Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.24304 del 09/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. MACRI’ Ubalda – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14207/2019 proposto da:

O.P.O., elettivamente domiciliato in Fermignano, alla via R. Ruggeri, 2/A, presso lo studio dell’avv. Giuseppe Briganti, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, *****;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2256/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 22/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 06/10/2020 dalla Consigliera Dott. UBALDA MACRI’.

RILEVATO

che:

Con sentenza in data 22 ottobre 2018 la Corte di appello di Ancona ha rigettato l’appello presentato da O.P.O., cittadino della Nigeria richiedente asilo, avverso l’ordinanza del Tribunale di Ancona che aveva, a sua volta, rigettato il ricorso dell’appellante avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale e umanitaria emesso nei suoi confronti dalla competente Commissione territoriale.

Il ricorrente aveva riferito: di provenire dall’Edo State, dove era stato imprigionato perché uno dei suoi fratelli lo aveva ingiustamente accusato della morte della madre; di essere riuscito ad evadere dal carcere grazie all’aiuto di un altro fratello, che aveva corrotto la polizia e gli aveva procurato un falso certificato di morte; di essere perciò espatriato, di aver vissuto in Libia per due anni e di essere infine giunto in Italia.

La corte del merito, dopo aver escluso che la vicenda avesse a che vedere con ipotesi di persecuzione, ha osservato che “l’assoluta genericità delle circostanze che avrebbero consigliato il ricorrente a espatriare sono così prive di elementi concreti da impedire… di disporre attività istruttoria sussidiaria a conferma del narrato”; ha quindi ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. c), in quanto dal sito “*****” si ricava che l’attività terroristica del gruppo ***** non riguarda l’Edo State; ha infine rilevato che, in difetto di allegazione da parte del richiedente di aver subito, o di poter subire in caso di rimpatrio, la violazione di diritti umani di particolare entità, la sua integrazione nel territorio italiano, dove lavora, o la malattia (tubercolosi latente) da cui è affetto non potevano giustificare il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

La sentenza è stata impugnata da O.P.O. con ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 156 c.p.c., comma 2, art. 111 Cost., comma 6 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3; in subordine, l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Sostiene che la sentenza sarebbe solo apparentemente motivata; lamenta che il giudice abbia rigettato le domande senza assumere alcuna informazione sulla situazione socio-economico-politica della Nigeria, nonostante le fonti da lui richiamate, e senza tener conto di alcuna delle circostanze da lui dedotte (ingiusto imprigionamento, maltrattamenti subiti, sua permanenza in Libia per un periodo di circa due anni). Rileva, ancora, con particolare riguardo alla domanda di protezione umanitaria, che la corte del merito non ha valutato unitariamente tutti gli elementi di vulnerabilità oggettiva e soggettiva allegati, né ha compiuto il dovuto giudizio di comparazione.

Il motivo è fondato in tutte le sue articolazioni.

Non è chiaro, in primo luogo, se la corte d’appello abbia basato la decisione di rigetto delle domande di asilo e di protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. a) e b), sull’insussistenza dei presupposti previsti dalla legge o sulla scarsa attendibilità della vicenda narrata dal richiedente o, ancora, su entrambe le ragioni.

Fatto sta che, sotto il primo profilo, il giudice a quo ha totalmente omesso di chiarire perché, a suo avviso, l’essere imprigionati in Nigeria in base ad un’infondata accusa di omicidio non costituisca atto astrattamente foriero di un danno grave (tanto più che nel Paese vige la pena di morte); sotto il secondo si è limitato a rilevare, in via meramente assertiva e tautologica, che le circostanze che avrebbero consigliato il ricorrente a espatriare sono “assolutamente generiche” in quanto prive “di elementi concreti”, ma non ha in alcun modo esplicitato le ragioni del proprio convincimento (certamente non evincibili dal riportato riassunto della vicenda, che risulta del tutto lineare nel suo svolgimento), quantomeno precisando cosa debba intendersi per “elementi concreti” (posto che la valutazione di credibilità del richiedente va compiuta alla stregua dei criteri indicati dall’art. 3, comma 3, D.Lgs. cit. e non può essere esclusa solo in base alla mancanza di riscontri documentali delle sue dichiarazioni) o indicando le eventuali, gravi lacune del racconto non colmabili attraverso una più analitica audizione del migrante.

Con riguardo alle predette domande ricorre, dunque, il denunciato vizio di motivazione apparente, riscontrabile ogni qual volta non risulti esplicitato l’iter logico – giuridico che ha condotto alla decisione.

Ricorre, altresì, la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in quanto la corte del merito, dopo aver ritenuto che le fosse addirittura “impedito” di svolgere approfondimenti istruttori d’ufficio “a conferma del narrato”, ha omesso di svolgerli anche in relazione alla domanda di protezione sussidiaria di cui dell’art. 14 cit., lett. c), ed ha escluso che l’Edo State sia teatro di un conflitto armato generalizzato limitandosi a richiamare il sito “*****” (che, essendo rivolto ai viaggiatori italiani, ha scopo e funzioni coincidenti solo in parte con quelli perseguiti nei procedimenti di protezione: cfr. Cass. n. 8819/020), peraltro senza riportare alcuna notizia effettiva sulla situazione attualmente esistente in detto Stato, tranne il fatto che non è interessato dal terrorismo di ***** (come se i conflitti armati potessero essere generati solo dal fanatismo islamico) e senza neppure preoccuparsi di riscontrare il contenuto delle COI richiamate da O. nell’atto di appello.

Le già evidenziate carenze della motivazione in punto di credibilità delle dichiarazioni del ricorrente e/o di mancata evidenziazione di un rischio persecutorio inficiano, a maggior ragione, la statuizione di rigetto della domanda di protezione umanitaria, oltretutto espressa in termini meramente negativi e palesemente astratti (“non sono state rappresentate specifiche situazioni soggettive in relazione alle quali siano ravvisabili lesioni di diritti umani di particolare entità”), priva di qualsivoglia riferimento ai fatti narrati dal ricorrente e non fondata sul dovuto giudizio di comparazione fra il suo documentato, precario stato di salute, il grado di integrazione da lui raggiunta in Italia (la corte ha dato atto che O. svolge attività lavorativa) e la condizione in cui si verrebbe a trovare in caso di rimpatrio.

Restano assorbiti gli ulteriori motivi del ricorso, che ripropongono le medesime censure sotto distinti profili.

All’accoglimento del ricorso conseguono la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio del giudizio, per un nuovo esame, alla Corte d’appello di Ancona in diversa composizione, che liquiderà anche le spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Ancona in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2021

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