Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.24236 del 08/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31079-2019 proposto da:

B.O., elettivamente domiciliato presso la Cancelleria della Suprema Corte di cassazione e rappresentato e difeso dall’avv. MARIO MARCUZ;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositata il 15/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/04/2021 dal Consigliere Dott. CRICENTI GIUSEPPE.

RITENUTO IN FATTO

CHE:

1. – B.O. viene dal Gambia, da cui ha raccontato di essere espatriato dopo avere corso pericolo di vita per una vicenda che cosi si può riassumere: rimasto orfano di padre, ed avendo abbandonato la scuola a causa delle difficoltà economiche della madre, ha iniziato una relazione con la figlia del Presidente della sua regione, ponendosi cosi contro la famiglia di lei, che non vedeva di buon occhio la relazione, a causa delle differenze di ceto e di etnia dei due; i fratelli di lei lo hanno aggredito e minacciato, e lui stesso a prescindere da questa aggressione, ha temuto di poter essere arrestato dopo che alcuni poliziotti lo avevano avvisato della illiceità di una simile relazione: fuggito via dal Gambia, ha attraversato diversi paesi africani, compresa la Libia, per poi giungere in Italia, dove ha chiesto la protezione internazionale e quella umanitaria.

2.- Impugna una decisione del Tribunale di Bologna, adito per contestare la decisione amministrativa, che ha negato credibilità al suo racconto; ha escluso pericoli di conflitto armato generalizzato in Gambia; ed ha ritenuto sufficiente l’integrazione in Italia del ricorrente e la sua vulnerabilità in caso di rimpatrio.

3.- Ricorre B.O. con quattro motivi. Il Ministero si è costituito tardivamente e non ha notificato controricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

4. – I motivi di ricorso sono preceduti da quattro questioni di legittimità costituzionale, cosi riassumibili:

a) la riforma introdotta dal D.L. n. 13 del 2017 viola l’art. 77 Cost., per difetto di urgenza, ossia del presupposto che giustifica il ricorso al decreto legge.

Si tratta di questione già decisa da questa Corte, che ha precisato che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017, art. 21, comma 1, conv. con modifiche in L. n. 46 del 2017, per difetto dei requisiti della straordinaria necessità ed urgenza poiché la disposizione transitoria – che differisce di 180 giorni dall’emanazione del decreto l’entrata in vigore del nuovo rito connaturata all’esigenza di predisporre un congruo intervallo temporale per consentire alla complessa riforma processuale di entrare a regime (Cass. 17717/2018; Cass. 28119/2018).

b) la seconda questione denuncia contrasto tra il D.L. n. 13 del 2017, art. 1, che istituisce le sezioni specializzate e l’art. 77 Cost..

Le ragioni della questione di costituzionalità non sono ben chiare: parrebbe che la norma sia sospettata in quanto, attraverso l’istituzione di sezioni specializzate, ha istituito un giudice speciale, contro la previsione dell’art. 102 Cost. e lo avrebbe fatto, tra l’altro, con decreto legge.

La questione ovviamente è infondata, se solo si pensa che si tratta di sezioni specializzate del giudice ordinario e non già di giudici speciali, ossia istituiti appositamente per un certo tipo di controversie; né è fondato il rilievo per cui l’attribuzione avviene in base alla natura delle parti (stranieri) e non alla materia: intanto se anche fosse cosi, ciò non renderebbe il giudice designato un giudice speciale; ma cosi in realtà non è in quanto alle sezioni specializzate è devoluta una intera materia, quella derivante dall’applicazione delle norme in tema di protezione internazionale. E se si volesse sospettare che è la discriminazione basata sulla nazionalità – alle sezioni sono devolute le controversie riguardanti stranieri- nessuna violazione di diritti costituzionali può derivare dalla circostanza che controversie specifiche (non tutte) riguardanti gli stranieri vengano attribuite a sezioni specializzate, che, anzi, si tratta piuttosto di una garanzia per gli interessati.

c) Si denuncia contrasto del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, con l’art. 111 Cost. ed il principio del giusto processo. Ma si mettono insieme censure diverse, le prime due attinenti al rito camerale, dunque alla violazione del contraddittorio ed al regime di pubblicità dell’udienza.

Anche tale questione è stata già decisa da questa Corte nel senso che e” manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 1, poiché il rito camerale ex art. 737 c.p.c., che è previsto anche per la trattazione di controversie in materia di diritti e di “status”, è idoneo a garantire il contraddittorio anche nel caso in cui non sia disposta l’udienza, sia perché tale eventualità è limitata solo alle ipotesi in cui, in ragione dell’attività istruttoria precedentemente svolta, essa appaia superflua, sia perché in tale caso le parti sono comunque garantite dal diritto di depositare difese scritte (Cass. 17717/ 2018).

L’altra questione posta da questo motivo, attiene invece alla illegittimità costituzionale dell’abolizione del grado di appello.

Anche questa questione va risolta conformemente a quanto stabilito da questa Corte, secondo cui è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, come modificato dal D.L. n. 13 del 2017, art. 6, per violazione dell’art. 117 Cost., artt. 6 e 13 CEDU, nella parte in cui stabilisce che il procedimento per l’ottenimento della protezione internazionale è definito con decreto non reclamabile, poiché la Corte Europea dei diritti umani con riferimento ai procedimenti civili ha sempre negato che il diritto all’equo processo e ad un ricorso effettivo possano essere considerati parametri per invocare un secondo grado di giurisdizione, mentre la legislazione Eurounitaria ed, in particolare, la dir. UE n. 2013/32, secondo l’interpretazione fornitane dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenze C – 175/17 e 180/17), non prevede un obbligo per gli stati membri di istituire l’appello, poiché l’esigenza di assicurare l’effettività del ricorso riguarda espressamente i procedimenti di impugnazione dinanzi al giudice di primo grado (Cass. 22950/ 2020).

5. – Con il primo motivo si denuncia violazione del principio della traduzione degli atti, senza indicare quale sia la norma violata.

Secondo il ricorrente il provvedimento della Commissione territoriale sarebbe viziato di nullità in quanto tradotto solo nel dispositivo e non nella motivazione, e comunque solo in inglese e non nella lingua madre del ricorrente che parla un dialetto del Gambia.

Il motivo è infondato.

A prescindere dal fatto che lo stesso ricorrente ha ammesso di parlare inglese, ed il provvedimento risulta tradotto in quella lingua; a prescindere da ciò, la nullità del provvedimento amministrativo, emesso dalla Commissione territoriale, per omessa traduzione in una lingua conosciuta dall’interessato o in una delle lingue veicolari, non esonera il giudice adito dall’obbligo di esaminare il merito della domanda, poiché oggetto della controversia non è il provvedimento negativo ma il diritto soggettivo alla protezione internazionale invocata, sulla quale comunque il giudice deve statuire, non rilevando in sé la nullità del provvedimento ma solo le eventuali conseguenze di essa sul pieno dispiegarsi del diritto di difesa (Cass. 26576/ 2020).

6. – Con il secondo e terzo motivo si denuncia violazione della L. n. 251 del 2007, art. 3, in relazione all’onere probatorio a carico dl ricorrente, violazione della L. n. 251 del 2007, art. 3, omessa motivazione.

Ritiene il ricorrente che il giudizio di inverosimiglianza sia stato falsato dal fatto che la corte non ha usato i poteri di accertamento istruttorio che aveva, e che era obbligata ad esercitare per agevolare la prova, ed in particolare per aver fatto domande troppo generiche, la risposta alle quali non poteva che avere stessa natura.

Il giudizio di credibilità è correttamente effettuato se rispetta i criteri di cui alla L. n. 251 del 2007, che sono quelli di coerenza intrinseca ed estrinseca del racconto; risulta chiaramente dalla motivazione che la corte ha applicato quei criteri, ritenendo generico il racconto su punti essenziali, sui quali non v’e’ stata specifica risposta del ricorrente e ritenendolo altresì smentito in altri punti da circostanze esterne, come il fatto che in Gambia vi sia repressione delle relazioni sentimentali tra persone di ceto o condizione economica diversa. La decisione è dunque sufficientemente motivata.

7. – Il quarto motivo denuncia violazione della L. n. 286 del 1998, art. 5.

Secondo il ricorrente, la corte ha motivato in maniera apodittica l’esclusione della protezione umanitaria, limitandosi a ritenere che non spetti al ricorrente senza indicare alcuna ragione giustificativa, e senza una previa comparazione tra la sua integrazione e la situazione del paese di origine.

Il motivo è infondato.

Strumentalmente, il ricorrente riporta solo una frase dell’ampia motivazione della corte, che invece tiene conto di quanto allegato in ordine alla sua integrazione in Italia (P.8), e tiene altresì conto della situazione del Gambia, in caso di rimpatrio, escludendo, ma solo all’esito di tale comparazione, che il ricorrente possa considerarsi vulnerabile.

8. – Il ricorso va dunque rigettato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 21 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 settembre 2021

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