Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.24311 del 09/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. MACRI’ Ubalda – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17708/2019 proposto da:

S.M.K., elettivamente domiciliato in Ascoli Piceno, alla via di Vesta, n. 26, presso lo studio dell’avv. Stefania Mariani, che lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale allegata al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, *****;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2575/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 20/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 06/10/2020 dalla Consigliera Dott. UBALDA MACRI’.

RILEVATO

che:

Con sentenza in data 20 novembre 2018 la Corte di appello di Ancona ha rigettato l’appello presentato da S.M.K., cittadino della Liberia richiedente asilo, avverso l’ordinanza del Tribunale di Ancona che aveva, a sua volta, rigettato il ricorso dell’appellante avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale e umanitaria emesso nei suoi confronti dalla competente Commissione territoriale.

Il ricorrente aveva riferito di essere rimasto orfano della madre a soli 11 anni e di aver perso anche il padre nel ***** a causa di un’epidemia di ebola; spaventato dalla quarantena a cui sarebbe stato sottoposto per essere venuto a contatto con il padre aveva lasciato il proprio Paese, transitando per la Guinea e l’Algeria prima di riuscire a raggiungere l’Italia. La corte d’ appello ha ritenuto la vicenda credibile, ma ha rilevato che i motivi su cui si fondavano le domande di status e di protezione sussidiaria di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. a) e b), erano di carattere personale e riconducibili a soli dissapori familiari; che inoltre doveva escludersi che l’appellante potesse correre il rischio, in caso di rimpatrio, di subire un danno grave nei sensi di cui dell’art. 14 cit., lett. c), in quanto in Liberia nel 2017 si sono svolte le elezioni ed è stato democraticamente eletto il Presidente W.; ha infine affermato che il richiedente non aveva allegato specifici profili di sua vulnerabilità che giustificassero il rilascio di un permesso di soggiorno per ragioni umanitarie. La sentenza è stata impugnata da S.M.K. con ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto attività difensiva, limitandosi a depositare atto di costituzione tardivo, ai soli fini della partecipazione all’eventuale udienza di discussione.

CONSIDERATO

che:

Con i primi due motivi, che denunciano, rispettivamente, la violazione dell’art. 4 Dir. 2011/95/UE, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 25 e la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5, 7 e 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, il ricorrente lamenta il mancato assolvimento da parte dei giudici del merito del loro dovere di cooperazione istruttoria officiosa.

Con il terzo motivo lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, costituito dalla sua integrazione in Italia, dove presta la propria opera volontaria di interprete e traduttore e ha stipulato un contratto di tirocinio che gli ha consentito di avviare un proficuo percorso di formazione professionale.

I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati nei termini che di seguito si precisano.

E’ principio ripetutamente affermato da questa corte che il pericolo di sottoposizione a un trattamento inumano o degradante, in presenza del quale ricorrono i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. b), può provenire anche da un soggetto non statuale, qualora le autorità del Paese di provenienza del richiedente asilo non siano in grado di approntarvi tutela (fra molte, Cass. nn. 28779/2020, 12333/2017).

Ne consegue che, qualora la vicenda narrata dal migrante sia ritenuta credibile, il mero rilievo della sua natura privata o endofamiliare non giustifica il rigetto della domanda, posto che il giudice, nell’osservanza del proprio dovere di cooperazione istruttoria, è tenuto ad accertare, sulla scorta di COI aggiornate, se il richiedente avrebbe potuto ottenere riparo dalle minacce e dalle vessazioni subite rivolgendosi a forze governative o ad enti del proprio Paese.

Quanto poi al presupposto di cui dell’art. 14 cit., lett. c), ovvero al rischio di danno grave per un civile derivante da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, il dovere di cooperazione officiosa del giudice prescinde dall’attendibilità del migrante in ordine ai fatti che lo hanno indotto a espatriare (Cass. n. 13940/2020).

Nella specie la corte d’appello non si è attenuta agli enunciati principi, in quanto, pur ritenendo attendibili le dichiarazioni dal ricorrente, e dunque riconoscendo che questi è stato costretto a migrare in giovanissima età per ragioni connesse sia all’epidemia di ebola sia alla sua situazione familiare, non ha consultato alcuna fonte di informazione internazionale per accertare quale sia l’attuale condizione sociale della Liberia (onde verificare se effettivamente, secondo quanto dedotto da S., i sopravvissuti alla malattia siano oggetto di diffuse discriminazioni da parte del resto della popolazione e se il Paese assicuri un adeguato sistema di tutela civile e giurisdizionale dei diritti dei minori), né, tantomeno, per escludere che essa versi in una situazione di conflitto armato generalizzato, che certo non può essere negata sulla sola scorta del fatto notorio costituito dalla elezione a presidente dell’ex calciatore W..

Palesemente carente, e dunque al di sotto del c.d. minimo costituzionale, è poi la motivazione che sorregge il rigetto della domanda di protezione umanitaria, espressa in termini meramente negativi e astratti (“non sono state rappresentate specifiche situazioni soggettive in relazione alle quali siano ravvisabili lesioni di diritti umani di particolare entità”), priva di qualsivoglia riferimento ai fatti narrati dal ricorrente (ancorché ritenuti credibili e dunque idonei quantomeno a provare il suo sostanziale sradicamento dal Paese di origine) e non fondata su un giudizio di comparazione fra il grado di integrazione da lui raggiunta in Italia e la condizione in cui si verrebbe a trovare in caso di rimpatrio.

La sentenza impugnata va pertanto cassata con rinvio alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, per un nuovo esame e per la liquidazione anche delle spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Ancona in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2021

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