Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.24189 del 08/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20509-2016 proposto da:

T.V. S.R.L., P.R., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GIUSEPPE PISANELLI 2, presso lo studio dell’avvocato LEONARDO GNISCI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONIO DE PAOLI;

– ricorrenti –

contro

F.M., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE G. MAZZINI, 11, presso lo studio dell’avvocato ELENA STELLA RICHTER, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato ZENO FORLATI;

– controricorrenti –

nonché contro B.T., + ALTRI OMESSI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1721/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 06/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/04/2021 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;

viste le conclusioni motivate, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, formulate dal P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE ALBERTO, il quale ha chiesto di dichiarare nulla la sentenza impugnata o, in subordine, di accogliere i primi tre motivi del ricorso e di respingere il quarto motivo;

vista le memorie depositate dai ricorrenti e dai controricorrenti. FATTI DI CAUSA La T.V. s.r.l. e P.R. hanno proposto ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza n. 1721/2015 della Corte d’appello di Venezia, depositata il 6 luglio 2015.

Resistono con controricorso Bo.Fr., + ALTRI OMESSI.

Il ricorso è stato intimato altresì nei confronti di B.T., + ALTRI OMESSI, i quali non hanno svolto attività difensive.

La Corte d’appello di Venezia ha rigettato il gravame formulato dalla T.V. s.r.l. e da P.R. contro la sentenza resa il 18 marzo 2013 dal Tribunale di Venezia, che aveva condannato gli stessi convenuti a cessare qualsiasi utilizzo della corte interna posta al centro dell’edificio del Condominio ***** a servizio del fondo finitimo adibito a ristorante, nonché a rimuovere la caldaia e gli accessori ivi collocati, a chiudere la porta di accesso alla corte dal locale ristorante, a cessare le immissioni provenienti dalla cappa di aspirazione della cucina del ristorante ed al pagamento della somma di Euro 10.000,00 oltre interessi compensativi a titolo di rimborsi e danni.

La Corte d’appello ha ritenuto sussistente la legittimazione passiva di P.R., unico socio e rappresentante dalla T.V. s.r.l., in ordine alle domande attinenti all’illegittimo uso della corte. Quanto poi al diritto di condominio della corte interna vantato dalla T.V. s.r.l., in quanto condomina del Condominio San Provolo 4705 giacché proprietaria di un magazzino e di un appartamento acquistato nel 2011, i giudici di secondo grado hanno affermato che il fondo confinante su cui insiste il ristorante, sito in *****, non e’, invece, parte del Condominio e che il cortiletto oggetto di lite non fosse pervenuto al dante causa della società appellante, C.L., allorché questi aveva acquistato il fondo dal Linificio e Canapificio Nazionale. L’uso del cortile spetta, perciò, secondo la sentenza impugnata, soltanto alle unità immobiliari di ***** ed era così illegittima la destinazione al servizio dell’immobile confinante sede del ristorante, comportando la costituzione di una servitù in favore di bene estraneo al condominio. L’uso parziale del cortile era stato, del resto, concesso dal Condominio a C.L. con locazione del 1975, in cui era subentrata la T.V. s.r.l. La Corte di Venezia ha anche smentito l’usucapione del cortile e negato rilevanza all’inclusione del C. nel Regolamento del Condominio *****. I giudici di appello hanno quindi confermato la ravvisabilità di un uso illegittimo della corte ad opera di P.R. e della T.V. s.r.l., l’accertamento delle immissioni rumorose eccedenti la normale tollerabilità e la congruità dei danni liquidati.

Il ricorso è stato deciso in camera di consiglio procedendo nelle forme di cui al D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176.

RAGIONI DELLA DECISIONE

In via pregiudiziale, non è rilevabile la nullità – dedotta dal pubblico ministero nelle conclusioni motivate – della sentenza impugnata, perché confezionata mediante assemblaggio dello “svolgimento del processo” dattiloscritto e dei “motivi della decisione” costituiti dalla minuta redatta a penna dall’estensore, con grafia non facilmente leggibile. La violazione dei criteri di redazione della sentenza ex art. 119 disp. att. c.p.c. non e’, invero, corredata da espressa comminatoria di nullità, tanto meno da riferire all’ambito dell’art. 161 c.p.c., comma 2, (ovvero dei vizi cui non si applica il principio di conversione in motivi di impugnazione) (si veda indicativamente Cass. Sez. L, 14/05/2010, n. 11739). Il testo scritto di pugno dal giudice appare, peraltro, aver comunque consentito alle parti di comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione adottata.

1. Il primo motivo del ricorso della T.V. s.r.l. e di P.R. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1102,1117 e 1123 c.c. Vi si deduce l’appartenenza del fondo T.V. al Condominio ***** in forza dell’atto di compravendita 28 gennaio 1925 in favore di Linificio e Canapificio Nazionale, del Regolamento ad esso allegato, del Regolamento di Condominio approvato all’unanimità dall’assemblea del 17 giugno 1975 (che attribuiva 287 millesimi a C.L.), delle risultanze della CTU (che descrive il fabbricato come composto da cinque piani, il cui piano terra è adibito per la maggior parte a ristorante), della consulenza di parte e dei verbali di assemblea a far tempo dal giugno 1975. Si prospetta la sussistenza di un unico corpo di fabbrica, identificato da un solo mappale catastale e dai numeri civili *****, che comprende per la sua gran parte il ristorante della T.V., con una situazione di condominio parziale della corte interna in favore altresì della proprietà di quest’ultima. Da ciò il diritto della società ricorrente di fruire del sottosuolo del cortile per lo scarico delle acque mediante fossa settica e impianto fognario e di mantenervi la caldaia e gli altri accessori.

Il secondo motivo del ricorso della T.V. s.r.l. e di P.R. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1102 e 1117 c.c., in quanto la sentenza impugnata dà atto che la società ricorrente è proprietaria di due ulteriori unità immobiliari comprese nel Condominio *****, adibite ad appartamento e magazzino, ed ha perciò comunque diritto di fare uso del cortile condominiale, sicché risulterebbe errata la condanna a rimuovere la nuova fossa settica ed i relativi impianti.

1.1. I primi due motivi del ricorso della T.V. s.r.l. e di P.R. vanno esaminati congiuntamente perché connessi e sono fondati nei termini di seguito precisati.

1.2. Si ha riguardo a condominio che sembra sorto nella vigenza del Codice civile del 1865 (i ricorrenti hanno prodotto un atto di compravendita risalente al 28 gennaio 1925 con allegato regolamento). Ad esso torna applicabile comunque l’art. 1117 c.c. del 1942. Invero, anche secondo il Codice civile del 1865, in forza dell’art. 562 (che poneva “a carico di tutti i proprietari” le “riparazioni e ricostruzioni” delle “cose comuni”), nel silenzio dei titoli di proprietà, dovevano presumersi di proprietà comune tutte le entità strutturali e le parti di un edificio in condominio, che fossero destinate all’uso comune (cfr. Cass. Sez. 2, 09/10/1972, n. 2964; Cass. Sez. 2, 30/01/1969, n. 267). La disciplina della comunione e del condominio negli edifici dettata dal Codice del 1865, in difetto di espressa disposizione transitoria, è da intendere, invero, abrogata dal Codice civile del 1942, il quale disciplina compiutamente l’intera materia, sicché l’attribuzione delle parti comuni viene ad essere regolata dall’art. 1117 c.c. vigente, le cui disposizioni, per le ragioni richiamate sopra, si applicano anche agli edifici costruiti prima dell’entrata in vigore del nuovo testo (così Cass. Sez. 2, 15/06/1998, n. 5948).

1.3. La causa verte, per quanto accertato in fatto, su di un cortile posto all’interno dell’edificio del Condominio *****, sito in *****. La T.V. s.r.l. è proprietaria di un magazzino e di un appartamento (acquistato nel 2011 da E. e S.M.G., già parti di questo giudizio), che la sentenza impugnata ha ritenuto compresi nel complesso condominiale, nonché di altro immobile, sito in *****, adibito a ristorante, che per la Corte d’appello “non fa parte” del Condominio *****. Tale conclusione di estraneità al condominio del fondo adibito a ristorante è stata desunta dai giudici di secondo grado in base ai “documenti già prodotti in prime cure”, dai quali era risultato che “il cortiletto in oggetto non fosse mai pervenuto, quale proprietà condominiale, al dante causa di T.V., tale C.L., allorché costui aveva a sua volta acquistato il fondo dal Linificio e Canapificio Nazionale”. L’uso del cortile, secondo la Corte di Venezia, spetterebbe, perciò, soltanto alle unità immobiliari di *****, sicché si rivelerebbe illegittima la destinazione dello stesso al servizio dell’immobile confinante sede del ristorante, comportando la costituzione di una servitù in favore di bene estraneo al condominio. Da ciò anche l’inibitoria rivolta ai convenuti per non fare più uso del cortile quale sgombero e servizio igienico del ristorante e a non utilizzare la fossa settica in favore del medesimo fondo confinante, ed ancora l’illegittimità delle installazioni della nuova fossa settica, della caldaia e degli accessori avvenute nel 2004.

1.4. Per consolidata interpretazione giurisprudenziale, viene inteso, allora, come cortile, ai fini dell’inclusione nelle parti comuni dell’edificio elencate dall’art. 1117 c.c., qualsiasi area scoperta compresa tra i corpi di fabbrica di un edificio o di più edifici, che serva a dare luce e aria agli ambienti circostanti, o che abbia anche la sola funzione di consentirne l’accesso (Cass. Sez. 2, 15/02/2018, n. 3739; Cass. Sez. 2, 02/08/2010, n. 17993; Cass. Sez. 2, 30/07/2004, n. 14559; Cass. Sez. 2, 29/10/2003, n. 16241).

Al medesimo regime del cortile, espressamente contemplato dall’art. 1117 c.c., n. 1, tra i beni comuni, salvo specifico titolo contrario, rimane sottoposto altresì il cavedio – altrimenti denominato chiostrina, vanella o pozzo luce -, e cioè il cortile di piccole dimensioni, circoscritto dai muri perimetrali e dalle fondamenta dell’edificio comune, destinato prevalentemente a dare aria e luce a locali secondari, quali ad esempio bagni, disimpegni, servizi (Cass. Sez. 2, 07/04/2000, n. 4350).

La presunzione legale di comunione, stabilita dall’art. 1117 c.c., si reputa inoltre operante anche nel caso di cortile strutturalmente e funzionalmente destinato al servizio di più edifici limitrofi ed autonomi, tra loro non collegati da unitarietà condominiale (così, ad esempio, Cass. Sez. 2, 30/07/2004, n. 14559; Cass. Sez. 2, 24/05/1972, n. 1619).

1.5. Come visto, la Corte d’appello di Venezia ha escluso il diritto di condominio della T.V. s.r.l. sul cortile per cui è causa in quanto esso non era compreso nel titolo di acquisto di C.L., dante causa della società ricorrente.

Questa conclusione si rivela erronea.

L’individuazione delle parti comuni di un condominio edificio, come appunto i cortili, risultanti dall’art. 1117 c.c., non opera con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, risultino destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari (cfr. Cass. Sez. U, 07/07/1993, n. 7449). E’ quindi decisivo accertare, mediante apposito apprezzamento di fatto, se l’obiettiva destinazione primaria del cortile di causa a dare aria, luce ed accesso sia volta al servizio esclusivo delle unità immobiliari comprese nel blocco di *****, o anche al servizio dell’immobile sito in *****, adibito a ristorante.

1.6. La prima verifica che i giudici del merito avrebbero perciò dovuto compiere, per dire applicabile, o meno, la disciplina del condominio degli edifici, di cui agli artt. 1117 c.c. e ss., con riguardo al rapporto corrente fra l’immobile sito in ***** e il cortile interno del Condominio *****, concerneva la relazione di accessorietà necessaria che, al momento della formazione del condominio, legava quest’ultimo bene (inserito tra le parti comuni – se il contrario non risulta dal titolo – dall’art. 1117 c.c.) alla individuata porzione di proprietà singola. Peraltro, pur mancando un così stretto nesso strutturale, materiale e funzionale, la condominialità di un complesso immobiliare, che comprenda porzioni eterogenee per struttura e destinazione, può essere frutto della autonomia privata.

1.7. Ove poi debba applicarsi l’art. 1117 c.c., bisogna considerare che tale norma non si limita a formulare una mera presunzione di comune appartenenza a tutti i condomini, vincibile con qualsiasi prova contraria, potendo essere superata soltanto dalle opposte risultanze di quel determinato titolo che ha dato luogo alla formazione del condominio per effetto del frazionamento dell’edificio in più proprietà individuali. La situazione di condominio, regolata dagli artt. 1117 c.c. e ss., si attua, infatti, sin dal momento in cui si opera il frazionamento della proprietà di un edificio, a seguito del trasferimento della prima unità immobiliare suscettibile di separata utilizzazione dall’originario unico proprietario ad altro soggetto.

1.8. La Corte d’appello di Venezia doveva perciò dirimere la lite non facendo affidamento sul titolo di acquisto di C.L., dante causa di T.V., ma individuando l’atto di frazionamento dell’iniziale unica proprietà, da cui si generò la situazione di condominio edilizio, con correlata operatività della presunzione ex art. 1117 c.c. di comunione “pro indiviso” di tutte quelle parti del complesso che, per ubicazione e struttura, fossero – in tale momento costitutivo del condominio destinate all’uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio, e non invece oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari. Sarebbe quindi occorso verificare se nel titolo originario sussistesse una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente alle unità immobiliari comprese nel blocco di ***** la proprietà del cortile interno. Altrimenti, una volta sorta la comproprietà delle parti comuni dell’edificio indicate nell’art. 1117 c.c., per effetto della trascrizione dei singoli atti di acquisto di proprietà esclusiva – i quali comprendono pro quota, senza bisogno di specifica indicazione, le parti comuni la situazione condominiale è opponibile ai terzi (Cass. Sez. 2, 17/02/2020, n. 3852; Cass. Sez. 2, 09/12/1974, n. 4119).

Tanto meno risulta dirimente per la soluzione della questione dedotta in lite il Regolamento *****, non costituendo il regolamento di condominio un titolo di proprietà, ove non si tratti di regolamento espressione di autonomia negoziale, approvato o accettato col consenso individuale dei singoli condomini e volto perciò a costituire, modificare o trasferire i diritti attribuiti ai singoli condomini dagli atti di acquisto o dalle convenzioni (cfr. Cass. Sez. 2, 03/05/1993, n. 5125; Cass. Sez. 2, 21/05/2012, n. 8012).

1.9. Una volta eventualmente accertato con le specificate modalità di indagine il nesso di condominialità corrente tra il cortile interno del Condominio ***** e l’immobile sito in *****, adibito a ristorante, l’uso di tali beni da parte della società T.V. dovrebbe trovare regolamentazione nella disciplina del condominio di edifici, la quale è costruita sulla base di un insieme di diritti e obblighi, armonicamente coordinati, contrassegnati dal carattere della reciprocità, che escludono la possibilità di fare ricorso alla disciplina in tema di servitù, presupponente, invece, fondi appartenenti a proprietari diversi, nettamente separati, uno al servizio dell’altro. In particolare, la condomina T.V. avrebbe diritto a servirsi del cortile, anche collocando impianti fissi o ponendo nel sottosuolo tubature per lo scarico fognario, per il vantaggio altresì dell’unità immobiliare in *****, adibita a ristorante, come le limitazioni poste dall’art. 1102 c.c., ovvero il divieto di alterarne la destinazione e l’obbligo di consentirne un uso paritetico agli altri condomini (cfr. Cass. Sez. 6 – 2, 23/06/2017, n. 15705; Cass. Sez. 2, 22/09/2015, n. 18661; Cass. Sez. 2, 26/02/2007, n. 4386; Cass. Sez. 2, 05/12/1997, n. 12344; Cass. Sez. 2, 06/05/1988, n. 3376; Cass. Sez. 2, 07/07/1978, n. 3405).

1.10. Se, al contrario, verrà accertato che il cortile per cui è causa risulta destinato al servizio esclusivo delle unità immobiliari comprese nel blocco *****, e non anche dell’immobile sito in *****, o comunque che sussista un titolo contrario ex art. 1117 c.c. alla condominialità pretesa dalla T.V., a quest’ultima dovrà riconoscersi di fruire del cortile, sempre nel rispetto dell’art. 1102 c.c., soltanto per i vantaggi ritraibili dalle due ulteriori proprietà, adibite a magazzino e ad appartamento, comprese nel fabbricato *****, non potendo utilizzare la medesima corte condominiale a vantaggio dell’immobile limitrofo parimenti appartenente alla società, in quanto tale utilizzazione darebbe luogo alla costituzione di una servitù a favore di fondo estraneo alla comunione (arg. da Cass. Sez. 2, 26/09/2008, n. 24243; Cass. Sez. 6 – 2, 25/02/2020, n. 5060).

2. Il terzo motivo del ricorso della T.V. s.r.l. e di P.R. deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1158 c.c. La Corte d’appello ha confermato l’ordine di chiusura della porta di collegamento fra il fondo T.V. ed il cortile condominiale, negando altresì l’usucapione per la sussistenza di un contratto di locazione legittimante il passaggio, intercorso prima C.L. e poi con la stessa avente causa T.V.. Per i ricorrenti, la Corte di Venezia avrebbe errato nel non considerare che la locazione era stata volta a consentire ai conduttori l’utilizzo esclusivo di una porzione del cortile interno separato da un muro. La censura richiama la deposizione testimoniale di Ca.Sa. e conclude che dagli anni Sessanta e fino al 2005 il fondo adibito a ristorante avesse sempre avuto un accesso al cortile, con ciò conclamandosi il possesso ultraventennale utile ad usucapire.

2.1. Il terzo motivo resta necessariamente assorbito dall’accoglimento dei primi due motivi, in quanto la già ravvisata necessità di riesaminare se sussista o meno il diritto di condominio sul cortile interno in favore dell’immobile sito in ***** priva di immediata evidenza decisoria la questione dell’usucapione, neppure essendo comprensibile dalla censura se i ricorrenti pretendano di aver acquistato, per il tramite del possesso esercitato, la proprietà esclusiva o la comproprietà del cortile, ovvero una servitù di passaggio in re aliena.

Una volta chiarito se all’immobile sito in ***** spetti, o meno, il diritto di condominio sul cortile, la domanda di usucapione potrà eventualmente essere riesaminata nel giudizio di rinvio, valutando se la T.V. abbia dato prova dello svolgimento di attività corrispondenti all’esercizio del diritto di proprietà esclusiva, di comproprietà pro indiviso o di servitù di passaggio, non già giustificate dalla disponibilità del bene conseguita in forza del contratto di locazione del 1975 (il quale vincerebbe la presunzione di possesso di cui all’art. 1141 c.c., comma 1) o dal compossesso ex art. 1117 c.c.

3. Il quarto motivo del ricorso della T.V. s.r.l. e di P.R. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,163 e 164 c.p.c. La Corte d’appello ha escluso che fosse affetto da ultrapetizione l’ordine di cessazione delle immissioni rumorose contenuto nella sentenza di primo grado, a fronte della “complessiva domanda iniziale di cessazione di ogni accertanda turbativa”. I ricorrenti sostengono che le acclarate immissioni provenienti dalla cappa di aspirazione posta sopra la cucina del ristorante, descritte dal CTU, non fossero specificate nella domanda introduttiva, la quale aveva fatto piuttosto riferimento ad esalazioni maleodoranti e gas di combustione localizzate nella corte e non “verso l’esterno del condominio”.

3.1. Il quarto motivo di ricorso è infondato.

Gli attori nella citazione del 25 luglio 2005 avevano domandato la “cessazione di ogni turbativa”, in particolare mediante eliminazione di ogni scarico ed immissione di vibrazioni, fumi, rumori e odori “oltre la normale tollerabilità all’interno della corte”. Nell’esposizione dei fatti costituenti le ragioni della domanda, si specificava che “gli scarichi e le immissioni all’interno della corte” erano “in massima parte originati dalla cucina del ristorante”, aggiungendosi che da ciò discendevano nocumenti per la salute fisica e per la qualità della vita degli abitanti dell’edificio, deprezzamento dei valori degli appartamenti interessati, limiti alle possibilità di fruire delle aperture, pregiudizi per i diritti degli abitanti e dei frequentatori degli immobili prospicienti sulla corte.

Deve allora affermarsi che non incorre nel vizio di ultrapetizione, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., il giudice del merito che, investito della azione di natura reale, esperita dal proprietario del fondo danneggiato per l’accertamento dell’illegittimità delle immissioni di scotimenti, fumo, rumori ed odori, e per la condanna a far cessare le stesse, proposta nei confronti del proprietario del fondo da cui tali immissioni provengono, e recante altresì la precisazione in fatto di alcune delle turbative denunciate con riguardo alle esalazioni nonché del luogo di manifestazione delle stesse, all’esito degli accertamenti compiuti mediante apposita consulenza d’ufficio (come nella specie), accolga la domanda disponendo la cessazione delle immissioni rumorose percepite in altra zona del fondo attoreo e costituenti concretamente causa della situazione pregiudizievole (arg. da Cass. Sez. 6 – 2, 17/01/2011, n. 887). Il vizio di ultrapetizione si verifica, invero, solo se il giudice attribuisce alla parte un bene non richiesto o un bene maggiore di quello richiesto, è non è perciò ipotizzabile se il giudice accoglie una domanda la quale può ritenersi comunque implicitamente e virtualmente contenuta nella domanda dedotta in giudizio, e cioè quando, con particolare riguardo al petitum e alla causa petendi, la domanda accolta si trovi in rapporto di necessaria connessione con l’oggetto della pretesa che l’attore ha voluto tutelare mediante la formulazione della domanda.

4. Conseguono l’accoglimento del primo e del secondo motivo del ricorso della T.V. s.r.l. e di P.R., l’assorbimento del terzo motivo ed il rigetto del quarto motivo, nonché la cassazione della sentenza impugnata in relazione alle censure accolte, con rinvio alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, la quale riesaminerà la causa tenendo conto dei rilievi svolti ed uniformandosi agli enunciati principi, e provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbito il terzo motivo, rigetta il quarto motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolta e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 28 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 settembre 2021

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