LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. MACRI’ Ubalda – rel. Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14079/2019 proposto da:
B.O., elettivamente domiciliato in Fermignano, alla via R.
Ruggeri, 2/A, presso lo studio dell’avv. Giuseppe Briganti, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale allegata al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, *****;
– intimato –
avverso la sentenza n. 2247/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 22/10/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 06/10/2020 dalla Consigliera Dott. UBALDA MACRI’.
RILEVATO
che:
Con sentenza in data 22 ottobre 2018 la Corte di appello di Ancona ha rigettato l’appello presentato da B.O., cittadino del Gambia richiedente asilo, avverso l’ordinanza del Tribunale di Ancona che aveva, a sua volta, rigettato il ricorso dell’appellante avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale e umanitaria emesso nei suoi confronti dalla competente Commissione territoriale.
Il ricorrente aveva riferito di essere espatriato per gravi contrasti con il padre e la prima moglie di questi, sua matrigna (dovuti al fatto che gli era stato impedito di frequentare la scuola) sfociati in veri e propri atti di violenza in suo danno nonché nell’allontanamento della madre dalla casa familiare.
La corte del merito ha ritenuto credibile la vicenda, ma insussistenti i presupposti delle tutele maggiori richieste, perché le ragioni dell’espatrio erano personali e la situazione di sicurezza del Gambia presenta minori criticità rispetto a quella di altri Paesi africani. Ha escluso inoltre che, in difetto di allegazione da parte del richiedente di aver subito, o di poter subire, la violazione di diritti umani di particolare entità, la sua integrazione nel territorio italiano potesse giustificare il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
La sentenza è stata impugnata da B.O. con ricorso per cassazione affidato a quattro motivi e illustrato da memoria.
Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.
CONSIDERATO
che:
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 156 c.p.c., comma 2, art. 111 Cost., comma 6 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3; in subordine, l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Sostiene che la sentenza sarebbe solo apparentemente motivata, per aver il giudice rigettato le domande senza assumere alcuna informazione sulla situazione socio-economico-politica del Gambia, nonostante le fonti da lui richiamate, e senza neppure accertare se l’autorità statale sia in grado di assicurare protezione ai propri cittadini minacciati da soggetti privati; per aver inoltre omesso di indicare le ragioni per le quali i riferiti episodi di violenza da lui subiti non costituirebbero una “minaccia individualizzata”, nonché omesso di tener conto del tempo da lui trascorso in Libia, dove ha lavorato come muratore per cinque mesi. Rileva, ancora, con particolare riguardo alla domanda di protezione umanitaria, che la corte del merito non ha valutato unitariamente tutti gli elementi di vulnerabilità oggettiva e soggettiva allegati, né ha compiuto il dovuto giudizio di comparazione.
Il motivo è fondato nei termini che di seguito si precisano.
E’ principio ripetutamente affermato da questa corte che il pericolo di sottoposizione a un trattamento inumano o degradante, in presenza del quale ricorrono i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. b), può provenire anche da un soggetto non statuale, qualora le autorità del Paese di provenienza del richiedente asilo non siano in grado di approntarvi tutela (fra molte, Cass. nn. 28779/2020, 12333/2017).
Ne consegue che, qualora la vicenda narrata dal migrante sia ritenuta credibile, il giudice non può rigettare la domanda sul mero rilievo della sua natura privata o endofamiliare, ma, nell’osservanza del proprio dovere di cooperazione istruttoria, è tenuto ad accertare, sulla scorta di COI aggiornate, se il richiedente avrebbe potuto ottenere riparo dalle minacce e dalle vessazioni subite rivolgendosi a forze governative o ad enti del proprio Paese.
Quanto poi al presupposto di cui dell’art. 14 cit., lett. c), ovvero al rischio di danno grave per un civile derivante da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, il dovere di cooperazione officiosa del giudice prescinde dall’attendibilità del migrante.
Nella specie la corte d’appello non si è attenuta agli enunciati principi, in quanto, pur ritenendo attendibili le dichiarazioni dal ricorrente, e dunque riconoscendo che questi è stato costretto a migrare in giovanissima età a causa delle violenze inflittegli dal suo stesso padre e della matrigna, che gli avevano anche impedito di frequentare la scuola, non ha acquisito alcuna informazione sulla condizione sociale del Gambia (onde verificare se ivi sussista un adeguato sistema di tutela giurisdizionale dei diritti dei minori o, quantomeno, operino reti di loro protezione pubbliche o private), mentre ha escluso che il Paese sia teatro di un conflitto armato generalizzato limitandosi a richiamare il sito “*****” (che, essendo rivolto ai viaggiatori italiani, ha scopo e funzioni coincidenti solo in parte con quelli perseguiti nei procedimenti di protezione: cfr. Cass. n. 8819/020), peraltro senza riportare alcuna notizia effettiva sulla situazione attualmente lì esistente e senza neppure preoccuparsi di riscontrare il contenuto delle COI richiamate da Banjo nell’atto di appello.
Meramente apparente è poi la motivazione che sorregge il rigetto della domanda di protezione umanitaria, espressa in termini solo negativi e palesemente astratti (“non sono state rappresentate specifiche situazioni soggettive in relazione alle quali siano ravvisabili lesioni di diritti umani di particolare entità”), priva di qualsivoglia riferimento ai fatti narrati dal ricorrente (ritenuti credibili e dunque idonei a provare non solo la violazione del suo diritto all’istruzione e all’integrità fisica, ma anche il suo sostanziale sradicamento dal Paese di origine) e non fondata su un giudizio di comparazione fra il grado di integrazione da lui raggiunta in Italia (la corte ha dato atto che Banjo svolge attività lavorativa) e la condizione in cui si verrebbe a trovare in caso di rimpatrio.
Restano assorbiti gli ulteriori motivi del ricorso, che ripropongono le medesime censure sotto distinti profili.
All’accoglimento del ricorso conseguono la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio del giudizio, per un nuovo esame, alla Corte d’appello di Ancona in diversa composizione, che liquiderà anche le spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Ancona in diversa composizione, anche per le spese.
Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2021