LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. MACRI’ Ubalda – rel. Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17717/2019 proposto da:
J.S., elettivamente domiciliato in Ascoli Piceno, alla via di Vesta, n. 26, presso lo studio dell’avv. Stefania Mariani, che lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale allegata al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, *****;
– intimato –
avverso la sentenza n. 2592/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 21/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 06/10/2020 dalla Consigliera Dott. UBALDA MACRI’.
RILEVATO
che:
Con sentenza in data 21 novembre 2018 la Corte di appello di Ancona ha rigettato l’appello presentato da J.S., cittadino del Gambia richiedente asilo, avverso l’ordinanza del Tribunale di Ancona che aveva, a sua volta, rigettato il ricorso dell’appellante avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale e umanitaria emesso nei suoi confronti dalla competente Commissione territoriale.
Il ricorrente aveva riferito di essere fuggito dal proprio Paese perché aveva involontariamente ucciso un bambino e temeva la reazione dei parenti della vittima e della polizia.
La corte di appello ha ritenuto confuse e poco credibili le dichiarazioni dell’appellante ed ha aggiunto che, comunque, non ricorrevano i presupposti per il riconoscimento delle tutele maggiori richieste, in quanto in Gambia non è prevista la pena di morte in caso di omicidio colposo e neppure è ravvisabile un rischio per la popolazione derivante da una situazione di violenza armata generalizzata; ha infine rilevato che il richiedente non aveva allegato specifici profili di sua vulnerabilità né documentazione atta a dimostrare la sua integrazione nel tessuto sociale italiano, sicché non poteva essergli riconosciuta neppure la protezione umanitaria.
La sentenza è stata impugnata da J.S. con ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Il Ministero dell’Interno non ha svolto attività difensiva.
CONSIDERATO
che:
Con i primi due motivi, che denunciano, rispettivamente, la violazione dell’art. 4 Dir. 2011/95/UE, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 25 e la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5, 7 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 14 e 27, il ricorrente lamenta il mancato assolvimento da parte dei giudici del merito del loro dovere di cooperazione istruttoria officiosa.
Con il terzo motivo si duole del rigetto della domanda di protezione umanitaria, sostenendo che la corte territoriale avrebbe omesso di compiere il dovuto giudizio di comparazione fra il grado di integrazione da lui raggiunto in Italia e la condizione in cui verrebbe a trovarsi in caso di rimpatrio.
Tutti e tre i motivi vanno dichiarati inammissibili.
I primi due non censurano specificamente né l’accertamento di intrinseca inattendibilità delle dichiarazioni del ricorrente, che attiene al giudizio di fatto ed osta al compimento di approfondimenti istruttori officiosi, cui il giudice di merito sarebbe tenuto in forza del dovere di cooperazione istruttoria (Cass., Sez. 1, n. 33858 del 2020, Rv. 660736), né l’ulteriore accertamento dell’insussistenza nel Gambia di una situazione di conflitto armato generalizzato, che la corte del merito ha compiuto sulla scorta di COI (rapporto Amnesty International 2016/2017) il cui contenuto non è contestato.
Il terzo è illustrato in via generale ed astratta, ma, a fronte del rilievo, espressamente contenuto in sentenza, della mancanza di prova dell’integrazione di J.S. in Italia, non chiarisce, secondo quanto richiesto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quali siano, e in quale esatta sede processuale, siano stati allegati e documentati i fatti, non esaminati dalla corte d’appello, che smentirebbe l’assunto e sui quali avrebbe dovuto basarsi il giudizio di comparazione.
Nulla per le spese nei confronti del Ministero dell’Interno, che non ha svolto attività difensiva.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2021