LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 7435/2019 proposto da:
O.D., elettivamente domiciliato in Trento, piazza Cesare Battisti 26, presso lo studio dell’avv. Andrea Pizzini, che lo rappresenta e difende giusta procura allegata al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, nella persona del Ministro pro tempore.
– intimato –
avverso il decreto n. 168/2019 del Tribunale di TRENTO, pubblicato il 24 gennaio 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/06/2021 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna.
RILEVATO
CHE:
1. O.D., cittadino del *****, ha presentato ricorso al Tribunale di Trento avverso il provvedimento della Commissione territoriale di Verona del 9 novembre 2017 che gli aveva negato il riconoscimento della protezione sussidiaria e di quella umanitaria.
2. Il richiedente aveva dichiarato: di essere stato accusato ingiustamente dell’omicidio dello “Chief” del villaggio di ***** (dove aveva vissuto da piccolo e dove era tornato per sistemarsi definitivamente); di essere sfuggito all’aggressione dei nipoti del defunto rifugiandosi ad *****, altro villaggio in cui possedeva un terreno coltivato a cacao; di aver lì involontariamente provocato un incendio che aveva distrutto il raccolto del proprietario del terreno confinante; di essere stato minacciato di morte da quest’ultimo, il quale aveva rifiutato la sua offerta di risarcimento; di aver lasciato il proprio Paese sia per il timore di essere ricercato dalla polizia per l’omicidio del capo villaggio sia per il timore di essere ucciso dal vicino.
3. Con decreto del 24 gennaio 2019 il tribunale adito ha respinto la domanda di protezione sussidiaria rilevando, per ciò che in questa sede ancora interessa, che le dichiarazioni rese dal richiedente nel corso dell’udienza contraddicevano in parte quanto da lui riferito in sede di audizione dinanzi alla C.T. e, per altra parte, erano del tutto inverosimili, atteso che lo stesso O. aveva affermato che il vicino possedeva un campo di cacao esteso quanto il suo, era suo amico e lo aveva aiutato nel corso dei tre anni da lui trascorsi ad ***** dopo la sua fuga da ***** e che dunque il rifiuto dello stesso di ricevere il risarcimento offertogli non poteva spiegarsi con l’invidia per gli affari fruttuosi del ricorrente o col desiderio, che non risultava essersi concretizzato, di impossessarsi del terreno di questi; il giudice ha aggiunto che, comunque, anche a voler ritenere attendibile la vicenda narrata, difettava il requisito dell’attualità del pericolo di persecuzione, peraltro prospettato in termini vaghi; ha; infine, escluso che ricorressero i presupposti per la concessione di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, posto che O. non aveva allegato alcun profilo di vulnerabilità e che la documentazione da lui prodotta (attestati di partecipazione a corsi di lingua e cultura italiana organizzati – da associazioni che collaborano con la provincia autonoma di Trento – in favore di tutti i migranti accolti in un progetto per richiedenti protezione internazionale) non provava che egli si fosse effettivamente integrato in Italia, mentre sussistevano forti legami di radicalizzazione del richiedente nel suo Paese, dove vivevano la moglie e la figlia, oltre che la madre e i fratellastri, e dove possedeva un terreno che, a suo stesso dire, “fruttava abbastanza”.
4. O.D. ricorre per la cassazione del decreto con atto affidato a due motivi.
5. Il Ministero dell’Interno ha depositato “atto di costituzione” tardivo, ai soli fini della partecipazione all’eventuale udienza di discussione ex art. 370 c.p.c., comma 1.
CONSIDERATO
CHE:
1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3, 5, 6,7 e 14, nonché del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8 e art. 27, comma 1 bis, per aver il tribunale escluso che i gravissimi fatti da lui narrati fossero riconducibili a un rischio attuale di persecuzione e per averli, inoltre, ritenuti inattendibili senza indicare alcuna seria ragione idonea a smentirli, in base ad argomentazioni semplicistiche, prive di effettivo riferimento alla vicenda esposta.
2. Col secondo mezzo denuncia, sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 per aver il tribunale respinto la domanda di protezione umanitaria delegittimando il suo percorso di integrazione sociale, solo perché le attività da lui svolte erano state organizzate da associazioni che offrono la stessa possibilità a tutti i migranti accolti nel progetto, e omettendo di considerare che in caso di suo ritorno in ***** egli, non avendo alcuna prospettiva lavorativa, sarebbe costretto a vivere nell’assoluta indigenza e ad essere così privato dell’esercizio dei diritti umani fondamentali.
3. Entrambi i motivi sono inammissibili.
3.1. Il primo – a fronte dell’ampia motivazione sulla quale si fonda il capo del decreto con esso impugnato – non specifica in cosa consistano gli errores in iudicando genericamente elencati in rubrica e, in buona sostanza, si risolve nella mera e inaccoglibile richiesta di un nuovo giudizio di fatto, in quanto si limita a sostenere l’erroneità delle valutazioni del tribunale (sia in ordine all’inattendibilità delle sue dichiarazioni, sia in ordine alla inattualità del pericolo rappresentato), ancorché basate su un accertamento di merito non sindacabile nella presente sede di legittimità se non nei ristretti termini delineati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
3.2. Il secondo, che è illustrato unicamente sotto il profilo del vizio di motivazione, è anch’esso volto ad ottenere un diverso apprezzamento nel merito delle circostanze sulle quali il tribunale ha fondato la decisione (fra l’altro escludendo espressamente che in caso di ritorno nel Paese di origine il ricorrente possa trovarsi privo di mezzi di sostentamento) e non specifica quale sia il fatto decisivo e controverso, tempestivamente allegato, che il giudice avrebbe omesso di considerare e che, ove esaminato, avrebbe condotto all’accoglimento della domanda.
Nulla deve disporsi sulle spese, poiché l’Amministrazione intimata non ha svolto attività difensiva.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 9 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2021