LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23226-2019 proposto da:
K.A.K., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA GIULIANA, 32, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO GREGORACE, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
nonché contro PROCURA GENERALE PRESSO CORTE DI CASSAZIONE;
– intimata –
avverso la sentenza n. 28/2019 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 09/01/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 01/04/2021 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.
RILEVATO
CHE:
1. La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza pubblicata il 9 gennaio 2019, respingeva il ricorso proposto da K.A.K., cittadino del *****, avverso il provvedimento con il quale il Tribunale di Firenze aveva rigettato l’opposizione avverso la decisione della competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale che, a sua volta, aveva rigettato la domanda proposta dall’interessato di riconoscimento dello status di rifugiato, di protezione internazionale, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria).
2. Il richiedente aveva dichiarato di essere espatriato per contrasti tra la propria famiglia di coltivatori e alcuni pastori di etnia ***** abitanti del villaggio di ***** nella regione del *****, contrasti sfociati in minacce e aggressioni.
Secondo la Corte d’Appello non ricorrevano i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale non avendo allegato il ricorrente di essere scappato perché perseguitato dai poteri dominanti o per altre ragioni discriminatorie, ma per un banale contrasto tra pastori e coltivatori. Secondo la Corte d’Appello non sussistevano neanche i presupposti di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b), mancando la prova di una concreta e seria minaccia in caso di rientro in patria del ricorrente e, dunque, dovendosi escludere il concreto pericolo di tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante. Inoltre, a prescindere dalla situazione sociopolitica della zona di provenienza del ricorrente, questi non era fuggito dal paese per il timore di rimanere vittima di violenza indiscriminata.
Infine, la protezione umanitaria presupponeva un’integrazione che nella specie mancava in quanto il ricorrente non aveva neanche la padronanza linguistica e aveva fatto l’audizione con l’ausilio di un interprete. Peraltro, secondo la Corte d’Appello l’accoglimento della richiesta non poteva trovare spazio anche per l’intervenuta novella legislativa di cui al D.P.R. n. 113 del 2018 che aveva sistematicamente eliminato dal dettato normativo il richiamo generico al permesso di carattere umanitario.
3. K.A.K. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di quattro motivi di ricorso.
4. Il Ministero dell’interno si è costituito tardivamente al solo fine di partecipare all’eventuale discussione.
CONSIDERATO
CHE:
1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione alle dichiarazioni rese dal ricorrente e dal mancato supporto probatorio, direttiva 2004/83/CE recepita dal D.Lgs. n. 251 del 2007.
La Corte d’Appello ha escluso l’integrazione raggiunta dallo straniero senza allegare alcun elemento di riscontro in violazione del dovere di cooperazione istruttoria in forza del quale bisognava richiedere al ricorrente quali documenti allegare o cosa dimostrare.
2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: omesso esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla commissione territoriale e delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione delle condizioni del paese di origine del ricorrente.
Il ricorrente aveva raccontato di essere nato in ***** e di essere stato costretto a fuggire per contrasti della propria famiglia con un gruppo di etnia diversa. Secondo il ricorrente il ***** verserebbe in una situazione di grave instabilità e la Corte d’Appello non avrebbe correttamente valutato le fonti internazionali.
3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: mancata concessione della protezione sussidiaria cui il ricorrente aveva diritto ex lege in ragione delle attuali condizioni sociopolitiche del paese di origine: violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14.
Nella specie sussistevano le condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria vista l’attuale condizione di pericolo per la sicurezza individuale all’interno del ***** dove la guerra si sta propagando sempre con maggiore insistenza verso il sud del paese.
4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: errata applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, in relazione alla mancata concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari errata applicazione del D.L. n. 113 del 2018.
La corte d’appello avrebbe erroneamente rigettato la richiesta di permesso di soggiorno per motivi umanitari ed avrebbe erroneamente applicato anche il D.L. n. 113 del 2018, peraltro il richiedente era perfettamente integrato e risulterebbe violato anche il D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6.
5. I motivi secondo, terzo e quarto, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono fondati e il loro accoglimento determina l’assorbimento del primo.
Deve premettersi che la protezione sussidiaria, disciplinata dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, lett. c), ha come presupposto la presenza, nel Paese di origine, di una minaccia grave e individuale alla persona, derivante da violenza indiscriminata in una situazione di conflitto armato, il cui accertamento, condotto d’ufficio dal giudice in adempimento dell’obbligo di cooperazione istruttoria, deve precedere, e non seguire, qualsiasi valutazione sulla credibilità del richiedente, salvo che il giudizio di non credibilità non riguardi le affermazioni circa lo Stato di provenienza le quali, ove risultassero false, renderebbero inutile tale accertamento” (Sez. 1, Ord. n. 14283 del 2019).
Inoltre costituisce indirizzo consolidato quello secondo il quale: “Nei giudizi di protezione internazionale, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicché il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente” (Sez. 1, Ord. n. 13897 del 2019).
Il giudice deve adempiere all’obbligo di cooperazione istruttoria officiosa allo scopo di escludere l’esistenza nel paese di origine del richiedente di una condizione di tensione interna derivante da conflitti armati di tale virulenza da esporre ad un danno grave la vita di chiunque per il solo fatto della presenza in quel luogo mediante fonti di conoscenza sul paese d’origine del richiedente figuranti tra quelle che, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, possono essere prese in considerazione dalla Commissione Nazionale sul diritto di asilo allo scopo di elaborare le informazioni da mettere a disposizione delle Commissioni territoriali e dell’Autorità giudiziaria.
Nel caso di specie la Corte d’Appello di Firenze ha omesso di compiere il suddetto accertamento e ha omesso di esaminare la situazione del ***** alla luce di fonti qualificate di conoscenza, ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3.
Inoltre, quanto alla protezione umanitaria, la Corte d’Appello ha ritenuto erroneamente applicabile il D.L. n. 113 del 2018 intervenuto successivamente alla proposizione della domanda.
Le Sezioni Unite di questa Corte, invece, hanno affermato che “Il diritto alla protezione umanitaria, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali e la domanda volta ad ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile. Ne consegue che la normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito in L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge; tali domande saranno, pertanto, scrutinate sulla base delle norme in vigore al momento della loro presentazione, ma in tale ipotesi l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari, valutata in base alle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, comporterà il rilascio del permesso di soggiorno “per casi speciali” previsto dall’art. 1, comma 9 suddetto decreto legge” (Sez. U, Sent. n. 29459 del 2019).
Pertanto, il provvedimento impugnato non è conforme ai principi sopra enunciati e deve essere cassato in accoglimento del secondo, terzo e quarto motivo di ricorso, assorbito il primo, con rinvio alla Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione che dovrà esaminare la situazione del ***** alla luce di fonti qualificate e aggiornate D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, ex art. 8, comma 3 e la domanda di protezione umanitaria secondo il principio affermato dalla citata pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte n. 29459 del 2019.
6. Il Giudice del rinvio deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso, assorbito il primo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione che deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione seconda civile, il 1 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 8 settembre 2021