Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.24300 del 09/09/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. MACRI’ Ubalda – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8514/2019 proposto da:

G.A., elettivamente domiciliato in Fermignano, alla via R.

Ruggeri, 2/A, presso lo studio dell’avv. Giuseppe Briganti, che lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, *****, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende come per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1636/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 07/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 06/10/2020 dalla Consigliera Dott. UBALDA MACRI’.

RILEVATO

che:

Con sentenza in data 7 agosto 2018 la Corte di appello di Ancona ha rigettato l’appello presentato da G.A., cittadino nigeriano richiedente asilo, avverso l’ordinanza del Tribunale di Ancona che aveva, a sua volta, rigettato il ricorso dell’appellante avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale e umanitaria emesso nei suoi confronti dalla competente Commissione territoriale.

G. aveva dichiarato di essere stato costretto a lasciare il proprio Paese perché la figlia del suo datore di lavoro, durante una festa, l’aveva sorpreso mentre consumava un rapporto omosessuale con il suo compagno, al quale era legato dal 2006, ed aveva richiamato le altre persone presenti al grido “abomination”; egli era riuscito a sfuggire alla folla che lo voleva linciare e si era nascosto presso uno zio, il quale gli aveva poi riferito che il compagno era stato preso e picchiato a morte e che lui era ricercato sia dalla comunità che dalla polizia.

La corte d’appello ha ritenuto il racconto non credibile rilevando: che era strano che i membri della comunità del richiedente avessero ucciso il suo compagno, esponendosi all’incriminazione per omicidio, invece di denunciarlo alle autorità, visto che in Nigeria l’omosessualità costituisce reato gravemente punito; che era difficilmente ipotizzabile che, in un Paese in cui l’omosessualità è fortemente avversata anche dalla società, la relazione clandestina fosse durata per nove anni senza essere scoperta; che inoltre l’appellante era privo di un documento di riconoscimento e non aveva spiegato perché ne fosse sprovvisto; che il prodotto certificato di morte del compagno non costituiva un valido riscontro della veridicità del racconto; che, infine, era generica l’allegata relazione redatta dallo psicologo della cooperativa dove il migrante era ospitato. La corte del merito ha pertanto escluso la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a), b), mentre, quanto al presupposto di cui alla lett. c) ha accertato che la zona meridionale della Nigeria, da cui G. proviene, non è teatro di un conflitto armato generalizzato. Il giudice ha da ultimo affermato che il richiedente non aveva impugnato la statuizione di rigetto della domanda di protezione umanitaria.

G.A. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a quattro motivi e illustrato da memoria.

Il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo il ricorrente eccepisce la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, nonché dell’art. 132 c.p.c., n. 4 (motivazione apparente).

Con il secondo lamenta l’omessa valutazione del fatto decisivo, costituito dal rischio al quale egli andrebbe incontro in caso di rimpatrio, in quanto in Nigeria l’omosessualità è perseguita come reato, nonché l’omesso esame dei documenti prodotti in giudizio.

Con il terzo lamenta la violazione dei parametri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in base ai quali va condotta la valutazione di credibilità del racconto.

Con il quarto reitera le medesime doglianze in termini di violazione degli art. 6 e 13 della Convenzione EDU, dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dell’art. 46 della Direttiva Europea n. 2013/32.

I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono fondati e devono essere accolti nei termini che di seguito si precisano.

Ricorre, in primo luogo, la denunciata violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3. Questa Corte ha infatti ripetutamente affermato che la valutazione della credibilità del richiedente, che deve essere effettuata alla stregua dei criteri indicati dalla norma in esame, non può fondarsi su elementi secondari del racconto né sull’opinione soggettiva del giudice e non deve essere condotta in via atomistica, dovendo invece basarsi su una disamina complessiva della vicenda narrata (ex plurimis, Cass., Sez. 1, n. 13944 del 2020).

Nel caso di specie la corte del merito, anziché verificare l’attendibilità intrinseca delle dichiarazioni di G. alla luce del suo complessivo racconto, ha basato il proprio giudizio su considerazioni soggettive, esulanti dai fatti narrati (la prima delle quali addirittura attinente alla sfera psicologica di una comunità, cui viene attribuito un “sentire collettivo” analogo a quello occidentale senza che sia stata svolta alcuna – doverosa indagine sugli usi e costumi che la caratterizzano) e comunque contraddittorie, posto che, una volta riconosciuto che in Nigeria l’omosessualità non solo è punita dalla legge come reato, ma è anche fortemente avversata e riprovata socialmente, resterebbe ben spiegato perché in quel Paese chi intreccia una relazione omosessuale sia obbligato a tenerla nascosta (salvo ipotizzare che, a causa del pericolo che corre, non possa neppure iniziarla, né, tantomeno, mantenerla oltre un certo periodo di tempo) e perché rischi il linciaggio qualora venga scoperta.

Altrettanto consolidato, peraltro, è l’orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui in tema di protezione internazionale, l’allegazione da parte dello straniero di una condizione personale di omosessualità impone che il giudice si ponga in una prospettiva dinamica e non statica, vale a dire che verifichi la concreta esposizione a rischio del richiedente in ragione della sua appartenenza ad un gruppo sociale oggetto di persecuzione (tra le più recenti, Cass., Sez. 1, n. 9815 del 2020, che richiama CGUE 7/11/2013 C199/2012 e C-201/2012).

Una volta accertato che in Nigeria l’omosessualità è punita come reato e riprovata socialmente, la corte del merito avrebbe dunque dovuto indirizzare la propria indagine, indipendentemente dalla credibilità dell’intera vicenda narrata dal ricorrente, al riscontro del suo dedotto orientamento sessuale, presupposto di per se stesso sufficiente al riconoscimento della protezione richiesta: l’indagine in tal senso è invece totalmente mancata, atteso che il giudice non ha speso neppure una parola sul punto, limitandosi a tacciare di “genericità” (senza neppure chiarire in ordine a quale aspetto) la relazione psicologica prodotta da G..

Ben può dirsi, in conclusione, che la sentenza non affronta minimamente il tema fondamentale che avrebbe dovuto formare oggetto di decisione, rispetto al quale risulta sostanzialmente priva di motivazione.

All’accoglimento del ricorso conseguono la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio del procedimento alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, che liquiderà anche le spese di questo giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Ancona, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472