Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.24335 del 09/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 17359/2019 proposto da:

A.A.A., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Angelico, n. 38, presso lo studio dell’avvocato Marco Lanzilao che lo rappresenta e difende per procura speciale estesa in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato per legge in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12, presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato che per legge lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Napoli depositato il 30 aprile 2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29 gennaio 2021 dal relatore Dott. Marco Vannucci.

RILEVATO

CHE:

Il ricorrente, cittadino del *****, in sede di audizione innanzi alla Commissione territoriale ha narrato di avere lasciato il Paese per il timore di subire una condanna al carcere a vita per una denuncia falsa di violenza sessuale inoltrata nei suoi confronti da una donna pagata da persone che lo avevano assalito e sequestrato per estorcergli il consenso alla cessione dei tre negozi che gestiva.

Respinta la richiesta di protezione internazionale dalla competente Commissione territoriale, il ricorrente ha adito il Tribunale di Napoli che, proceduto alla audizione del ricorrente, gli ha negato il riconoscimento sia della protezione internazionale sia di quella umanitaria.

Ha ritenuto il tribunale che siano inattendibili le dichiarazioni del richiedente (per la inverosimiglianza dell’ottenimento del visto per l’espatrio di una persona nei cui confronti pende un mandato di arresto, e per le plurime incongruenze tra quanto riferito in sede di libero interrogatorio e quanto esposto in Commissione o risultante dai documenti prodotti), dalle quali non emerge alcun fondato motivo per ritenere che egli, se ritornasse in *****, correrebbe il rischio concreto di subire persecuzioni o la pena di morte, torture o altri trattamenti inumani o degradanti; che, dalle COI consultate, emerge come in ***** non possa ritenersi sussistente una situazione di violenza indiscriminata; che, quanto alla protezione umanitaria, debba escludersi che il richiedente versi in situazione di particolare vulnerabilità, sotto il profilo oggettivo (la situazione del *****) e sotto quello soggettivo atteso che, non avendo il ricorrente assolto all’onere di allegare specifici motivi individuali di vulnerabilità collegate a grave deprivazione dei propri diritti fondamentali, la sola circostanza di avere un contratto di lavoro a tempo indeterminato in Italia non è di per sé sufficiente per il riconoscimento della protezione richiesta.

Avverso la predetta decisione ha proposto ricorso per cassazione il richiedente asilo affidandosi a tre motivi.

Resiste il Ministero con controricorso.

RITENUTO

CHE:

1.- Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, “l’omesso/erroneo esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla Commissione territoriale e delle allegazioni portate in giudizio per la valutazione della condizione personale del ricorrente”.

Il motivo è inammissibile, non solo perché cumula indistintamente la denuncia di violazione di norme di diritto e quella di omesso esame di (imprecisati) fatti materiali discussi e decisivi, ma perché si risolve nella inammissibile richiesta di revisione di valutazioni in fatto puntualmente motivate dal giudice di merito.

2. Del pari inammissibile è il secondo motivo, con cui si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Nella specie il tribunale ha assolto al dovere di cooperazione istruttoria, assumendo informazioni sul paese di origine da plurime fonti attendibili ed aggiornate, che sono stata esplicitamente menzionate nella decisione (Cass. n. 22527/2020). A tale motivato accertamento di fatto il ricorrente oppone del tutto genericamente la propria valutazione di segno opposto, facendo altrettanto generico riferimento ad alcuni reports richiamati e parzialmente trascritti (tra i quali quelli del sito “*****” del Ministero degli Esteri). Sotto questo profilo, la doglianza di violazione del disposto normativo si risolve invece in una inammissibile richiesta di revisione del giudizio di fatto rettamente espresso dal giudice di merito, facendo peraltro improprio riferimento a criticità e fenomeni vari non integranti la situazione, normativamente prevista, di violenza indiscriminata, in cui, secondo l’indirizzo ormai consolidato della giurisprudenza di questa Corte in coerenza con quella della CGUE, il conflitto armato deve aver raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 13858/2018; Cass. n. 11103/2019).

3. – Lamenta infine il ricorrente la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, limitandosi ad astratte considerazioni e riferimenti di massima ai presupposti della protezione umanitaria senza alcuna specifica censura in ordine alla mancata allegazione nel giudizio di merito circa un concreto rischio individuale, in caso di rimpatrio, di deprivazione dei diritti fondamentali, in difetto del quale rettamente il tribunale ha escluso la rilevanza, di per sé, del rapporto di lavoro reperito in Italia (cfr.: Cass. n. 4455/2018; Cass. S.U. n. 29459/2019).

5. La declaratoria di inammissibilità del ricorso si impone dunque, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio che si liquidano come in dispositivo.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso in favore del contro ricorrente delle spese di questo giudizio, in Euro 2.100 per compensi, oltre le spese anticipate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 29 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2021

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