segnalata secondo le modalità indicate dalla legge) si rinviene nell’obbligo di civile trasparenza gravante sulla P.A.
6. – Il Comune di Filottrano ha depositato ricorso incidentale, sulla base di tre motivi.
7.1. – Con il primo motivo, il Comune ricorrente incidentale lamenta la “Falsa applicazione della L. n. 120 del 2010, art. 25, comma 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Secondo il Comune il Tribunale avrebbe applicato alla fattispecie una norma non avente ancora portata precettiva. L’inciso “che fuori dei centri abitati non possono comunque essere utilizzati o installati ad una distanza inferiore ad un chilometro dal segnale che impone il limite di velocità”, previsto dall’ultima parte del citato art. 25, comma 2, non faceva parte del disegno di legge originario, ma era inserito in parziale accoglimento di un emendamento.
7.2. – Con il secondo motivo, il Comune ricorrente incidentale deduce “Falsa applicazione della L. n. 120 del 2010, art. 25, comma 2 in relazione al D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 142 con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3” Ove ritenuto vigente all’epoca dei fatti, il citato art. 25 era da ritenere inapplicabile in caso di aumento del limite di velocità lungo la strada di percorrenza.
7.3. – Con il terzo motivo, il Comune di Filottrano lamenta la “Falsa applicazione della L. n. 120 del 2010, art. 25, comma 2 in relazione al D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 142 con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, giacché, ove ritenuto vigente all’epoca dei fatti, il citato art. 25 era da ritenere inapplicabile in caso di aumento del limite di velocità lungo la strada di percorrenza. Secondo il Tribunale l’intento del legislatore era quello di preservare la sicurezza della circolazione evitando che l’utente della strada ponesse in essere brusche decelerazioni in caso di imposizione di un limite di velocità.
8. – In considerazione della loro connessione logico giuridica, i motivi di ricorso incidentale vanno esaminati e decisi congiuntamente.
8.1. – Il ricorso non è fondato.
8.2. – Nell’emanare il decreto nel 2017, secondo il Comune ricorrente incidentale, il Ministero avrebbe confermato come la norma non fosse applicabile prima dell’emanazione del D.M. 16 giugno 2017 (in G.U. 31.7.2017). Il Comune ritiene che l’inciso “non possono comunque essere utilizzati o installati”, indicherebbe l’intenzione del legislatore di demandare al decreto ministeriale la valutazione se sia più opportuno vietare l’utilizzazione o l’installazione del rilevatore di velocità, non potendo coesistere lo stesso divieto, tenuto conto che se un rilevatore di velocità non può essere installato è del tutto superfluo prescrivere che non possa essere utilizzato.
8.3. – Osserva il Tribunale (pag. 5 sentenza impugnata) che “nulla vieta di ravvisare, nella proposizione in commento, due comandi: uno rivolto al futuro regolatore, delegato alla determinazione di specifici parametri tecnici applicativi, nel rispetto dello specifico criterio minimo indicato dal legislatore; l’altro immediatamente rivolto alle amministrazioni competenti alla collocazione dei meccanismi di rilevazione della velocità vitandola distanza inferiore”. E specifica che “sul piano testuale la prescrizione non è collocata nel futuro, come il legislatore avrebbe potuto fare per limitare l’efficacia della disposizione al regolatore delegato”. Nonché rileva, peraltro, che “sul piano della interpretazione meta-testuale si impone invece la duplice considerazione che: la prescritta distanza minima è criterio immediatamente applicabile, che non abbisogna di specifiche determinazioni tecniche, non essendo certo problematico l’accertamento ed il rispetto della prescritta distanza”, essendo la disposizione chiaramente intesa “a scongiurare il pericolo per la circolazione connesso alla eventuale induzione del trasgressore a troppe brusche e inattese manovre di decelerazione”. Sicché “una volta individuata tale ratio, non sarebbe (stato) logico ammettere la non necessaria dilazione di una misura che il legislatore ritiene funzionale ad esigenze di sicurezza della circolazione, a preferenza della discrezionalità che la pregressa giurisprudenza riconosceva all’interprete circa la congruità del preavviso”.
Peraltro, risulta inammissibile la deduzione di errori di diritto individuati (come nella specie) per mezzo della mera indicazione delle norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una circostanziata critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 11501 del 2006; Cass. n. 828 del 2007; Cass. n. 5353 del 2007; Cass. n. 10295 del 2007; Cass. 2831 del 2009; Cass. n. 24298 del 2016).
Sotto altro profilo, poi, se anche l’intento del legislatore fosse quello di preservare la sicurezza della circolazione evitando che l’utente della strada ponga in essere brusche decelerazioni in caso di imposizione di un limite di velocità, non per questo la norma non necessariamente si applicherebbe nel caso in cui tale limite fosse aumentato. Ciò in quanto, in tema di segnaletica stradale, poiché, ai sensi dell’art. 104 reg. esec. C.d.S., i segnali di divieto devono essere ripetuti dopo ogni intersezione, la limitazione di velocità imposta da un segnale precedente l’intersezione viene meno dopo il superamento dell’incrocio, qualora non sia ribadita da un nuovo apposito segnale, in mancanza del quale rivive la prescrizione generale dei limiti di velocità relativi al tipo di strada, salvo quanto disposto da segnali a validità zonale o da altre condizioni specifiche (Cass. n. 11018 del 2014).
Se ne deve concludere nel senso che le ipotesi formulate (nel contesto del ricorso incidentale) si appalesano quali soluzioni di singole situazioni, piuttosto che posizioni di diritto atte a fornire mere ipotesi fattuali. Rispetto alle quali risulta, dunque, inammissibile una doglianza che fondi il presunto errore di sussunzione (e dunque un errore interpretativo di diritto) su una ricostruzione fattuale diversa da quella posta a fondamento della decisione, alla stregua di una alternativa interpretazione delle risultanze di causa (Cass. n. 9028 del 2019; Cass. n. 3923 del 2019; Cass. n. 3340 del 2019).
9. – Vanno pertanto rigettati sia il ricorso principale che quello incidentale. Le spese sono interamente compensate tra le parti. Va emessa altresì la dichiarazione ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
PQM
La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale. In considerazione della soccombenza reciproca vengono interamente compensate tra le parti le spese di lite. D.P.R. n. 115 del 2002, Ex art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e del controricorrente incidentale, dell’ulteriore importo ciascuno a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 dicembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 8 settembre 2021