LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –
Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13923/2019 proposto da:
U.M., rappresentato e difeso dall’Avv.to Giovanbattista Scordamaglia, con studio in Petilia Policastro Via Arringa 60;
– ricorrente –
contro
Ministero Dell’interno, *****, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1806/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 15/10/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 08/10/2020 da Dott. MELONI MARINA.
FATTI DI CAUSA
La Corte di Appello di Catanzaro, con sentenza in data 15/10/2018, ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dal Tribunale di Catanzaro in ordine alle istanze avanzate da U.M. nato in *****, volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, il riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria.
Il richiedente asilo aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di essere fuggito dal proprio paese in quanto avendo assistito ad un omicidio e testimoniato contro l’assassino, temeva che i familiari dell’omicida lo uccidessero per vendetta. La Corte di Appello di Catanzaro in particolare ha escluso le condizioni previste per il riconoscimento del diritto al rifugio D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 7 e 8, ed i presupposti richiesti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, per la concessione della protezione sussidiaria, non emergendo elementi idonei a dimostrare che il ricorrente potesse essere sottoposto nel paese di origine a pena capitale o a trattamenti inumani o degradanti. Nel contempo il collegio di merito riteneva non attendibile la vicenda narrata e negava il ricorrere di uno stato di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale nonché una situazione di elevata vulnerabilità individuale.
Avverso la sentenza della Corte di Appello di Catanzaro il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
Il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa esposizione delle ragioni di diritto ed omessa valutazione dei documenti prodotti e delle prove documentali offerte da parte del Giudice Territoriale.
Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il Giudice Territoriale non aveva approfondito l’analisi della situazione personale del ricorrente ritenendolo non credibile senza alcun valido motivo nonostante il circostanziato racconto reso, venendo meno al dovere di cooperazione istruttoria.
Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2 e art. 14, lett. B), in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il Giudice Territoriale non aveva approfondito l’esistenza di un pericolo di danno grave alla vita o alla persona derivante da tortura o trattamento disumano o degradante.
Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 ed D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il Tribunale di Catanzaro non ha riconosciuto il diritto ad un permesso di soggiorno per motivi umanitari.
Il ricorso è infondato e deve essere respinto.
In ordine al primo motivo di ricorso ne va rilevata l’inammissibilità per mancanza di autosufficienza della doglianza nel senso che il ricorrente non ha in alcun modo specificato quale sia il profilo di decisività della documentazione allegata e non considerata dal giudicante, il quale – al contrario di quanto ritenuto dal ricorrente – ha adeguatamente argomentato in ordine al profilo della non credibilità intrinseca del racconto del richiedente.
Il secondo motivo di ricorso, pur rubricato sotto il solo profilo della violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3), contiene in realtà una serie di critiche agli accertamenti in fatto espressi nella motivazione della corte territoriale che, come tali, si palesano inammissibili, in quanto dirette a sollecitare un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito, che del resto ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata, esponendo le ragioni del proprio convincimento circa l’intrinseca inattendibilità del racconto del ricorrente.
Con il ricorso per cassazione la parte non può, invero, rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (Cass., 07/12/2017, n. 29404; Cass., 04/08/2017, n. 19547; Cass., 02/08/2016, n. 16056).
A tal riguardo occorre osservare che il legislatore ha ritenuto di affidare la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo non alla mera opinione del giudice ma ha previsto una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e, inoltre, tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui all’art. 5, comma 3, lett. c), del D.Lgs. cit.), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età, “non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati quando si ritiene sussistente l’accadimento, sicché è compito dell’autorità amministrativa e del giudice dell’impugnazione di decisioni negative della Commissione territoriale, svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda” (Cass. ord. 26921/2017).
Alla luce di quanto sopra appare evidente che il dovere del giudice di considerare veritiero il racconto del ricorrente anche se non suffragato da prove richiede pur sempre che le dichiarazioni rese dal richiedente asilo siano ” considerate coerenti e plausibili” (art. 3, comma 5, lett. C) e che il racconto del richiedente sia in generale “attendibile” (art. 3, comma 5, lett. E). La difficoltà di provare adeguatamente i fatti accaduti prevista espressamente dal legislatore nel citato art. 3, comma 5, non impone certo al giudice di ritenere attendibile un racconto che, secondo una prudente e ragionevole valutazione, sia incredibile e fantasioso anche perché i criteri legali di valutazione della credibilità di cui all’art. 5, comma 3, sono categorie ampie ed aperte che lasciano ampio margine di valutazione al giudice chiamato ad esaminare il caso concreto secondo i criteri generali: basti pensare ai concetti di coerenza, plausibilità (lett. c) e attendibilità (lett. e), che richiedono senz’altro un’attività valutativa discrezionale.
Il terzo motivo, con particolare riferimento ai presupposti per la concessione della protezione sussidiaria sussumibile nella previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), il giudice territoriale ha escluso la protezione sussidiaria di cui alla lett. B) perché il racconto è stato ritenuto non credibile.
Il motivo è pertanto infondato.
Il quarto motivo, sulla verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria, è inammissibile perché censura l’accertamento di merito compiuto dal Tribunale in ordine alla insussistenza di una particolare situazione di vulnerabilità o di pericolo legata alla situazione individuale dell’istante, o di lesione dei diritti fondamentali della persona.
Il ricorso proposto deve pertanto essere respinto. Ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, ove dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione nei confronti del controricorrente che si liquidano in Euro 2.100,00 oltre spese prenotate a debito. Ricorrono i presupposti processuali per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima della Corte di Cassazione, il 8 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2021