Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.24302 del 09/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. MACRI’ Ubalda – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12243/2019 proposto da:

O.L.C., elettivamente domiciliato in Fermignano, alla via R. Ruggeri, 2/A, presso lo studio dell’avv. Giuseppe Briganti, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2070/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 03/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 06/10/2020 dalla Consigliera Dott. UBALDA MACRI’.

RILEVATO

che:

Con sentenza in data 3 ottobre 2018 la Corte di appello di Ancona ha rigettato l’appello presentato da O.L.C., cittadino nigeriano richiedente asilo, avverso l’ordinanza del Tribunale di Ancona che aveva, a sua volta, rigettato il ricorso dell’appellante avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale e umanitaria emesso nei suoi confronti dalla competente Commissione territoriale.

Il migrante aveva riferito di aver perso in giovanissima età i genitori e due sorelle in un incidente stradale; di essere stato minacciato dallo zio, che voleva impossessarsi della casa familiare; di essersi trasferito in un altro villaggio per lavorare come contadino; di essere stato aggredito da un gruppo di persone che lo avevano ferito ad una gamba con il machete; di aver denunciato lo zio, ma di non aver fiducia nella giustizia della Nigeria; di essere emigrato in Libia, ove era stato ristretto in carcere per cinque anni perché si era rifiutato di combattere in guerra; di essere stato torturato; di essere riuscito a fuggire il ***** e di essere giunto in Italia il 30 maggio 2016.

La corte del merito, pur ritenendo attendibile il racconto, ha escluso che ricorressero i presupposti delle tutele richieste, evidenziando per un verso che le ragioni dell’espatrio erano legate a vicende familiari del richiedente, il quale non aveva dedotto l’esistenza di un potenziale specifico rischio connesso al suo rientro in Nigeria e, per l’altro, che nel Delta State, regione di sua provenienza, non sussiste una situazione di violenza indiscriminata determinata da un conflitto armato generalizzato; ha infine affermato che non si poteva tener conto dei maltrattamenti subiti da C. in Libia, Paese di suo mero transito, neppure ai fini della concessione di un permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, atteso che non ne era stata dedotta la concreta e grave ripercussione sulla salute, fisica e/o psichica, dell’istante. La sentenza è stata impugnata da O.L.C. con ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese, ma si è limitato a depositare “atto di costituzione” tardivo, al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Il Procuratore generale ha chiesto l’accoglimento del ricorso, stante la condizione di vulnerabilità rilevante ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 156 c.p.c., comma 2 e art. 111 Cost., comma 6; in subordine, l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Sostiene che la sentenza sarebbe solo apparentemente motivata, per aver il giudice tratto le informazioni sulla situazione socio-economico-politica della Nigeria da COI non aggiornate, senza neppure accertare se l’autorità statale sia in grado di assicurare protezione ai propri cittadini minacciati da soggetti privati, e per aver inoltre omesso di indicare sia le ragioni per le quali i riferiti episodi di violenza da lui subiti non costituirebbero una “minaccia individualizzata”, sia quelle per cui non si potrebbe tener conto del lungo periodo trascorso in Libia. Rileva, ancora, con particolare riguardo alla domanda di protezione umanitaria, che la corte del merito non ha valutato unitariamente tutti gli elementi di vulnerabilità oggettiva e soggettiva allegati, né ha compiuto il dovuto giudizio di comparazione.

Col secondo motivo, deducendo la violazione di molteplici norme, lamenta che la corte del merito sia venuta meno al proprio dovere di cooperazione istruttoria, non disponendo la sua audizione e non verificando la sua credibilità alla luce di informazioni precise e dettagliate sul suo Paese di origine e su quello di transito. Ribadisce inoltre, quanto alla protezione umanitaria, che il giudice non ha compiuto la valutazione comparativa richiesta da questa Corte di legittimità.

Con il terzo eccepisce l’omesso esame rigoroso ed effettivo della domanda, in violazione dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dell’art. 46 della Direttiva Europea n. 2013/32.

Con il quarto torna a dedurre l’omessa valutazione del radicamento in Libia e delle torture ivi subite, come da documentazione medica prodotta.

I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono inammissibili o infondati nella parte in cui lamentano il rigetto delle domande di protezione c.d. “maggiore”.

In primo luogo va rilevato che la corte d’appello ha ritenuto credibile il ricorrente, il quale è dunque privo di interesse a lamentare che la valutazione di attendibilità della vicenda narrata non sia stata preceduta dalla sua audizione (che peraltro non risulta essere stata richiesta) e/o non sia stata compiuta alla luce di informazioni precise e dettagliate sulla Nigeria.

Va pure escluso che la Libia possa considerarsi Paese di radicamento di C., il quale vi ha sì trascorso un lungo periodo di tempo, ma esclusivamente a ragione della sua carcerazione e non per aver autonomamente deciso di vivervi stabilmente, avendo lì trovato un’occupazione e/o aver formato una famiglia.

Non ricorre, poi, il vizio di motivazione apparente, atteso che il giudice del merito ha esposto le ragioni di fatto (le stesse dichiarazioni del richiedente, che si sarebbe limitato ad affermare di non sentirsi tranquillo in caso di rimpatrio) sulle quali ha fondato il proprio convincimento in ordine all’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status e della protezione sussidiaria; tali dichiarazioni, peraltro, non sono state specificamente richiamate in ricorso, né il ricorrente ne ha denunciato il travisamento.

Non risultano, infine, in alcun modo individuati i fatti decisivi di cui la corte territoriale avrebbe omesso l’esame e che, ove tenuti in considerazione, avrebbero condotto all’accoglimento delle domande in questione.

Il ricorso va invece accolto nella parte in cui lamenta il rigetto della domanda di protezione umanitaria.

La corte di appello è infatti incorsa nel denunciato vizio di motivazione, per avere escluso la sussistenza di profili di vulnerabilità del ricorrente nonostante il lungo periodo di prigionia da questi trascorso in Libia e le documentate torture inflittegli (fatti di per se stessi incidenti sulla salute fisica e psichica di qualsiasi persona che li abbia subiti) e, soprattutto, per non aver tenuto conto che tale lungo periodo di detenzione, unitamente alla perdita dei familiari più stretti ed al conflitto esistente con lo zio, costituivano elementi oltremodo significativi del sostanziale sradicamento di C. dal Paese di origine, condizione rispetto alla quale andava compiuto il giudizio di comparazione.

La sentenza impugnata va pertanto cassata, con rinvio del procedimento alla Corte di appello di Ancona in diversa composizione affinché rivaluti la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria e provveda anche alla liquidazione delle spese di questo giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Ancona in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2021

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