Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.24298 del 09/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35856-2019 proposto da:

D.G.S., nella qualità di Amministratore della ***** s.r.l., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI DARDANELLI 46, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO SPINELLA, rappresentato e difeso dall’avvocato ARMANDO FINOCCHIARO;

– ricorrente –

Contro

CURATELA DEL FALLIMENTO ***** SRL, in persona del Curatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FABIO MASSIMO 107, presso lo studio dell’avvocato ANDREA LOCATELLI, rappresentata e difesa dall’avvocato SALVATORE NICOLOSI;

– controricorrente –

e anche nei confronti di:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, AGENZIA DEL DEMANIO, in persona del Direttore e legale rappresentante pro tempore, AGENZIA NAZIONALE PER L’AMMINISTRAZIONE E LA DESTINAZIONE DEI BENI SEQUESTRATI E CONFISCATI ALLA CRIMINALITA’ ORGANIZZATA, in persona del Direttore e legale rappresentante pro tempore, tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI N. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende, ope legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1880/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 02/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 23/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ALDO ANGELO DOLMETTA.

FATTI DI CAUSA

1. – Nell’aprile del 2005, il Fallimento della s.r.l. ***** ha proposto avanti al Tribunale di Catania azione di responsabilità ex art. 146 L. Fall. nei confronti di D.G.S., amministratore giudiziario della società di poi fallita (tale nominato dall’Agenzia del Demanio, titolare delle quote della società a seguito di confisca definitiva, come derivante da sequestro ex L. n. 575 del 1965).

Con sentenza dell’aprile 2015, il Tribunale ha accolto la domanda, condannando l’amministratore al pagamento di una somma di danaro. Nel contempo, ha rigettato la domanda di garanzia proposta da quest’ultimo nei confronti dell’Agenzia del Demanio e per essa del Ministero delle Finanze.

2. – D.G.S. ha presentato appello avanti alla Corte di Appello di Catania. Che lo ha respinto, con sentenza depositata in data 2 agosto 2019.

3. – In proposito, la sentenza ha rilevato che le doglianze, che erano state svolte dall’appellante, difettavano di un sufficiente grado di “specificità”.

4. – L’appellante – si è rilevato in questa prospettiva – “chiede la riforma della sentenza sostenendo di non avere avuto consapevolezza della sussistenza di una causa di scioglimento della società (perdita del capitale sociale) a partire dal 30.4.2004 e ciò senza contestare la sentenza nella parte in cui la stessa afferma che ciò che rileva è quando si è verificata la perdita del capitale sociale e “l’esatto (ed eventualmente diverso) momento in cui l’amministratore ne abbia avuto certa contezza””.

Il giudice del primo grado ha imputato a D.G. – ha aggiunto la Corte – pure la violazione dell’obbligo di cui all’art. 2486 c.c. Nel caso di perdita che incide sul capitale sociale, la stessa deve essere verificata subito, senza attendere il termine dell’esercizio; come pure da subito scatta l’obbligo dell’amministratore di gestire la società ai soli fini della conservazione del patrimonio.

5. – In punto di danno arrecato dalla condotta dell’amministratore, la Corte di Appello ha poi rilevato che la contestazione dell’appellante – fermata sul tema della “necessità, pur se solo in astratto, di un dipendente durante la fase liquidatoria” – era scentrata: nella specie, avendo il giudice del primo grado rilevato che mancava la “prova dell’esistenza del dipendente indicato quale costo fisso necessario”, senza “valutare se il detto costo fosse necessario o meno”.

6. – Infine, la Corte territoriale ha ritenuto che l’appellante a torto ha invocato la norma dell’art. 2049 c.c. per richiamare la responsabilità dell’Agenzia del Demanio: “detta norma di legge può essere invocata nei confronti dei “padroni e committenti” da parte dei terzi danneggiati per i danni loro arrecati da fatto illecito dei domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti e non invece da questi ultimi nei confronti dei loro datori di lavoro”.

7. – Avverso questo provvedimento ricorre D.G.S., proponendo due motivi di cassazione.

Resiste, con controricorso, il Fallimento.

Pure resistono, con distinto controricorso, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, l’Agenzia del Demanio e Agenzia Nazionale per l’Amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, che in specie sollevano eccezione di inammissibilità del ricorso nei propri confronti.

RAGIONI DELLA DECISIONE

8. – I motivi di ricorso sono stati intestati nei termini che qui di seguito vengono riportati.

Primo motivo: “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 113 c.p.c. e dell’art. 2486 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Secondo motivo: “violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e in particolare degli artt. 113,115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.

9. – L’eccezione di inammissibilità sollevata dal controricorrente Ministero (e altri) rileva che i giudici del merito hanno “correttamente statuito accogliendo, sia nei confronti del MEF, sia nei confronti dell’Agenzia del Demanio, l’eccezione di difetto di legittimazione passiva” (cfr. la sentenza di appello, p. 5). Su questo capo, del resto, si era già prima formato il giudicato interno, posto che l’appellante non aveva provveduto a svolgere una specifica impugnazione per questo riguardo.

10. – L’eccezione è fondata e, dunque, il ricorso inammissibile nei confronti dei soggetti in questione.

Il capo della sentenza del primo grado, relativo al difetto di legittimazione passiva, non è stato impugnato in sede di appello. Del resto, il ricorso per cassazione fa proprio riferimento, nei suoi contenuti, alla posizione di Ministero e Agenzia del Demanio.

11. – Il ricorso dev’essere invece rigettato nel suo dirigersi nei confronti della posizione del Fallimento, attore nel primo grado del giudizio.

12. – Il primo motivo assume che “non si è verificata la causa di scioglimento per come dedotta dalla Curatela”. Si trattava di perdite di esercizio, in quanto maturatesi all’inizio del 2004; dunque, di un risultato solo “parziale”: “solo a termine dell’anno, registrati i costi e i ricavi dell’intero periodo ed effettuate le valutazioni di fine esercizio si potrà determinare l’utile o la perdita e di conseguenza adottare quelle decisioni sul risultato economico previste dalla legge”.

13. – Il motivo viene a confondere, come peraltro appare evidente, la nozione di perdita di esercizio con quella di perdita del capitale, che qui viene a rilevare. La norma dell’art. 2482 bis c.c., comma 1, è eloquente, invero, nell’indicare che non appena verificatasi la perdita – gli amministratori debbono “senza indugio” convocare l’assemblea per gli “opportuni provvedimenti”.

14. – Il secondo motivo assume contraddittorietà della decisione della Corte di Appello sul tema dei costi relativi a un dipendente. “Delle due l’una” assume il motivo: “o manca la prova dell’esistenza del dipendente o manca la prova dei costi sostenuti per tale dipendente; oppure (tertium) manca la prova della necessità di avere un dipendente durante la fase liquidatoria”.

15. In realtà, la sentenza della Corte di Appello si è limitata, come si è già rilevato sopra (nel n. 5) a rilevare che, mancando la prova dell’esistenza di un dipendente, non si poneva proprio il problema del suo eventuale costo.

Ciò posto, è appena il caso di aggiungere che la rilevazione della mancata prova dell’esistenza di un dipendente è accertamento di fatto, che in quanto tale si sottrae al sindacato di questa Corte.

16. – La spese seguono la regola della soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile in quanto proposto verso il Ministero dell’Economia e delle Finanze, dell’Agenzia del Demanio e dell’Agenzia Nazionale per l’Amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Condanna il ricorrente al pagamento a detta controparte delle spese per il giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 5.100,00 (di cui Euro 100,00 per esborsi), oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% e agli accessori di legge.

Respinge il ricorso in quanto proposto nei confronti del fallimento della s.r.l. *****. Condanna il ricorrente al pagamento a questa controparte delle spese per il giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 7.300,00 (di cui Euro 100,00 per esborsi), oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% e agli accessori di legge.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione civile – 1, il 23 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2021

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